Ecco Sedici:noni, intervista ad Antonio Manco

Antonio Manco

Sugli schermi del cinema, così come in tv, nelle foto, si avvicendano immagini, ricordi a colori o in bianco e nero. Stavolta sono stampati in formato 16:9 e racchiusi in un disco folk, rock firmato per l’etichetta Apogeo Records, autoprodotto, suonato e cantato da Antonio Manco. Uscito due mesi fa, il 15 marzo 2019, Sedici:noni, il nuovo disco di Antonio Manco, descrive canzoni come se fossero fotografie in polaroid, da trasportare in giro per il mondo. L’anima viaggiatrice, che ha bisogno di esprimere tutto il suo mondo interiore, in questo disco esce fuori a 360°, anche supportata da un sound deciso, con toni blues mescolati ad un rock anni ’70, senza tralasciare quello spirito sempre più folk.

Sedici noni, dimensione delle foto, del cinema. Coniugare due arti, intrecciandole insieme. Manco, da dove nasce questo disegno?

Più che accomunare due arti, è stato naturale utilizzare un’espressione appartenente al mondo della fotografia, questo perché io sono molto legato alle foto, che siano il ricordo di viaggi, oppure legate a un’esperienza di vita di altra natura. L’idea è nata proprio dal voler evocare un ricordo, in particolar modo il ricordo di un viaggio. Quindi c’è stata una volontà più che artistica, umana. Ascoltando le tracce dell’album, una di seguito all’altra, mi sono reso conto di questo legame fotografico e che ogni singola traccia appariva come una singola foto. Il titolo dell’album è nato dopo, nella fase finale. Stavo cercando un titolo, così ho pubblicato su Facebook alcune foto di panorami, ed scrivendo in descrizione: “titolo dell’album?” Un amico, per prendermi in giro, mi dice: “sedici noni” ed io “sei un genio!” Quindi, non è venuto da me, anche se l’idea l’avevo dentro. Ciò di cui ero sicuro era come dovesse suonare l’album: il sound del blues, del folk non poteva mancare.

Oltre il ricordo del viaggio, che è facilmente riconducibile come filo rosso dell’album, c’è qualcos’altro che collega i vari brani?

La sensazione di rivalsa, che segue un periodo di malinconia, di difficoltà: tocchi il fondo, ma poi inizi a voler risalire e questo ti porta a compiere degli eccessi, poiché hai fame di quello che ti sei perso, e cammini, ma cammini nella direzione opposta: alzi il gomito, fai tardi, arrivi all’estremo. Poi ti fermi. Per me è questo il filo conduttore dell’album: la risalita.

Due brani del disco che consiglieresti all’ascoltatore?

Da quando è uscito l’album -ed ho avuto modo di vederlo anche in alcuni live- ci sono stati molti feedback positivi per il brano Necessità infernale… anche Federica Vezzo, la frontwoman dei Federa e Cuscini mi ha più volte ripetuto questa preferenza; un’altra canzone, questa volta a gusto mio, a cui sono molto affezionato per mood, è Alibi in Vetro.

Manco, qual è stata la canzone più complessa da scrivere?

Per scrivere Resilienza ho avuto difficoltà: si tratta di scrivere di battaglie interiori ed è una canzone che sento ancora molto addosso, nonostante sia passato tempo. Capita a volte che alcuni brani dopo un po’ non li senti più sulla tua pelle, questa canzone invece continua ad essermi cucita addosso, anche perché è un linguaggio che vivo sempre. È stato un brano che ho scritto, dopo che si erano rotti diversi rapporti, alcuni anche in maniera improvvisa e spiacevole: da qui sono nate le domande e quella parte di testo che appunto le racchiude tutte “forgia un uomo migliore”.

Perché scegliere di autoprodursi? Com’è stato lavorare con l’etichetta Apogeo Records?

Il mercato, si sa, è piuttosto saturo ed alla fine la musica si può farla a qualunque livello. Io non volevo scegliere un crowdfunding, poiché ritenevo che questo dovesse essere un mio investimento iniziale. Ho cercato diverse etichette, partito dall’idea di uscire fuori Napoli, ma alla fine mi sono reso conto che la proposta di coproduzione offertami da Apogeo era la più interessante ed era proprio a casa mia, a Napoli. Affidarsi ad Apogeo è stata una scelta che mi ha sollevato su tanti punti di vista, anche per il video del singolo, per esempio, sono riuscito a confrontarmi con i videomakers di Upside, facendomi aiutare anche dalle loro proposte. Un aneddoto: la prima idea che avevano avuto per il video era stata presa dal videoclip musicale di un brano di John Mayer, io però non lo sapevo; così pensando su quale potesse essere una possibile alternativa da proporre, tra i vari video mi è venuto proprio in mente uno di John Mayer. Parlandone con i videomakers, ci siamo resi conto che entrambi avevamo visto lo stesso video e che l’idea combaciava perfettamente.

A quali rassegne, concorsi, contest ti piacerebbe partecipare?
Mi piacerebbe fare Musicultura, a cui non ho avuto ancora modo di iscrivermi per una mera distrazione personale, lo stesso vale per il premio de Andrè.

Suonare un genere come il folk: senti il peso della responsabilità di un genere di nicchia o sei positivo sulla sua diffusione?
Da una parte portare avanti un progetto del genere si sta dimostrando una difficoltà, essendo una musica rara e di nicchia, anche solo per chiudere le date ci sono più problemi, anche perché il target musicale ad oggi è spostato su altro. Dall’altra parte spero di fare qualcosa di diverso che possa soddisfarmi, non subito ma a lungo tempo. La sfida è non uniformarsi alla massa ed è quello che ho provato a fare, andando oltre lo standard attuale. Ho seguito la mia attitudine, quello che ascolto. La voglia è di proseguire su un’altra strada e farlo sempre al meglio.

Ringraziamo Antonio Manco per la sua disponibilità!

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A proposito di Alessandra Nazzaro

Nata e cresciuta a Napoli, classe 1996, sotto il segno dei Gemelli. Cantautrice, in arte Lena A., appassionata di musica, cinema e teatro. Studia Filologia Moderna all'Università Federico II di Napoli.

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