Siamo stati guidati dall’artista Diego Cibelli lungo il percorso espositivo in occasione dell’inaugurazione della sua personale.
La mostra dal titolo Un vuoto che non ha luogo è stata inaugurata sabato, 16 novembre, presso la nota galleria partenopea, Alfonso Artiaco, nel cuore del centro storico, alla presenza dell’artista e di un ospite d’eccezione, il direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte, Eike Schmidt, che ha reso omaggio all’artista napoletano da anni impegnato con la sua ricerca e pratica artistica in una rilettura in chiave contemporanea della ricca collezione borbonica di stampe e di porcellane del prestigioso museo napoletano.
Un vuoto che non ha luogo: il racconto di Diego Cibelli
In questa mostra Cibelli racconta una storia: la storia di un viaggio, onirico, culturale, emotivo di un bambino che nel suo percorso di crescita e di maturazione si intreccia con altre storie, con altre memorie.
Come si legge nel testo critico di Sylvain Bellenger, contenuto nel catalogo della mostra di prossima pubblicazione:
«È la storia di un artista emerso dalla rivolta dell’Arte Povera che dominava esteticamente, intellettualmente e moralmente la formazione e gli ambienti artistici ancora negli anni ’10 del Duemila. Diego Cibelli allora era uno studente e abitava, come tutt’oggi, a Scampia. Un artista – continua Bellenger – che proviene da una rottura, oramai ben normalizzata, e da un quartiere di Napoli il cui stesso nome evoca tutto ciò che la speculazione edilizia, la società, la densità abitativa e l’urbanistica razionalista, talvolta mescolata alla violenza, sono stati capaci di inventare».
Il percorso espositivo raccontato dall’artista
Il progetto espositivo si snoda nelle sale della galleria come una favola circolare in sei episodi. Le prime due sale dal titolo È nato Generosity e Metamorfosi, esplorano il tema della nascita.
«Nella prima sala – spiega Diego Cibelli – in un video c’è un bambino che porta in mano una cornucopia, simbolo di abbondanza e di generosità, mentre poste nel mezzo di una sceneggiatura teatrale fatta di disegni, stampe su legno ci sono le nascite, di un coniglio, di un gatto, di una volpe, animali che insieme ad altre figure metamorfiche ricreano un’atmosfera fiabesca».
«Nella seconda sala il tema della nascita è trattato da una prospettiva scientifica – continua Diego Cibelli – ispirata al mondo di Ernst Haeckel, un mondo fantastico fatto di incisioni che riguardano la vita dei microcosmi, di piccole cellule, sia vegetali che animali, che si aggregano per prendere vita. Una nascita non culturale, quindi, non fiabesca, ma più scientifica».
Nel frattempo alle pareti osserviamo una suggestiva scenografia creata con carta da ricalco, meglio conosciuta come “carta mozzarella” e chiediamo all’artista di spiegarci il motivo di tale scelta.
«Ho scelto di lavorare con la carta mozzarella perché essa avvolge le cose, come se le mettesse in un ventre, quasi a proteggerle, e poi perché con essa si può lavorare con la sovrapposizione, sull’idea di movimento. Se notate – continua Diego Cibelli – amo sempre affiancare le mie sculture di porcellana e ceramica con altri elementi, disegni, stampe e altro».
Nella prima sala il bambino con la sua capacità immaginativa proietta mondi e scopre il suo ruolo altamente creativo, ma poi arriva la notte…
«Durante la notte – spiega Diego Cibelli – il bambino si scopre da solo con il suo io, si scopre più vulnerabile, ha bisogno di storie per poter dormire e trova un momento di equilibrio connettendosi con la Storia, con le storie».
Si arriva così nella terza sala della galleria dal titolo Storie per farlo dormire. Dal soffitto sospeso nell’aria un suggestivo carillon con più di 250 referenze visive inerenti a diversi stili, epoche, simbologie e invenzioni che l’artista ha incrociato nel corso dei suoi studi e della sua ricerca artistica.
Enigma: un’immersione negli spazi misteriosi e impervi della coscienza.
«Qui troviamo Enigma, due elementi – continua Diego Cibelli – un elefante e una montagna. L’elefante rappresenta la memoria, la montagna una scelta, di superare o non superare certi ricordi, di avere a che fare o non avere a che fare con la memoria. Per questa scultura mi sono ispirato a delle stampe giapponesi che rappresentano le paure come entità viventi che disturbano le persone, che hanno una vita sociale».
Beata fragilità, dedicata alle ombre che turbano l’animo umano.
Nella penultima sala, un video con una giovane donna che gioca a “Cucù tetè” dialogando sul lato opposto con una scultura.
«Il gioco del cucù è un gioco consigliato dagli psicologi nei primi mesi di vita del neonato per superare l’ansia da separazione, l’angoscia tipica di quell’età. Una delicata fase della crescita in cui il neonato si nutre dello sguardo amorevole della madre». Un gioco che permette al bambino di rappresentare il suo mondo anche mentalmente, senza basarsi solo su ciò che vede e che lo aiuta a strutturare in un modo più armonioso possibile la sua personalità.
Dal lato opposto della sala la scultura Beata Fragilità che si ispira a due donne «una gotica e un’altra più contemporanea, Lady D, che in un’intervista – spiega Diego Cibelli – con un grande atto di coraggio condivide le sue paure, svelando ai mass-media le sue fragilità, ma anche il suo alto livello di umanità».
Il percorso espositivo si conclude con Un vuoto che non ha luogo, l’opera che dà il titolo alla mostra
L’opera rappresenta un tuffo nel vuoto. Due figure maschili, che si lanciano all’unisono all’interno di un vaso etrusco. «Un popolo che mi ispira molto nei miei lavori è quello etrusco, perché nei loro vasi emerge sempre una narrazione verso l’ambiente esterno. Un popolo che ama la semplicità, gli elementi naturali del paesaggio, la luce, l’acqua e quindi volevo che questo tuffo si compisse all’interno di questo scenario» conclude l’artista.
La mostra sarà visitabile fino all’11 gennaio 2025.
Per ulteriori info clicca qui.
Fonte immagini: alfonsoartiaco.com; altre foto all’interno dell’articolo archivio personale