Call for women, di Ippolita di Majo | Recensione

Call for women, di Ippolita di Majo | Recensione

Call for women per l’8 marzo per un mondo più equo

La sera dell’8 marzo, in occasione della festa delle donne è andato in scena al Teatro Mercadante di Napoli Call for women, uno spettacolo scritto da Ippolita di Majo, diretto da Paola Rota e interpretato da Valentina Bellè, Anna FerzettiDonatella Finocchiaro e Caterina Guzzanti. L’incasso è stato donato all’associazione evalab, un atelier sartoriale attivato in un bene confiscato alla camorra a Casal di Principe.

Un intervento ancora necessario

In Call for women quattro donne allestiscono un piccolo set cinematografico per lavorare a un documentario sulla condizione sociale, politica e lavorativa delle donne in Italia. Si posizionano al centro della scena e guardando nella telecamera leggono la propria testimonianza su uno dei tanti momenti vissuti nei quali ognuna ha dovuto fare i conti con l’essere madre, lavoratrice, tutt’e due i ruoli o solo uno dei due, o semplicemente in cui si sono ritrovate a essere donne che vogliono esprimere il proprio desiderio di ricoprire quei ruoli, elencando tutte le difficoltà incontrate lungo tali percorsi. Allora, ecco che Call for women affronta con una certa ironia problemi come colloqui di lavoro durante i quali vengono poste domande indesiderate e fuori luogo su ipotetiche gravidanze; contesti familiari in cui pare che la madre in quanto tale debba occuparsi necessariamente di tutto; pregiudizi su donne che al di là del volere o meno una gravidanza vorrebbero intraprendere una carriera di successo; la poca informazione medica sul corpo di una donna, su cosa succede per chi vuole avere figli ma non può e su cosa potere fare in tali circostanze, una disinformazione abbinata a una conseguente solitudine.

Sono veramente tutti luoghi comuni e basta? No, purtroppo sono testimonianze realistiche che ancora oggi si ripresentano fin troppo spesso, nonostante i passi in avanti fatti rispetto alle epoche passate. Call for women nasce dall’esigenza di raccontare l’essere una donna in Italia nello specifico, parlando non di situazioni esplicite davanti alle quali è inevitabile restare scandalizzati, ma di certe circostanze subdole rientrate ormai nella mentalità comune e che talvolta per questo motivo vengono taciute, per ignoranza, per indifferenza, per potere. Invece, andrebbero affrontate maggiormente e meglio, nell’idea di una società che possa finalmente liberarsi dal patriarcato.

Nel momento in cui davanti a un datore di lavoro si forza la candidata a mettere in evidenza il fatto che sia una donna e che, dunque, non può usufruire di tutti quei diritti ai quali avrebbe accesso un altro essere umano, magari uomo e nel momento in cui temi come la maternità sono trattati come necessariamente riconducibili a una donna come se altrimenti la si snaturalizzasse, allora si crea la diseguaglianza. Ma non solo, perché Call for women dedica uno sguardo anche a tutte quelle donne che vorrebbero una famiglia ma temporeggiano dovendo sforzarsi il doppio per avere un lavoro stabile, proprio perché per chi le assume sembra essere un problema una futura gravidanza. Allora, il tempo scorre e per una donna è biologicamente fondamentale, ma anche su questo si fa molta disinformazione trattandolo come un’esagerazione.

Le statistiche parlano chiaro: <<Ne cito un paio: nel 2016 il 78% delle dimissioni da posto fisso sono state di donne che avevano avuto un bambino; nel 2020 le madri che hanno rassegnato le proprie dimissioni sono diventate 30mila, quasi la metà ha detto apertamente che il problema era proprio l’impossibilità di tenere insieme maternità e lavoro. Numerosi altri dati altrettanto gravi sono riportati nell’ultimo rapporto di Save The Children (2022) disponibile in rete. Dal dolore provato nel leggere queste informazioni oggettive, inoppugnabili e inaccettabili è nato questo testo>>. Pertanto, Call for women non si ripropone di essere una semplice raccolta dati, ma un boato di rabbia da parte di quelle donne che non vogliono rinunciare ad avere la forza per cambiare certe dinamiche. Il teatro, come luogo di condivisione catartica, di rappresentazione illusoria e concreta che riesce così a dare una vera e propria vita all’indicibile, in questo caso si veste di una funzione sociale che parla di donne ma che riguarda tutti, sulla cui importanza va riflettuto.

 

Fonte immagine: Teatro Di Napoli

A proposito di Francesca Hasson

Francesca Hasson nasce il 26 Marzo 1998 a Napoli. Nel 2017 consegue il diploma di maturità presso il liceo classico statale Adolfo Pansini (NA) e nel 2021 si laurea alla facoltà di Lettere Moderne presso la Federico II (NA). Specializzanda alla facoltà di "Discipline della musica e dello spettacolo. Storia e teoria" sempre presso l'università Federico II a Napoli, nutre una forte passione per l'arte in ogni sua forma, soprattutto per il teatro ed il cinema. Infatti, studia per otto anni alla "Palestra dell'attore" del Teatro Diana e successivamente si diletta in varie esperienze teatrali e comparse su alcuni set importanti. Fin da piccola carta e penna sono i suoi strumenti preferiti per potere parlare al mondo ed osservarlo. L'importanza della cultura è da sempre il suo focus principale: sostiene che la cultura sia ciò che ci salva e che soprattutto l'arte ci ricorda che siamo essere umani.

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