Il cinema inuit rappresenta una delle voci più originali e allo stesso tempo meno conosciute della scena cinematografica mondiale. Nato in un contesto di resistenza culturale e di affermazione identitaria, si propone come alternativa al racconto esotizzante spesso imposto dallo sguardo occidentale. In questo contesto, i film realizzati da registi inuit propongono un linguaggio visivo che spazia dalla tradizione orale alla spiritualità ancestrale, fino ad arrivare alla cronaca quotidiana, portando sullo schermo la complessità di un popolo che vive in costante tensione tra continuità e trasformazione.
Chi sono gli inuit?
Gli inuit sono un popolo indigeno che abita le regioni artiche del Nord America e della Groenlandia. Tradizionalmente vivono tra Alaska, Canada (soprattutto Nunavut, Québec settentrionale, Territori del Nord-Ovest e Labrador) e Groenlandia. Un tempo venivano chiamati genericamente “eschimesi”, un termine che oggi è considerato improprio o addirittura offensivo. Per sopravvivere in un ambiente di ghiaccio hanno sviluppato una cultura fondata sulla cooperazione e sull’ingegno. Tra i simboli più rappresentativi e universali della loro cultura c’è l’igloo, tipica abitazione costruita interamente con blocchi di neve compattata. Oggi molti inuit vivono in villaggi moderni, ma restano profondamente legati al loro patrimonio culturale.
La storia di adattamento a un ambiente estremo e la loro cultura fondata sull’oralità sono diventati i pilastri del loro linguaggio cinematografico. Lontano dai cliché dell’Artico come terra remota e silenziosa, come cumulo di neve e ghiaccio, il cinema inuit restituisce prospettive intime e autentiche. Al centro di queste pellicole ci sono storie di comunità, di lotte per la sopravvivenza e di trasmissione culturale, ma anche sfide moderne come l’impatto del cambiamento climatico e il contrasto tra vita tradizionale e urbanizzazione. È un cinema che rinnova l’immaginario comune, documentando fedelmente il loro universo e riaffermando la dignità di una cultura troppo a lungo narrata da altri.

Bambini che giocano ai margini dell’Oceano Artico; Point Barrow, Alaska. Fonte immagine: Wikipedia (Berkley Geography)
Nascita e specificità del cinema inuit
Il cinema inuit nasce negli anni ’80 e ’90 come forma di auto-rappresentazione, grazie a progetti comunitari e all’uso di strumenti audiovisivi accessibili messi a disposizione da televisioni indigene come l’Isuma Productions. Se il cinema occidentale è basato su grandi produzioni e logiche commerciali, quello inuit si sviluppa con mezzi semplici: vengono impiegate videocamere leggere e tecniche di ripresa essenziali, all’interno di una produzione collettiva che coinvolge l’intera comunità. Questo permette una maggiore libertà e immediatezza.
La forza di questo cinema sta nella capacità di raccontare storie autentiche dall’interno. È un cinema partecipato, un fenomeno sociale e culturale che rompe la distanza tra spettatore e regista. Un’altra grande differenza sta nei temi trattati. Mentre il cinema occidentale predilige la parabola individuale, quello inuit nasce da un respiro corale. Le storie raccontano la comunità, dalla quale l’individuo non è mai separato. Anche la natura diventa un elemento imprescindibile: ogni vicenda si intreccia con il ritmo della collettività e del ciclo delle stagioni.
Cinque film dall’Artico da vedere
Atanarjuat il corridore
Il primo punto di svolta arriva nel 2001 con Atanarjuat il corridore, diretto da Zacharias Kunuk, considerato il regista inuit per eccellenza. Si tratta del primo lungometraggio interamente girato in lingua inuktitut. Il film ha conquistato la Caméra d’Or al Festival di Cannes, portando per la prima volta la voce del popolo inuit su uno dei palcoscenici più prestigiosi.
La pellicola racconta un’antica leggenda: la storia di Atanarjuat, un uomo costretto a una fuga disperata a piedi nudi sul ghiaccio per scampare a tradimenti e rivalità. Il film intreccia mito e realtà, alternando epica e racconto quotidiano e restituendo la potenza di una cultura che si racconta con i propri strumenti. Oggi è considerato un capolavoro assoluto del cinema indigeno mondiale. Può essere visto su YouTube, Apple TV, sulla piattaforma comunitaria IsumaTV e, in alcune regioni, su Netflix Canada (utilizzando una VPN).
The Journals of Knud Rasmussen
Nel 2006, Zacharias Kunuk e Norman Cohn firmano The Journals of Knud Rasmussen, un film che segna un ulteriore passo nella costruzione di un immaginario inuit. La storia è ambientata nel 1922 e segue l’esploratore danese Knud Rasmussen nei suoi incontri con sciamani e comunità locali nel momento cruciale della conversione al cristianesimo. È una riflessione poetica sulla perdita e sulla trasformazione: il passaggio da un mondo animato da spiriti ancestrali a un nuovo ordine imposto dalla religione occidentale. Un ritratto struggente di una cultura sospesa tra radici e cambiamento. È reperibile su Apple TV e in streaming su IsumaTV.
Before Tomorrow
Con Before Tomorrow (2008), diretto da Marie-Hélène Cousineau e Madeline Ivalu, il cinema inuit si apre a nuove voci femminili. Tratto da un romanzo dello scrittore groenlandese Jørn Riel, il film racconta la storia di un’anziana donna e di suo nipote, costretti a sopravvivere in isolamento dopo che un’epidemia ha devastato il loro villaggio. La narrazione si fa essenziale e sospesa, con uno stile minimalista. I silenzi diventano protagonisti, insieme ai paesaggi sterminati. Il dramma intimo si trasforma in una meditazione universale sulla vita e sulla morte. Si può guardare su Apple TV oppure su IsumaTV.
Angry Inuk
Angry Inuk (2016), firmato dalla regista Alethea Arnaquq-Baril, porta il cinema inuit su un terreno apertamente politico. Il documentario affronta il tema controverso della caccia alla foca, pratica fondamentale per l’economia e l’identità delle comunità artiche, ma da decenni oggetto di campagne ambientaliste occidentali. Arnaquq-Baril ribalta la prospettiva, mostrando come i divieti internazionali abbiano avuto effetti devastanti sulle popolazioni inuit, riducendo un’antica tradizione a un tabù imposto da uno sguardo “green” profondamente eurocentrico. È disponibile su The Roku Channel, Filmzie, Kanopy e Hoopla, oppure a noleggio su Amazon Video e Apple TV.
One Day in the Life of Noah Piugattuk
Con One Day in the Life of Noah Piugattuk (2019), Zacharias Kunuk torna a raccontare la storia del suo popolo. Il film è ambientato negli anni Sessanta e segue un anziano cacciatore, Noah Piugattuk, di fronte a un incontro cruciale: i funzionari del governo canadese lo invitano a lasciare la vita nomade per trasferirsi in un insediamento “moderno”. L’intero film ruota attorno a questo dialogo, che diventa una potente metafora della colonizzazione culturale. Kunuk trasforma un momento quotidiano in un dramma storico, rendendo palpabile la frattura tra due mondi. È disponibile su Apple TV e IsumaTV.
Un cinema di memoria e resistenza culturale
Il cinema inuit nasce come atto di memoria collettiva e resistenza culturale. Ogni film diventa un archivio vivente, un ponte tra passato e presente, che impedisce a leggende e storie di andare perdute sotto la pressione dell’assimilazione imposta dall’Occidente. In questo senso, la macchina da presa è un mezzo per riaffermare identità, lingua e valori comunitari, con una funzione che va oltre il semplice intrattenimento a cui noi spettatori occidentali siamo abituati.
Dalle epopee mitiche di Zacharias Kunuk alle riflessioni politiche di Alethea Arnaquq-Baril, fino alle opere più intimiste come Before Tomorrow, il cinema inuit dimostra che esiste un’altra via alla settima arte. Una via che non separa individuo e comunità, ma intreccia tutto in un unico racconto corale. È la prova che, anche ai margini del mondo, l’immaginazione può diventare resistenza, e che raccontarsi con i propri occhi è già un atto di libertà.
Fonte immagine in evidenza: Amazon Prime Video, frame dal film Before Tomorrow