Lo Spopolatore di Beckett (Galleria Toledo) | Recensione

Lo Spopolatore di Beckett (Galleria Toledo) | Recensione

Dal 31 ottobre al 2 novembre, alla Galleria Toledo di Napoli va in scena Lo Spopolatore di Beckett.

Anche per la stagione 2025/2026 del Teatro Stabile d’Innovazione Galleria Toledo viene inaugurato il Progetto Beckett, a cura di Laura Angiulli e Gabriele Frasca. Il primo spettacolo ad andare in scena è Lo Spopolatore di Beckett, tradotto da Gabriele Frasca e rappresentato dal Collettivo Bombice militato da Guido Acampa, Roberto C, Gabriele Frasca, Stefano Perna e Massimiliano Sacchi. La pièce è descritta come un «concerto per buio, suoni, voce e segni» in cui il drammaturgo irlandese immagina di rinchiudere l’esistenza umana in una bolgia dantesca a forma di cilindro, ovvero una sorta di Purgatorio con corpi in movimento.

Lo Spopolatore di Beckett: frammento e prosa visionaria

Lo Spopolatore di Beckett (Galleria Toledo) | Recensione
Il concerto prima della lettura de Lo Spopolatore di Beckett

A causa di seri disturbi alla vista che portano il drammaturgo irlandese a scrivere in una condizione di ansia costante, Lo Spopolatore di Beckett è un testo abortito e rinato a più riprese. Una prima stesura avviene nel 1965 ed è recuperata, poi, nel 1966. L’anno successivo sono messe a disposizione sulla rivista Livres de France due pagine con il titolo di Dans le Cylindre. Ma soltanto nel 1970 l’autore arriva all’edizione definitiva, consegnando al pubblico una delle opere in prosa più visionarie e ai vertici della sua produzione. Con un certo tipico gusto per la descrizione geometrica, Beckett immagina un cilindro in gomma dura di 50 metri di circonferenza e di 16 metri di altezza, lungo il quale si aprono una serie di nicchie e vicoli. All’interno, rinchiude circa duecento esseri – da notare come non li identifica mai in qualità di esseri umani o individui, usando una terminologia in tal senso neutra e generale.

Davanti a questo scenario claustrofobico, il pubblico è richiamato a prendere visione di quei corpi, alcuni dei quali se ne stanno fermi o, altri, semplicemente in movimento. Quella descritta in Lo Spopolatore di Beckett è una situazione grottesca, ai limiti del surreale e dell’assurdo, eppure ha una terribile tangibilità. Si ha l’idea di assistere a un documentario, coadiuvato da una voce fuori campo che conduce una descrizione gelida e puntuale, proprio come se fosse una macchina da presa, un grande unico occhio che osserva e narra. Di riferimenti ce ne possono essere tanti: dal Big Brother di 1984 scritto da Orwell, al Purgatorio di Dante con le anime costantemente al limbo tra dannazione e via di fuga per la salvazione, alla realtà dei campi di concentramento. Ma al di là di qualsiasi congettura, erudita o meno che sia, resta quella straordinaria capacità di scrittura nel tratteggiare i contorni di una condizione palpabile restituendo un senso di inquietudine e soffocamento. Ovvero, è una terribile identificazione con un’esistenza umana all’ultimo stadio.

Dalla compagnia Mabou Mines al Collettivo Bombice

Lo Spopolatore di Beckett (Galleria Toledo) | Recensione
Lettura del testo Lo Spopolatore di Beckett

Nel 1976, la compagnia teatrale newyorkese Mabou Mines mette in scena per la prima volta Lo Spopolatore di Beckett sotto approvazione dell’autore. La particolare rappresentazione prevede l’allestimento di uno spazio cilindrico, da cui il pubblico osserva un cilindro in miniatura riprodotto perfettamente secondo le indicazioni del testo e con all’interno una serie di statuine. Dunque, in questo modo l’attore David Warrilow replica puntualmente i movimenti descritti nella prosa offrendo allo spettatore una prospettiva per la quale è come se si trattasse di un grande occhio, un’unica immensa lente di ingrandimento che consente uno sguardo specificatamente interessato. Nella versione attuale del Collettivo Bombice, invece, si sceglie una visione canonica che distacca il palcoscenico dalla platea, offrendo a quest’ultima l’ascolto della lettura del brano arricchito, nel mentre, da un interessante lavoro di grafiche in movimento.

Nella tipologia di rappresentazione di Lo Spopolatore di Beckett indicata dal Collettivo Bombice, quindi, non si riscontra alcuna scelta di una messinscena nuova o particolare. Piuttosto, è un lavoro improntato sull’ascolto della musica, sulla parola della lettura e sulla visione delle immagini proiettate. L’intento che ne deriva può avere una ramificazione molteplice: può seguire un interesse divulgativo, comunque, di un testo appartenente a un autore che ha caratterizzato una parte fondamentale della storia del teatro; può essere un’intenzione educativa, in questo senso ma anche nel contenuto portato con tutti i collegamenti citati; allora, può avere una ramificazione celebrativa di quello che è un classico effettivamente senza né tempo né luogo. Da tempo la Galleria Toledo con la direzione di Laura Angiulli si è sedimentata su una serie di operazioni del genere, che da un lato hanno quel potenziale conoscitivo e, soprattutto, di quella conservazione della memoria che attualmente è una questione riproposta fondamentale. Ma il punto, secondo il dipanarsi di una messinscena che è statica seguendo la lettura a conti fatti, è: qual è il target del pubblico? Un teatro che si definisce di innovazione, a chi veramente vuole aprire le porte? Basta una platea di nicchia o c’è – sicuramente – la capacità creativa di ampliare lo sguardo (al netto di tutte quelle che possono essere le difficoltà sociali, politiche e materiali che non vanno sminuite)? 


Lo spopolatore – di Samuel Beckett – copyright Editions de Minuit – produzione Galleria Toledo – traduzione Gabriele Frasca – con Guido Acampa, Roberto C, Gabriele Frasca, Stefano Perna e Massimiliano Sacchi – Galleria Toledo, dal 31 ottobre al 2 novembre.

Fonte immagini: Ufficio Stampa

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A proposito di Francesca Hasson

Francesca Hasson è giornalista pubblicista, iscritta all’Albo dal 2023. Appassionata di cultura in tutte le sue declinazioni, unisce alla formazione umanistica una visione critica e sensibile della realtà artistica contemporanea. Dopo avere intrapreso gli studi in Letteratura Classica, avvia un percorso accademico presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e consegue innanzitutto il titolo di laurea triennale in Lettere Moderne, con una tesi compilativa sull’Antigone in Letterature Comparate. Scelta simbolica di una disciplina con cui manifesta un’attenzione peculiare per l’arte, in particolare per il teatro, indagato nelle sue molteplici forme espressive. Prosegue gli studi con la laurea magistrale in Discipline della Musica e dello Spettacolo, discutendo una tesi di ricerca in Storia del Teatro dedicata a Salvatore De Muto, attore tra le ultime defunte testimonianze fondamentali della maschera di Pulcinella nel panorama teatrale partenopeo del Novecento. Durante questi anni di scrittura e di università, riscopre una passione viva per la ricerca e la critica, strumenti che considera non di giudizio definitivo ma di dialogo aperto. Collabora con il giornale online Eroica Fenice e con Quarta Parete, entrambi realtà che le servono da palestra e conoscenza. Inoltre, partecipa alla rivista Drammaturgia per l’Archivio Multimediale AMAtI dell’Università degli studi di Firenze, un progetto per il quale inserisce voci di testimonianze su attori storici e pubblica la propria tesi magistrale di ricerca. Carta e penna in mano, crede fortemente nel valore di questo tramite di smuovere confronti capaci di generare dubbi, stimolare riflessioni e innescare processi di consapevolezza. Un tipo di approccio che alimenta la sua scrittura e il suo sguardo sul mondo e che la orienta in una dimensione catartica di riconoscimento, di identità e di comprensione.

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