Le cinque rose di Jennifer | Recensione

Le cinque rose di Jennifer | Recensione

Le cinque rose di Jennifer, uno dei testi più riconosciuti del drammaturgo contemporaneo Annibale Ruccello, ritorna al Teatro Bellini nella stagione 2021/2022, dopo il suo precedente successo e dopo avere ricevuto dalla critica il Premio Le Maschere del Teatro Italiano, con la regia di Gabriele Russo e con gli attori Daniele Russo e Sergio Del Prete.

La trama

Jennifer è un travestito della Napoli degli anni ’80. Per quanto si mostri indifferente, cela un animo da inguaribile romantica: aspetta da tre mesi una telefonata da un uomo di cui si conosce solo il nome, Franco. Ma questa telefonata non arriverà mai, o almeno non prima dell’ultimo gesto di Jennifer, esausta di restare nel limbo dell’attesa, in una solitudine infinita. L’unica con cui ha un dialogo tangibile è Anna, un altro travestito, che come lei attende qualcosa che non arriva. Intanto, la radio è sempre accesa e trasmette le canzoni di Mina e di Patty Pravo, intervallate dalla notizia del telegiornale che un serial killer si aggira per il quartiere, uccidendo i travestiti e come marchio lascia cinque rose su ogni cadavere.

Le cinque rose di Jennifer: la recensione

Lo spettacolo si fonda su una certa ambiguità di fondo. A partire da Jennifer stessa, che già nel suo essere un travestito simboleggia un doppio, presenta un carattere fatto di scatti improvvisi, di disperazione, gioia illusoria e rabbia esplosiva. Ma vi è anche il suo rapporto con la vicina, Anna, che durante tutta la prima parte della messa in scena non si sposta dalla penombra e si muove a specchio con la protagonista: che sia l’inconscio di Jennifer, il suo doppio? Ciò di cui Jennifer stessa ha paura, cioè la solitudine? Anna, infatti, è completamente sola se non per il suo gatto che tratta con un affetto a tratti morboso, ma oltre ciò non ha nient’altro, nessuna promessa di una telefonata fatta da uno spasimante conosciuto per caso. Anna è l’incarnazione della solitudine, è proprio ciò da cui Jennifer cerca di scappare a tutti i costi, in un tentativo che si rivelerà vano. Allora, Le cinque rose di Jennifer è una storia che parla di emarginati, di chi è costretto a nascondersi fuori e soltanto al chiuso della propria casa si sente libero di trasformarsi in sé stesso; ma quella casa che tanto appare come un rifugio, si rivela per forza in una gabbia che racchiude la pienezza della solitudine.

Trasformarsi, nascondere sono tutte parole chiave che sottintendono il concetto di doppio, che si esterna non solo nel binomio Anna-Jennifer e nella loro natura di travestiti, ma anche in una trama thriller che non lascia alcun tipo di risoluzione. Un mistero portato avanti da una performance brillante sia di Daniele Russo che di Sergio Del Prete, accompagnati dalla regia sapiente di Gabriele Russo che ha scelto di rimanere fedele al testo di Ruccello, accentuandone comunque la sua dimensione doppia, il suo essere un qualcosa che «si copre e si agghinda».  

Fonte immagine: Teatro Bellini

A proposito di Francesca Hasson

Francesca Hasson nasce il 26 Marzo 1998 a Napoli. Nel 2017 consegue il diploma di maturità presso il liceo classico statale Adolfo Pansini (NA) e nel 2021 si laurea alla facoltà di Lettere Moderne presso la Federico II (NA). Specializzanda alla facoltà di "Discipline della musica e dello spettacolo. Storia e teoria" sempre presso l'università Federico II a Napoli, nutre una forte passione per l'arte in ogni sua forma, soprattutto per il teatro ed il cinema. Infatti, studia per otto anni alla "Palestra dell'attore" del Teatro Diana e successivamente si diletta in varie esperienze teatrali e comparse su alcuni set importanti. Fin da piccola carta e penna sono i suoi strumenti preferiti per potere parlare al mondo ed osservarlo. L'importanza della cultura è da sempre il suo focus principale: sostiene che la cultura sia ciò che ci salva e che soprattutto l'arte ci ricorda che siamo essere umani.

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