Nella solitudine dei campi di cotone, Koltès al NTFI

Nella solitudine dei campi di cotone

Per il Napoli Teatro Festival Italia, nella meravigliosa cornice del Palazzo Reale, è andato in scena, il 6 luglio, uno dei testi più affascinanti e complessi di Bernard-Marie Koltès, Nella solitudine dei campi di cotone (1986), regia di Andrea De Rosa

«Non sono qui per dar piacere io, ma per riempire l’abisso del desiderio, per richiamare il desiderio alla mente, per costringere il desiderio ad avere un nome, per trascinarlo fino a terra, dargli forma e peso, con l’inevitabile brutalità che c’è nel dare una forma e un peso al desiderio.»

C’è qualcosa di più seducente e magnetico di un desiderio?

Una scena scarna in cui l’unica nota di colore è il rosso di un drappo di velluto, in sottofondo la dolcezza delle note di Bach e due personaggi sospesi in un tempo-non tempo e in un luogo non-luogo. Chi sono? Dove sono? Perché si sono incontrati? E perché proprio in quel momento? Domande che non trovano risposte. Domande che, forse, non necessitano di risposte. 

Uno ha qualcosa da vendere, l’altro sta al gioco e dice che forse comprerà. Cosa, non è dato saperlo. Una transazione tra un venditore e un compratore che avviene nell’oscurità, nell’ora dei rapporti brutali tra gli uomini e gli animali, assumendo ora i tratti di un duello, ora di un gioco erotico. Lei, il venditore, seduce. Lui, il compratore, schiva. Tutto ruota attorno a un “contatto verbale”, un fiume di parole non sempre facilmente navigabile: le metafore, tratte dal mondo animale e della prostituzione, unite agli sguardi che si consumano tra i due, ridefiniscono l’idea del desiderio non più inteso come la necessità di ottenere un oggetto, ma come il bisogno di soddisfare un impulso. 

Un labirinto oscuro in cui è facile perdersi, una transazione commerciale il cui fine ultimo è indagare il fondo della coscienza e farlo venire alla luce con la parola. E proprio in un’estenuante lotta di parole si incontrano/scontrano le identità frammentate e incompiute dei due personaggi che restano sospesi, galleggianti nelle loro solitudini. Un conflitto logorante, che non trova pace, tra l’amore e la morte, il desiderio e la paura, l’animale e l’uomo, il buio e la luce, nuclei ancestrali intorno ai quali si consuma da sempre l’esistenza. In nome di quella che per Koltès è la più grande sfida del teatro: abbandonare il palcoscenico per ritrovare la vita reale.

Testo volutamente difficile quello di Koltès, scelto da Andrea De Rosa per il ritorno in scena dopo mesi di riflettori spenti e sipari abbassati. 

«Durante la quarantena, scrive De Rosa nelle note di regia, ho pensato spesso ai teatri vuoti. Bui, freddi, silenziosi. Era un’immagine che allo stesso tempo mi attraeva e mi spaventava, come quando ero bambino e non riuscivo a farmi capace che la mia casa continuasse a esistere anche quando non c’era più nessuno. Che cos’è una casa quando non c’è nessuno che la abita? Che cos’è un teatro vuoto? Continua a esistere per chi? Ho immaginato il luogo dove si svolge Nella solitudine dei campi di cotone come un teatro vuoto; ho immaginato il personaggio del “venditore” come un’attrice dimenticata su un palcoscenico e il “cliente” come un uomo che viene da fuori; ho immaginato che la merce intorno alla quale si conduce la misteriosa trattativa tra i due personaggi riguardasse il teatro stesso. Se è vero, infatti, che possiamo davvero vivere uno spazio solo nel momento in cui si svuota, allora questo è un momento privilegiato per chiederci il teatro cos’è».

Alla difficoltà del testo, che lascia lo spettatore turbato, a tratti incapace e, al tempo stesso, desideroso di capire, fa eco la bravura dei due attori, Federica Rosellini, imponente sulla scena, in un meraviglioso abito d’epoca, e il talentuoso Lino Musella, che sulle tavole del palcoscenico sembra proprio esserci nato. Un’ora e trenta di virtuosismi verbali, filosofici e complessi davanti a una platea disposta, come la situazione impone, come pedine sparse, distanziate su una scacchiera, rischiando il solo contagio consentito e, anzi, consigliato: quella magia, da troppo tempo sospesa, di cui solo il teatro, con il suo hic et nunc, sa essere capace.

Nella solitudine dei campi di cotone 

di Bernard-Marie Koltès

con Federica Rosellini, Lino Musella

regia Andrea De Rosa 

 

Immagine in evidenza: napoliteatrofestival.it/edizione-2020/

A proposito di Rossella Capuano

Amante della lettura, scrittura e di tutto ciò che ha a che fare con le parole, è laureata in Filologia, letterature e civiltà del mondo antico. Insegna materie letterarie. Nel tempo libero si diletta assecondando le sue passioni: fotografia, musica, cinema, teatro, viaggio. Con la valigia sempre pronta, si definisce “un occhio attento” con cui osserva criticamente la realtà che la circonda.

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