L’arte della famiglia di Silvio Fornacetti | Recensione

L'arte della famiglia

La programmazione del Teatro Tram di via Port’Alba continua a procedere a piccoli passi con un nuovo spettacolo andato in scena dall’11 al 14 novembre: L’arte della famiglia. Sulla scia del successo del film di Mario Martone, Qui rido io, anche Silvio Fornacetti apre un focus sul dietro le quinte della vita di Eduardo Scarpetta e dei De Filippo. Ma al centro dell’attenzione vi è Luisa De Filippo, la madre di Eduardo, Peppino e Titina De Filippo: una pièce in cui Angela Bertamino e Daniela Quaranta raccontano confessioni, leggende e testimonianze di una madre a suo modo coraggiosa nel rapporto complesso con sua figlia.

L’arte della famiglia tutta al femminile

Eduardo Scarpetta e di conseguenza Eduardo De Filippo sono sempre stati figure centrali per il pubblico, capaci di mettere in secondo piano il resto. Pertanto, poco si sa della figura di Luisa, un volto destinato ad essere additato sempre come “l’amante di…” o “la madre di…”.

Luisa è stata una donna che ha vissuto dietro le quinte, all’ombra del suo amore più grande. Ma adesso è lei a raccontarsi in uno spettacolo che si rivela una confessione intima delle sue insicurezze da donna che è sempre venuta dopo qualsiasi cosa, delle sue paure da madre che si chiede se sia riuscita in fondo a dare una vita dignitosa ai suoi figli al di là di case sfarzose, vestiti costosi e altri agi.

Sotto la costante presenza aitante di Scarpetta, simboleggiata dal suo classico cilindro sempre in scena, sospeso a mezz’aria come ad esserci anche se non fisicamente, Luisa De Filippo dà spazio ai suoi sentimenti, ai suoi pensieri, anche attraverso il rapporto complicato con l’unica sua controparte femminile ovvero Titina, sua figlia. Cerca di controllarla, di renderla una perfetta donna di casa adatta a quei tempi, le insegna a preparare ragù e cerca di richiamarla all’ordine distogliendola dal teatro. Luisa che non ha mai controllato niente nella sua vita cerca in tutti modi di controllare quella dei suoi figli. Ma l’attrazione per quelle tavole di legno è una forza a cui né Titina né i suoi fratelli riescono a dire di no, relegando ancor di più l’agire della madre in fondo a tutto.

È un gioco di luci ed ombre, un continuo passaggio dal palco alla vita reale, fino al punto in cui non si riconoscono più i confini tra cosa effettivamente sia reale e cosa no. Ed in questa ambiguità Luisa parla come non farebbe mai fuori dalle sue mura domestiche, con monologhi alternati a dialoghi intermittenti, ora illuminati ora oscurati, con sua figlia Titina. L’intento di Silvio Fornacetti sembra essere quello di mettere in scena tutto sommato due tipi di coraggio: quello di Luisa di amare, nonostante le malelingue, nonostante il suo essere costretta a stare in un angolino dal quale esce solo perché “lui quello vuole…”; e quello di Titina, una donna anticonformista che all’amore per un uomo preferisce quello per il palco e decide di lasciare tutto per unirsi al successo dei suoi fratelli. È uno scontro tra due donne diverse che si parlano senza mai effettivamente incontrarsi per davvero e talvolta, mentre l’una parla, l’altra si oscura, e viceversa.

Ma Luisa dimostra di essere anche una madre in fin dei conti orgogliosa dei suoi figli, infatti capisce l’importanza della loro scelta di seguire il teatro così diversa da quella di Scarpetta: per Titina, Peppino e Eduardo il teatro ha il sapore della libertà, quella che la loro madre non ha mai conosciuto o, forse, non ha mai voluto conoscere.

Luisa De Filippo: una soggettività nascosta

L’idea su chi fosse veramente Luisa De Filippo è molto labile, proprio per quella centralità che non ha mai avuto. Ma si può provare a delinearne i tratti attraverso le figure femminili e le madri presenti nelle opere di Eduardo e Peppino. Silvio Fornacetti accenna a questo contatto, in particolare con Filumena Marturano, una delle donne eduardiane più discusse, che decreta irremovibile: “E’ figli so’ figli”.

L’arte della famiglia, allora, è uno spettacolo che più che dire qualcosa di nuovo assume le sembianze di un’indagine sull’universo femminile dei De Filippo, tutto da scoprire, offrendoci una curiosità nuova sullo studio di quelle rappresentazioni teatrali così radicate nella nostra tradizione che ci permette di leggerle con un punto di vista al femminile al di là della centralità maschile. Una pièce, insomma, che si pone anche come una riflessione di genere.

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A proposito di Francesca Hasson

Francesca Hasson nasce il 26 Marzo 1998 a Napoli. Nel 2017 consegue il diploma di maturità presso il liceo classico statale Adolfo Pansini (NA) e nel 2021 si laurea alla facoltà di Lettere Moderne presso la Federico II (NA). Specializzanda alla facoltà di "Discipline della musica e dello spettacolo. Storia e teoria" sempre presso l'università Federico II a Napoli, nutre una forte passione per l'arte in ogni sua forma, soprattutto per il teatro ed il cinema. Infatti, studia per otto anni alla "Palestra dell'attore" del Teatro Diana e successivamente si diletta in varie esperienze teatrali e comparse su alcuni set importanti. Fin da piccola carta e penna sono i suoi strumenti preferiti per potere parlare al mondo ed osservarlo. L'importanza della cultura è da sempre il suo focus principale: sostiene che la cultura sia ciò che ci salva e che soprattutto l'arte ci ricorda che siamo essere umani.

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