Salomè, del Collettivo Cenerentola | Recensione

Salomè, del Collettivo Cenerentola | Recensione

Salomè al Teatro TRAM

La stagione del Teatro TRAM continua il suo viaggio tra le riscritture e le conseguenti rielaborazioni dei grandi classici sia del teatro che della letteratura, come questa volta con Salomè, tratto dai testi di Wilde e Flaubert. Lo spettacolo vede sulla scena le interpretazioni di Eleonora Cimafonte, Katia D’Ambrosio e Dario Guidi, con la regia di Francesco Lonano: insieme formano il Collettivo Cenerentola, giunto nel cuore di Napoli direttamente da Roma.

Recensione di Salomè

Salomè è un testo che mette in azione l’amore, il sesso e il potere, sviluppandosi così in un vero e proprio gioco teatrale durante il quale i ruoli di vittime e carnefici si compongono per poi mettersi in discussione il momento appena successivo. Si ragiona, infatti, sulla doppiezza delle dinamiche che si instaurano tra i personaggi: in un primo momento, sembra che instaurino il loro dominio i personaggi di Erode (interpretato dall’attrice Eleonora Cimafonte), il patrigno che con lussuria supplica Salomè di danzare per lui, e di Erodiade (Dario Guidi), la madre di Salomè che sull’animo di quest’ultima tenta in tutti i modi di trasferire la sua sete di vendetta; ma in realtà entrambi orbitano attorno alla presenza di Salomè stessa, capace di catalizzare in e su di sé la volubilità umana con tutte le sue oscurità. E poi, ancora, su tutti i personaggi incombe la presenza inquietante della luna, che come un magnete attrae un’umanità dilaniata dalle proprie irrazionali passioni. Quella stessa luna che scenicamente viene spesso staccata dallo sfondo scenografico per diventare un tamburo che, perentorio, scandisce i destini irrequieti dei personaggi, secondo una dinamica teatrale svelatrice della sua illusorietà.

Spiega il regista Lonano a proposito del suo spettacolo Salomè: «La riflessione sulla doppiezza, sul potere e la volubilità umana è stata al centro del lavoro attoriale e registico. Giocando su una compresenza di ruoli e inclinazioni, vogliamo restituire la parabola di un’umanità alla deriva, schiava del desiderio e oppressa dal senso della fine incombente, tragicamente speculare alla nostra quotidianità contemporanea. L’ambientazione dello spettacolo è stata ribaltata. Herode, Herodias e Salomè vivono prigionieri nella cisterna di Jokanaan. Vivono in una condizione di ristrettezza, sfioriti e si nutrono di scarti alimentari. Questo ribaltamento, pur non stravolgendo la dinamicità della drammaturgia, sottolinea ed esalta una delle caratteristiche più interessanti del testo di Wilde. Immaginando questa cisterna come la caverna del mito di Platone, realizziamo che i personaggi vivono in una condizione di oscuramento della vera realtà delle cose. Ciò ci ha permesso di interrogarci e porre l’attenzione su un tema di grande attualità: l’impotenza del potere. Da qui la scelta di delegare a tre volti bronzei la presenza del profeta Jokanaan, motore assente della vicenda, terrorizza e innamora, con la forza delle cose invisibili. Aspetto fondamentale della progettazione registica, oltre all’accurata ricerca filologico poetica, è l’esaltazione della tecnica attoriale di questi tre giovani attori che si mettono in gioco anche a livello musicale e coreografico».

Un lavoro di regia, insomma, che mette in luce l’ambivalenza degli esseri umani con le loro rispettive dinamiche, seguendo un percorso che procede con ritorsioni, doppi giochi e con l’illusorietà di una performance sviluppata su più livelli. Ancora una volta, infatti, Salomè si inserisce perfettamente nella stagione scelta dal TRAM, la quale se da un lato si anima di un certo interesse nel riprendere i classici del teatro e della letteratura, dall’altro li rivisita con gusti e questioni attuali: non è un caso che in Salomè Erode sia interpretato da una donna ed Erodiade da un uomo, rovesciando convenzioni e ruoli preimpostati secondo un linguaggio tipico del teatro contemporaneo.  

A proposito di teatro contemporaneo: pillole di riflessioni

Come si è già detto prima, con Salomè risulta chiaro ancora una volta che l’intenzione del TRAM è il recupero del classico provando, allo stesso tempo, a ricercare il nuovo. È un’operazione interessante, che dà adito a tutta una serie di riflessioni sulla scia intrapresa dal teatro odierno e più in generale dal contesto culturale contemporaneo. Sicuramente in questa manovra di recupero c’è memoria, un elemento fondamentale per assumere la consapevolezza della propria identità, e c’è la ricerca di un qualcosa che possa accogliere in sé le percezioni del presente. Anche in Salomè, per esempio, si riscontrano questioni di genere, colte nella loro fluidità, che ormai ci interessano da vicino e finché si parla in questo senso in riferimento al testo drammaturgico, risulta uno spettacolo che ben riesce nel suo scopo. Ma nel momento in cui ci si sposta nel campo del linguaggio teatrale, inteso come maniera di fare teatro, diventa un discorso complesso che non si limita allo spettacolo in sé ma si riferisce a delle dinamiche più generali.

Ancora oggi, si guarda a certe maniere teatrali contemporanee come ad un qualcosa di nuovo e inusuale, come lo stravolgimento delle convenzioni di scena e dei contenuti o il lavoro effettuato sul linguaggio verbale e non verbale, benché in realtà siano tutti retaggi del Novecento. L’invito che ci si augura di fare — e che nulla toglie alla bravura degli addetti ai lavori di una singola rappresentazione scenica — è quello di provare a iniziare a definire tali dinamiche sceniche contestualizzate nel loro tempo, non perché si debba etichettare in qualche modo l’arte bensì affinché si restituisca dignità ad una riforma teatrale del secolo scorso, affinché quest’ultima possa fungere anche da punto di partenza per altrettante riforme sempre nuove.

Fonte immagine di copertina: Teatro TRAM      

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A proposito di Francesca Hasson

Francesca Hasson è giornalista pubblicista, iscritta all’Albo dal 2023. Appassionata di cultura in tutte le sue declinazioni, unisce alla formazione umanistica una visione critica e sensibile della realtà artistica contemporanea. Dopo avere intrapreso gli studi in Letteratura Classica, avvia un percorso accademico presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e consegue innanzitutto il titolo di laurea triennale in Lettere Moderne, con una tesi compilativa sull’Antigone in Letterature Comparate. Scelta simbolica di una disciplina con cui manifesta un’attenzione peculiare per l’arte, in particolare per il teatro, indagato nelle sue molteplici forme espressive. Prosegue gli studi con la laurea magistrale in Discipline della Musica e dello Spettacolo, discutendo una tesi di ricerca in Storia del Teatro dedicata a Salvatore De Muto, attore tra le ultime defunte testimonianze fondamentali della maschera di Pulcinella nel panorama teatrale partenopeo del Novecento. Durante questi anni di scrittura e di università, riscopre una passione viva per la ricerca e la critica, strumenti che considera non di giudizio definitivo ma di dialogo aperto. Collabora con il giornale online Eroica Fenice e con Quarta Parete, entrambi realtà che le servono da palestra e conoscenza. Inoltre, partecipa alla rivista Drammaturgia per l’Archivio Multimediale AMAtI dell’Università degli studi di Firenze, un progetto per il quale inserisce voci di testimonianze su attori storici e pubblica la propria tesi magistrale di ricerca. Carta e penna in mano, crede fortemente nel valore di questo tramite di smuovere confronti capaci di generare dubbi, stimolare riflessioni e innescare processi di consapevolezza. Un tipo di approccio che alimenta la sua scrittura e il suo sguardo sul mondo e che la orienta in una dimensione catartica di riconoscimento, di identità e di comprensione.

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