Il viaggio di Calipso, una ninfa al Teatro di Documenti

Il viaggio di Calipso

Il viaggio di Calipso al Teatro di Documenti è un’esperienza immersiva che porta gli spettatori dentro la mente frastagliata della ninfa

Una luce che si spegne. Un silenzio accompagnato da sgomento generale. Nessun sipario, nessun avviso di sorta. Siamo già catapultati dentro lo spettacolo. Una donna, che scopriremo poi essere Calipso, ci guida. Non c’è nessun palco e non c’è nessuna distanza tra noi e quello che viene portato in scena. Lo spettacolo parte in sordina, come se volesse studiare gli spettatori prima di affondare il colpo. E poi, lentamente, si apre. Inizia a muoversi, e noi con lui.

Il viaggio di Calipso, uno spettacolo che si sposta. E ti sposta.

Calipso, un viaggio tra arcaico e contemporaneo non è uno spettacolo statico. È un viaggio che ti chiede letteralmente di alzarti e seguire la ninfa all’interno delle sue turbe. Da una stanza all’altra del Teatro di Documenti, ci muoviamo fisicamente ma anche emotivamente. È come entrare nella mente di Calipso: un luogo frastagliato, fatto di ricordi, di ossessioni, di amore e rancore che si mescolano insieme in parti uguali.

Il viaggio di Calipso verso un amore non corrisposto

È semplice, in fondo: Calipso ama Ulisse. Ulisse non la ama. Il più classico degli amori non corrisposti. A rappresentare l’intero rapporto tra i due, c’è una singola scena che da sola vale il prezzo del biglietto: il tango. Caterina Stillitano balla con un Ulisse rappresentato da un pupazzo, e con un filo rosso lega il suo corpo a quello dell’eroe dell’Odissea. Ma quello che succede in quei pochi minuti è in grado di causare vere e proprie vertigini. È struggente, ma mai patetico. Non cerca la lacrima facile a tutti i costi. Vuole mostrarti nella maniera più calzante possibile come ci si sente a inseguire spasmodicamente qualcuno che non ricambierà mai il tuo amore.

Un corpo e un volto che parlano più delle parole

Caterina Stillitano regge l’intero spettacolo da sola. Ma in fondo non serve molto altro. Le sue espressioni, il suo modo di muoversi, i silenzi, bastano a raccontare tutto. È magnetica. E quando entra la voce maschile – fuori campo, lontana, quasi disturbante – senti davvero l’assenza di Ulisse. È lì, ma non è lì. È la voce di qualcuno che non ti ha mai ascoltato davvero. E poi ci sono le scenografie. Meravigliose, nel senso più pieno della parola. Materiali, sonore, quasi vive.

La Ninfa, il mito, il presente

Calipso non è più solo la Ninfa dell’Odissea, ma diventa immagine archetipica dell’amore non corrisposto e del detto “in amore vince chi fugge”. Ma il viaggio di Calipso non è fatto solamente di sentimenti: è anche una questione di potere. Zeus consente agli dèi uomini di sposare le mortali, un qualcosa che alle dee non viene concesso.

Calipso, un viaggio tra arcaico e contemporaneo è rabbia contenuta, è amore unilaterale che si trasforma in condanna. Dura circa un’ora e venti, ma quando finisce, non avverti sollievo. Al contrario, rimani con una strana sensazione di incompiuto, come se volessi restare ancora un po’ per capire se sia davvero finita. Perché certe storie, se raccontate nel modo giusto, non ti abbandonano facilmente. E quel filo rosso, a distanza di tempo, hai la netta sensazione che continui ancora ad avvolgerti.

Fonte immagine: foto scattata da Giovanni Fede presso il Teatro di Documenti, il 13/04/25 durante lo spettacolo “Calipso, un viaggio tra arcaico e contemporaneo”

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