INSHALOM – o l’assurda partita – al Piccolo Bellini | Recensione

Inshalom

Recensione di “INSHALOM, o l’assurda partita”: in scena al Piccolo Bellini dal 21 al 23 gennaio 2025.

INSHALOM: il racconto dell’assurdità della guerra

INSHALOM narra la complessa convivenza tra due uomini, Shlomo, israeliano, e Nassur, palestinese, impiegati presso una singolare “conta-anime” situata nella Striscia di Gaza. I due lavorano per i rispettivi governi sotto la supervisione di Bob, un militare dei caschi blu dell’ONU. Il loro compito è quello di aggiornare il macabro conteggio delle vittime, ridotte a meri numeri per la propaganda bellica. I due protagonisti, portatori di culture e ideologie diametralmente opposte, si ritrovano così coinvolti in una assurda sfida, eco e specchio del sanguinoso conflitto che si protrae da decenni nel Vicino Oriente. L’orrore della guerra, quanto mai attuale, viene rappresentato attraverso un sapiente uso di black humor, crudezza e ironia, senza però mai perdere di vista l’umanità dei personaggi. Il risultato è un potente messaggio di pace che colpisce dritto allo stomaco dello spettatore.

La trama, pur nella sua essenzialità, si rivela efficace nel descrivere la singolare esperienza di due individui costretti a considerarsi nemici, divisi da un conflitto che infuria all’esterno. Entrambe le nazioni, Israele e Palestina, sono pedine dello stesso gioco, quello della guerra, un gioco senza vincitori dove, al di là delle questioni politiche e sociali, a perdere sono sempre i civili.

INSHALOM: la pace come fulcro della rappresentazione

INSHALOM, titolo della pièce, che in ebraico significa, non a caso, “pace“, rappresenta la più alta aspirazione dell’ebraismo. In 90 intensi minuti, la compagnia ha portato in scena la guerra israelo-palestinese, trasformandola in una profonda riflessione. La guerra viene analizzata non solo nella sua dimensione bellica, ma anche come scontro interiore, ideolico, tra la paura dell’altro e i pregiudizi radicati che emergono nei dialoghi serrati.

La scenografia, essenziale ma evocativa, immerge lo spettatore nell’ambientazione. Sullo sfondo, le bandiere palestinese e israeliana e i due tabelloni che riportano il conteggio dei morti incorniciano la scena. INSHALOM, l’assurda partita si avvale di un cast di talento (Maurizio D. Capuano, anche regista, Giuseppe Brandi, Carmen del Giudice, Francesco Petrillo, Emanuele Di Simone, Silvia Brandi) che riesce a rendere la complessità del conflitto ancora attuale, alternando momenti drammatici a spunti ironici e riflessivi. La regia di Capuano, incisiva e priva di compromessi, offre uno sguardo dissacrante e profondamente umano sulla forzata convivenza dei due protagonisti (e dei due popoli).

Un’opera teatrale che lascia il segno

L’opera, un pregevole esempio di teatro civile, è un squarcio introspettivo nelle esistenze dei due personaggi, accomunati dalla ricerca della pace. Pace, un obiettivo in teoria condiviso  ma che stenta a realizzarsi quando il dialogo si arena. Ed è proprio qui che emergono i dialoghi sarcastici, che svelano in maniera tragicomica una guerra permeata da profonde divergenze e incomprensioni.

Come si legge nelle note di regia, C’è un palestinese, un israeliano e un americano. Si ride, ma non è una barzelletta”. Una premessa dal sapore amaro che introduce perfettamente quello che effettivamente è il tono dello spettacolo, tipico della scrittura, della cifra drammaturgica del suo autore. Sempre nelle note, lo stesso ha poi dichiarato: “In questa pièce ho cercato di raccontare il conflitto arabo-israeliano senza cedere al facile patetismo della Shoah. Sul palco Israele e Palestina giocano lo stesso gioco assurdo e nessuna nazione ne esce vincitrice, nessuno ha ragione”.

“Non diamo potere alle armi ma alle parole“, con queste parole pronunciate da Shlomo prima di congedarsi, si chiude uno spettacolo di forte impatto emotivo. La citazione risuona come un monito inequivocabile, una potente sintesi del messaggio dello spettacolo: la guerra non è mai la soluzione, solo la pace è l’ideale da perseguire con instancabile determinazione. Queste parole finali lasciano un segno profondo, esortando il pubblico a riflettere sull’importanza del dialogo come unica vera alternativa alla violenza.

Fonte: archivio personale e ufficio stampa

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