13 Notes en Rouge di François Gaillard: cosa resta dell’eredità dei gialli all’italiana?

13 Notes en Rouge di François Gaillard

In occasione della settima edizione dell’Italian Horror Fantasy Fest, in programma allo Stardust Village di Roma dal 13 al 16 giugno 2024, abbiamo assistito a uno dei film in concorso per il premio di Miglior Lungometraggio, 13 Notes en Rouge del regista francese François Gaillard. Ecco la recensione!

13 Notes en Rouge del regista, sceneggiatore e montatore francese François Gaillard – noto per aver diretto Tokyo Grand Guignol (2015), Blackaria (2010) e Last Caress (2010) e per aver scritto The Hunt (2012) – è un horror slasher (dall’inglese to slash, «ferire profondamente con un’arma affilata») sadico, cruento e ferocemente splatter. Non a caso le note del carillon, che risuonano incessantemente nella testa della protagonista e che continueranno a perseguitarla (e a perseguitarci) durante tutta la durata del film, si tingono di copioso rosso sangue. Schizzi, rivoli, pozze, viscere e corpi smembrati e mutilati. Insomma, sangue a non finire. Ma è anche un omaggio al filone dei «gialli all’italiana» degli anni ’60 e ’70, corrente che vide dapprima Mario Bava e poi Lucio Fulci e Dario Argento tra i suoi massimi esponenti e che le nuove generazioni di cineasti stanno reinterpretando con il cosiddetto «neo-giallo». Basti pensare al recente successo di pellicole come Last Night in Soho (2021) di Edgar Wright e Titane (2021) di Julia Ducournau, Palma d’oro al Festival di Cannes; o ancora a cult come The Neon Demon (2016) di Nicolas Winding Refn, Lacrime di sangue (2014) e Amer (2012) di Hélèn Cattet e Bruno Forzani e Berberian Sound Studio (2012) di Peter Strickland. La domanda dunque sorge spontanea: il giallo all’italiana sta tornando in auge, e cosa ci rimane della sua eredità?

13 Notes en Rouge di François Gaillard: la trama

Dopo aver passato la serata a un’eccentrica festa privata tra alcol, droghe e sfarzo, Charlotte (Jeanne Dessart), una giovane ragazza di bell’aspetto, viene risvegliata nel cuore della notte dai gemiti della sua coinquilina. La ragazza, che lavora come sex worker, si sta intrattenendo nella stanza accanto con un misterioso ospite. Ben presto però le urla di piacere si trasformano in urla di terrore. L’uomo, di cui il volto è nascosto da una maschera nera in latex, la sta aggredendo e seviziando con crudeltà efferata e apparentemente immotivata. Incapace di soccorrerla, Charlotte si ritrova da sola di fronte all’intruso, che le rimprovera di aver rubato il suo bene più prezioso e le intima di non provare a mentirgli. Charlotte non ha alcun ricordo delle ore precedenti, ma – per riuscire a rimanere in vita – dovrà identificare l’oggetto in questione e, soprattutto, sforzarsi di ricordare le malefatte di cui sembra essere accusata. La verità si nasconde nei labirinti della mente, nella realtà rarefatta e ingannevole della memoria, ma le lancette dell’orologio scorrono vorticosamente e il tempo a sua disposizione sta per finire.

Cosa rende un film neo-giallo, o semplicemente giallo?

Con il termine «giallo» gli appassionati del cinema di genere si riferiscono specificamente a un tipo di thriller pulp emerso nel panorama cinematografico italiano negli anni ’60 e ’70. Spesso realizzati con budget ridotti, erano caratterizzati da scene di sanguinosa violenza e di nudità sfacciata e pruriginosa. La parola «giallo» venne utilizzata per indicare questo genere come rimando alla popolarità della collana economica di romanzi gialli – chiamati così proprio per il colore delle copertine che li rivestivano e pubblicati per la prima volta in Italia da Mondadori negli anni ’20 – e ai loro contenuti narrativi torbidi e spinti.

Il regista Mario Bava è considerato il pioniere del giallo all’italiana, stabilendo e definendo molte delle convenzioni stilistiche e tematiche legate al genere con opere come La ragazza che sapeva troppo (1963) e Sei donne per l’assassino (1964). La figura dell’uomo misterioso, talvolta mascherato, che trucida giovani e graziose modelle o prostitute con lame affilate e scintillanti divenne presto un simbolo e un tema ricorrente del giallo, presente anche in Non si sevizia un paperino (1972) e Lo squartatore di New York (1982) di Lucio Fulci. Così come lo stile tecnico opulento ed estetizzante con cui erano realizzati, soprattutto con l’emergere di Dario Argento nel 1970 con L’uccello dalle piume di cristallo. Colori brillanti, ambientazioni urbane desolate, l’attenzione morbosa per il sesso e il corpo femminile e per la tortura e l’omicidio, eventi che si susseguono senza seguire un andamento cronologico logico e lineare compongono storie intricate di fantasie represse e conturbanti. Inoltre, questa passione sfrenata per i coltelli e per tutti gli oggetti contundenti rappresenterà un’enorme influenza per i film slasher americani degli anni ’70 e ’80, anticipandone in parte le tendenze.

Tuttavia, la necessità di approcciarsi in una chiave più contemporanea ai gialli, attraverso i «neo-gialli», nasce proprio dalla volontà dei nuovi autori e delle nuove autrici del genere di mettere in crisi la sua stessa natura intrinseca. La misoginia sottesa al trattamento feticistico della violenza nei confronti del corpo femminile, concepito soltanto per generare eccitazione sessuale o repulsione nevrotica. Ed è proprio attraverso questa lente critica che si posizionano registi come Hélène Cattet e Bruno Forzani, Yann Gonzalez, Peter Strickland e Julia Ducournau.

13 Notes en Rouge di François Gaillard: un tributo nostalgico

Con 13 Notes en Rouge François Gaillard non ci propone qualcosa di mai visto prima e che possa contribuire a portare avanti la discussione sul «neo-giallo» attraverso nuove e originali intuizioni, piuttosto ci suggerisce di guardare al passato. Le citazioni ai maestri dell’horror e del «thrilling» italiani, e non solo, si sprecano. L’uomo mascherato sembra appellarsi a una forma di giustizia divina, se non addirittura incarnarla lui stesso, in una struttura drammaturgica che ricorda quella della tragedia greca: la nostra eroina ha avuto accesso a un mondo ricco di bellezze e di tesori inestimabili (la casa dell’aggressore), ma lo ha violato commettendo un atto di hybris (dal greco antico, «tracotanza») e per questo merita di pagare con atroci sofferenze. Allo stesso tempo – e questo forse rappresenta il dato più interessante – Charlotte risulta quasi un personaggio ibrido, a cavallo tra le epoche, tra il classico, il giallo e il «neo». Ed è proprio in virtù di questa strana commistione che, paradossalmente, ci appare in linea con un certo spirito di incompiutezza generazionale tipico del nostro tempo. Da una parte si dimostra padrona delle proprie pulsioni, dall’altra si rinchiude in illusioni infantili fatte di bambole di porcellana e pupazzi parlanti; a tratti manifesta consapevolezza e lucidità mentale, ad altri immaturità e smarrimento; a volte la vediamo lottare con coraggio, altre ancora lasciarsi andare completamente all’indolenza. Il suo destino le è sfuggito dalle mani; e non si sa se sia stato lui a inghiottire lei, o viceversa.

Fonte immagine articolo 13 Notes en Rouge di François Gaillard:  cosa resta dell’eredità dei gialli all’italiana?: Ufficio Stampa

 

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