Asteroid City: un enigma tra teatro e cinema | Recensione

Asteroid City: un enigma tra teatro e cinema | Recensione

Il 28 settembre 2023 è uscito in Italia Asteroid City, il nuovo film già presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes con la firma dell’inimitabile Wes Anderson, regista statunitense di tante note ed eccentriche pellicole, tra cui il premiato Grand Budapest Hotel del 2014 e i recenti cortometraggi usciti da poco su Netflix.

Trama di Asteroid City 

La trama è molto semplice, seppure la costruzione a più piani narrativi e temporali fanno credere il contrario: un presentatore introduce la nuova commedia di Conrad Earp, Asteroid City, soggetta a varie vicissitudini che tendono a modificarla prima e anche durante la sua messa in scena. È così che nel secondo piano narrativo vi è la storia della commedia stessa, cioè quella di vari gruppi di persone che nel 1955, durante una visita nella cittadina di Asteroid City, assistono all’incontro con un alieno, finendo costretti dal governo americano a una quarantena grazie a cui rifletteranno sui loro problemi quotidiani ed esistenziali cambiando, di fatto, la propria vita; inoltre, è in particolare la vita precedente e attuale del fotografo di guerra Augie Steenbeck, con tutta la sua famiglia, che viene approfondita, diventando la vera protagonista del film tra i tanti personaggi considerati quasi tutti principali.

Una sceneggiatura impegnata, ma fino a un certo punto

La pellicola è, come al solito, sceneggiata dallo stesso Anderson, ma questa volta in compagnia di Roman Coppola, figlio del grande regista statunitense Francis Ford Coppola. Ciò che si può dire sulla sceneggiatura è innanzitutto la presenza di una “cornice”, che sarebbe anche riduttivo chiamare così, dal momento che solo all’inizio sembra che il presentatore, il sempre fantastico Bryan Cranston, introduca solamente il racconto, perché successivamente si capisce subito il grande valore di questa dimensione in bianco e nero, a differenza della vera storia raccontata, a colori: un vero e proprio livello diegetico, utile alla comprensione del film, su cui si innesta il racconto metadiegetico.

A proposito di questo discorso, degna di menzione è la divisione del lungometraggio in atti e di questi ultimi in scene, come se si fosse veramente a teatro ad assistere alla commedia Asteroid City. L’aspetto particolare di questa struttura è che, grazie al montaggio brillante al punto da diventare troppo enigmatico, il passaggio da livello diegetico a metadiegetico, e viceversa, è sempre molto fluido, a tratti destabilizzante: ne consegue che non è definito se il diegetico sia incluso o meno nella divisioni in atti e scene, per questo il regista porta il teatro nel cinema senza imitare il teatro e rendere il tributo fine a se stesso, come con una semplice e autoreferenziale cornice introduttiva, ma rafforzandolo tramite la post-produzione e soprattutto il montaggio i veri fattori di differenziazione tra i due media.

Tutto ciò non sarebbe stato possibile se non attraverso un’originale ma meno efficace sceneggiatura, su cui si intrecciano livello diegetico e metadiegetico facendo della loro indissolubilità il senso ultimo dell’opera: esprimere se stessi e dunque dare un senso alla propria esistenza solo grazie al cinema, come evoluzione massima del teatro. Apparentemente sembra scontato e retorico come scopo dell’autore, eppure sia la materia sia la forma del film suggeriscono questo, anche se l’interpretazione resta soggettiva e in questo caso anche complessa. Si è già parlato della forma analizzandone la struttura, mentre per la materia basta analizzare i temi coinvolti: i personaggi di diversa età, etnia, classe sociale e religione sono costantemente portati a scontrarsi sulle loro differenze e nella maggior parte dei casi a fallire, perché soggiogati da un problema comune ben più grande, la scoperta di creature extra-terrestri, il che li porta appunto a sentirsi uguali, anzi ugualmente insignificanti. Il plot-twist, presente già nel trailer, della presenza aliena è una rivelazione per tutti i personaggi, che distrugge tutte le loro certezze spesso superficiali, comprese le loro differenze. È difficilissimo per tutti superare le proprie debolezze da umani e non sprofondare nel caos delle idee, al punto che gli stessi attori della commedia sembrano non capire il senso di ciò che stanno recitando, dovendo dare conto anche ai loro background nella vita reale. Alla fine è proprio nel livello diegetico che gli ultimi dialoghi tra gli attori e il commediografo sanciscono con uno slogan il senso della commedia e in generale del film, grazie allo spunto dell’attore protagonista, quello di Augie, l’unico che veramente lo comprende: non a caso lo stesso slogan è ripreso, mettendo in scena la metafora a cui fa riferimento, da Augie e la sua famiglia, i quali concludono la storia metadiegetica di Asteroid City come unici personaggi ad essere veramente maturati nel corso degli eventi.

Grandi attori per meno grandi personaggi

L’intero impianto narrativo si regge su un grande cast, dal momento che i personaggi con le loro precise ma sospese caratterizzazioni sono il fulcro della vicenda e solo l’alieno è esterno a queste dinamiche, favorendo la sfida dell’evoluzione nei visitatori di Asteroid City. Caratteristica importante è che i personaggi per la maggior parte sono puramente “andersoniani”, quindi prendono molto dalla recitazione teatrale, anche considerando la messa in scena analoga, dividendosi in apatici incompresi ed egocentrici ordinari. Tra i tanti si possono citare i personaggi più riusciti e le migliori interpretazioni di queste due categorie: nei primi rientra sicuramente il protagonista Augie, interpretato da Jason Schwartzman bravissimo nella mimica facciale ma soprattutto nei movimenti del corpo, che da soli comunicano caratteri del malinconico fotografo di guerra, grazie ovviamente alla magnifica direzione degli attori di Anderson, però anche il figlio Woodrow (Jake Ryan) non scherza nel suo complesso anticonvenzionalismo; al contrario appartiene alla seconda categoria lo Stanley Zak di Tom Hanks, egocentrico e intransigente il giusto per essere la vera controparte del protagonista, aiutandolo tramite il contrasto nella sua formazione evolvendosi a sua volta insieme alla figlia defunta, la moglie di Augie (Margot Robbie), seppure appaia per pochi minuti nelle vesti di attrice della commedia piuttosto che in quelle del suo personaggio. Perfetti per i loro ruoli, spesso comici, ci sono poi, tra i tanti, attori come Steve Carell e Matt Dillon, rispettivamente il manager e il meccanico del motel della cittadina. Forse il maggior problema è proprio quello di non aver sfruttato a dovere molti dei personaggi e dei relativi attori, che finiscono per avere una caratterizzazione piatta nonostante l’iniziale curiosità nei loro confronti come, ad esempio, la Midge Campbell interpretata da Scarlett Johansson.

La messa in scena “andersoniana”

Richiamata più volte, conviene parlare della messa in scena di Asteroid City e di nuovo viene in aiuto il termine “andersoniano“, che la definisce in tutto e per tutto come al solito, anzi questa volta c’è un solo elemento di novità: lo stratagemma di utilizzare quello stile additandolo direttamente al teatro, senza citarlo e basta, anche conferendogli così maggior utilità e soprattutto valore. La scenografia, la fotografia e la regia sono intimamente connesse, ma dell’ultima si può parlare a parte, dati il calibro e le tante particolarità dello stile del regista. Le riprese sono state effettuate in Spagna e in gran parte a Chinchón, per il paesaggio desertico, così da dare maggior naturalezza a un impianto scenografico e fotografico totalmente surreale, a causa dell’alta saturazione dei colori e alla forte luce frontale che spesso appiattisce l’immagine trasformandola in quadro.

Tuttavia, proprio nella luce c’è un aspetto gradevole e più realistico, ovvero la prevalenza di colori caldi, adatti all’atmosfera del deserto, per non parlare delle scene “aliene” in cui di colpo i colori della notte vengono invasi dal verde, un verde lucente simbolo degli extraterrestri nonché perfetto nell’introdurre l’animazione in stop-motion successiva, assolutamente non disturbante. I costumi e i trucchi seguono l’atmosfera calda e lucente della fotografia e della scenografia, come i caratteri dei personaggi, se si pensa al bizzarro cappello del manager del motel o alla capigliatura scomposta del protagonista.

Una regia tanto virtuosa quanto funzionale in Asteroid City

La regia di Wes Anderson è spettacolare in tutto. Prima è stata citata la direzione degli attori, che nei film del regista è sempre eseguita al dettaglio: come a teatro, gli interpreti sono coinvolti in una coreografia di movimenti e spesso anche gesti finalizzati ad occupare sempre la giusta posizione nell’inquadratura, cosa presente in tutti i film ma qui in maniera estremamente minuziosa. Ciò sembra dare meno libertà agli artisti dell’interpretazione e totale potere al regista, ma la realtà è un’altra: il totale potere è affidato all’intero comparto tecnico, a partire dalla messa in scena e la macchina da presa, sia in movimento che fissa, riesce a rendere naturale una sequenza di quadri completamente surreali nella loro perfezione; per di più spesso i movimenti di macchina vanno a confluire in piani-sequenza complicatissimi, includendo panoramiche e carrelli che esplorano la cittadina con tutti i suoi luoghi e le persone che ci vivono, per dare allo spettatore ogni informazione utile su Asteroid City al posto di un più semplice establishing-shot.

Meriti del montaggio, demeriti della sceneggiatura

Il montaggio merita constatazioni a parte perché coniuga la regia eccentrica e perfezionista con la sceneggiatura ermetica. La particolare regia non ostacola per nulla la visione, anzi è un continuo spettacolo per gli occhi e non confonde lo spettatore, dando sempre un quadro chiaro dei luoghi e degli eventi in essi. La sceneggiatura è aiutata dal montaggio a svelarsi tramite l’accostamento di sequenze spesso in contrasto, come nei veloci passaggi dalle scene a colori della commedia a quelle in bianco e nero della realtà, che però grazie alle intestazioni degli atti e delle scene mette in relazione i due piani narrativi.

Al contrario della regia, se non fosse per il montaggio brillante che gioca con i due piani e con il tempo restituendo allo spettatore il significato della commedia, nonché il senso del teatro e poi del cinema, la sceneggiatura di Asteroid City non raggiunge il suo scopo, rimanendo enigmatica e quindi autoreferenziale, per via del poco spessore di alcuni personaggi e alcuni dialoghi soprattutto nel finale, comprensibile solo superficialmente grazie alla buona caratterizzazione del protagonista e al montaggio delle ultime scene.

La colonna sonora del film Asteroid City come marchio di fabbrica

La colonna sonora di Alexandre Desplat, sebbene sia adatta fin dall’inizio a coordinarsi con i suoni e le voci come in un’orchestra, anche contestualizzando le situazioni di Asteroid City nell’epoca di riferimento, basti pensare alla scena in cui la band di Montana suona e balla il country, sembra ugualmente quasi isolata dal resto perché ancorata inevitabilmente agli ultimi film di Anderson, come marchio di fabbrica fine a se stesso.

Fonte immagine: kino-intimes.de

A proposito di Giuseppe Arena

Ciao, mi chiamo Giuseppe Arena e sono di Napoli. Fin da bambino amo il cinema, infatti ora lo studio alla facoltà di Scienze della comunicazione, presso l'Università Suor Orsola Benincasa; inoltre nel tempo libero, oltre a guardare film, ne parlo pure su "Eroica Fenice" e sulla mia pagina Instagram "cinemasand_". Oltre al cinema, sono appassionato anche di altre arti, comunemente incluse nella "cultura-pop", come le serie-tv e i fumetti: insomma penso che il modo migliore per descrivere il mondo sia raccontare una storia!

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