Questa splendida non belligeranza, al Bellini | Recensione

Questa splendida non belligeranza, al Bellini | Recensione

Prosegue la stagione 2024/2025 al Teatro Bellini con Questa splendida non belligeranza – Una storia così, poi così e infine così, vincitore In-Box 2022.

Una commedia sul devastante quieto vivere

Proprio così, Questa splendida non belligeranza – Una storia così, poi così e infine così, andato in scena il 18 febbraio al Piccolo Bellini di Napoli, si struttura come una commedia di un certo sapore umoristico malinconico sul quieto vivere, sul vivere una normalità tranquilla al punto da risultare devastante, scevra da qualsiasi forma di scontro e, dunque, su un vivere che annienta le emozioni, la ricerca del proprio posto nel mondo, su un vivere quella che in fondo è una morte totale. Lo spettacolo è scritto e diretto da Marco Ceccotti, con le interpretazioni di Giordano Domenico Agrusta, Luca Di Capua, Simona Oppedisano e la produzione Teatro Metastasio di Prato in collaborazione con Consorzio Altre produzioni indipendenti con il sostegno di Teatro di Roma, Carrozzerie n.o.t, Teatro San Carlino, Fortezza Est.

Si legge, infatti, nella sinossi di Questa splendida non belligeranza: «Commedia moderata sul devastante quieto vivere. Un figlio, Luigi, ossessionato dalla morte in senso negativo, racconta finali di libri e film a persone che sono alla fine della loro esistenza. Un padre, pacifista emotivo, si guadagna da vivere decorando sanitari per dittatori sanguinari. Una madre, ironizzatrice cronica, cerca la felicità nei libri horror. Le loro giornate sono un susseguirsi di abitudini rassicuranti, piccoli rimpianti, sogni rimandati, traumi ricercati e insalate poco condite». Questa la presentazione di uno spettacolo basato sulla non-azione, sull’attesa, anche snervante, che accada qualcosa. Ma è proprio quell’attesa, quel vuoto apparentemente senza parole, a raccontare di una realtà sociale e generazionale più che mai presente.

Questa splendida non belligeranza, ovvero una storia così, poi… niente più!

All’interno di una cornice famigliare, in cui è ovvio che si instaurino relazioni complesse, Questa non splendida belligeranza esorcizza l’importanza dello scontro. Lo scontro come potere di confronto, come terreno fertile per imparare l’arte dell’arricchire la propria consapevolezza. Allora, il racconto che ne fa Ceccotti con tutte le sue dilatazioni, con quel suo umorismo tanto paradossale quanto apparentemente assurdo, non si può esaurire a quei meccanismi propri di una famiglia fin troppo comune, bensì si apre a metafora del racconto di un intreccio presente di generazioni.

Ci sono, infatti, i genitori così presi dal restituire una vita senza sofferenze ai propri figli che invece di insegnare a sbagliare insegnano l’inganno, prima o poi fallace, dell’assenza di responsabilità, della perfezione di una cristalliera costruita con ciò che viene confuso per amore. E c’è, infine, il figlio che, quando la vita gli scaraventa quell’onda di responsabilità, preferisce stendersi inerme sul pavimento e lasciarsi scivolare tutto addosso, sperando che passi, perché non ha assunto altri strumenti per affrontarla, perché alle continue richieste di un’opposizione ha sempre ricevuto l’indifferenza di una carezza al gusto della paura di dare altro, perché alle richieste di imparare a prendere una posizione ha sempre ricevuto un si fa così, poi così e poi…niente più!

Disimparare alla normalità: la “noia” latente che implode

Tre coni di luce, un tempo scandito soltanto da dei fogli, al netto di una scenografia esigua e sempre uguale, statica come quella non-vita che si svolge sul palcoscenico. Questa non splendida belligeranza delinea i tratti di una storia che paradossalmente sembra non avere qualcosa da raccontare, anzi, dice di una normalità assoluta, totalizzante ogni aspetto della vita dei personaggi. Una normalità intervallata da spazi di un umorismo malinconico, pungente perché freddo, usato come arma per proteggersi da quell’incapacità di agire, di vivere. Le interpretazioni degli attori rendono bene il concetto dandosi un taglio monotono, a tratti sarcastico, che sottintende una guerra latente.

Finché, infine, Questa splendida non belligeranza implode e ricade su sé stesso. Se all’inizio il ritmo è lento, scandito da assenze, dall’assenza di scontro, dall’assenza persino di un plot, progressivamente nella sottotrama si avverte quella latenza di una “noia” – letterariamente parlando – così esponenziale da distribuire le avvisaglie di un meccanismo che si sta autodistruggendo. E lo scontro arriva, l’autodistruzione di quel subdolo gioco teatrale si avvera dando spazio ad un nonsense paradossalmente carico di molteplici sensi. In questo limbo costante e non concluso, lo spettacolo non può che finire così, è inevitabile, restituendo al pubblico domande e riflessioni.

Fonte immagine di copertina: Ufficio Stampa  

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A proposito di Francesca Hasson

Francesca Hasson nasce il 26 Marzo 1998 a Napoli. Nel 2017 consegue il diploma di maturità presso il liceo classico statale Adolfo Pansini (NA) e nel 2021 si laurea alla facoltà di Lettere Moderne presso la Federico II (NA). Specializzanda alla facoltà di "Discipline della musica e dello spettacolo. Storia e teoria" sempre presso l'università Federico II a Napoli, nutre una forte passione per l'arte in ogni sua forma, soprattutto per il teatro ed il cinema. Infatti, studia per otto anni alla "Palestra dell'attore" del Teatro Diana e successivamente si diletta in varie esperienze teatrali e comparse su alcuni set importanti. Fin da piccola carta e penna sono i suoi strumenti preferiti per potere parlare al mondo ed osservarlo. L'importanza della cultura è da sempre il suo focus principale: sostiene che la cultura sia ciò che ci salva e che soprattutto l'arte ci ricorda che siamo essere umani.

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