Trenta fuochi, Diana Toucedo al Napoli Film Festival

Diana Toucedo

La ventunesima edizione del Napoli Film Festival si chiude con la proiezione di Trenta fuochi, lungometraggio d’esordio della regista Diana Toucedo.

L’Istituto Cervantes di Napoli ha ospitato l’ultimo film in programma per l’edizione 2019 del Napoli Film Festival: Trenta Fuochi (Trinta Lumes), opera prima della giovane regista Diana Toucedo che ha vinto il D’A Film Festival di Barcellona e il premio per gli effetti visivi al Toulouse Cinespaña. Inoltre il film è stato già accolto con successo al Pesaro Film Festival, rendendo Napoli la seconda città italiana in cui è stato proiettato.

Trenta Fuochi, trama del film di Diana Toucedo

Ambientato a O Courel, un paesino sulle montagne della Galizia, il film ha come protagonista Alba, una ragazzina di 12 anni che vive a contatto con la natura e gli antichi riti magici che caratterizzano quel luogo. La particolarità consiste nel fatto che la famiglia di Alba e altre poche sono le uniche rimaste a vivere in quel luogo, da diversi anni spopolato e su cui vige una leggenda per cui le persone che sono andate via sembrano tornare, ma non fisicamente.

Trenta Fuochi, un film tra religione, mistero e documentario

Nel dibattito che si è tenuto dopo la proiezione del film, coordinato dal direttore del NFF Mario Violini, la Toucedo ha descritto ampiamente la lavorazione che c’è stata dietro Trenta Fuochi. Cinque sono stati gli anni dedicati a questo progetto, di cui i primi due sono stati dedicati all’immedesimazione e al contatto diretto con le terre della Galizia, nonché all’interazione con il popolo gallego. Un popolo di uomini e donne, afferma la regista, «a prima vista riservato, ma se entri in sintonia con loro ti aprono anche la porta di casa». Sui racconti orali usciti dalle bocche di donne e uomini del luogo Diana Toucedo ha ricavato parte della sceneggiatura di Trenta Fuochi, un film complesso a metà strada tra il documentario e la fiction.

I lunghi campi di paesaggi, costituiti da montagne, prati, case diroccate e colpite ripetutamente dalla pioggia (anche questi frutto del quinquennale lavoro di riprese e montaggio), fanno sì che a essere la vera protagonista dell’opera sia proprio la natura con tutto il suo fascino e il suo alone di mistero. Non è un caso se l’ambientazione di Trenta Fuochi sia proprio la Galizia, una terra che oltre ad aver dato i natali alla regista è anche una comunità con alle spalle una lingua, il gallego, e una cultura che risulta essere un retaggio delle popolazioni celtiche che in passato abitavano quelle terre. Ancora oggi gli abitanti portano avanti la sacralità di quei riti, che sembrano andare via via scemando a causa dell’industrializzazione massiccia che sta amputando parti di quel patrimonio naturale. Uno degli obiettivi che si prefigge Diana Toucedo è di preservare nel tempo quel piccolo mondo antico e pagano che vive accanto ai riti della religione cristiana.

Storia di un (eterno) ritorno

Ma forse uno dei punti di interesse di Trenta Fuochi è la sua struttura circolare legata in stretto modo all’emigrazione, l’altro importante tema che viene trattato. Diana Toucedo ha voluto ricordare come la Galizia sia stata una terra di emigranti fin dalla guerra civile spagnola, quando moltissimi galleghi furono costretti a emigrare a Cuba all’indomani della nascita del regime franchista. Ma nel film viene ricordata soprattutto l’emigrazione del 1996, anno dell’entrata della Spagna nell’Unione Europea e dell’imposizione delle quote sul latte che misero in ginocchio i contadini galiziani costretti a vendere tutto e ad abbandonare la loro terra natale.

Tutto ciò si ricollega alle già citate radici folkloriche dei galiziani. Non solo nella strenua resistenza all’abbandonare del tutto i propri caratteri identitari, ma anche tramite una credenza per la quale una persona lontana prima o poi torna nelle terre in cui ha vissuto e non per forza da vivo. In questa particolarità risiede anche il tentativo della regista di esorcizzare la lontananza delle persone che non ci sono più e di cui si cerca di preservare il ricordo. «La scomparsa è cercare», afferma Diana Toucedo, «dare un messaggio quando cerchiamo le persone che non ci sono più» .

[Fonte immagine: http://www.silviamiguez.com/portfolio_page/trinta-lumes/]

Ciro Gianluigi Barbato

A proposito di Ciro Gianluigi Barbato

Classe 1991, diploma di liceo classico, laurea triennale in lettere moderne e magistrale in filologia moderna. Ha scritto per "Il Ritaglio" e "La Cooltura" e da cinque anni scrive per "Eroica". Ama la letteratura, il cinema, l'arte, la musica, il teatro, i fumetti e le serie tv in ogni loro forma, accademica e nerd/pop. Si dice che preferisca dire ciò che pensa con la scrittura in luogo della voce, ma non si hanno prove a riguardo.

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