Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard I Analisi del film

Fino all'ultimo respiro di Jean-Luc Godard I Analisi del film

Scritto e diretto da Jean-Luc Godard nel 1960, Fino all’ultimo respiro diviene manifesto di quel movimento cinematografico che nasce in Francia con il nome di Nouvelle Vague. 

Tra le caratteristiche principali di esso ritroviamo una libertà stilistica resa dall’uso innovativo del montaggio, dalle inquadrature lunghe e dai cosiddetti piani-sequenza.  Tali innovazioni riguardavano quindi, in modo particolare, l’utilizzo e la rappresentazione del tempo, che in questo film viene volutamente reso come intricato. 

Trama di Fino all’ultimo respiro

Attenzione agli spoiler!  

Fino all’ultimo respiro si apre con il protagonista Michel, interpretato da Jean-Paul Belmondo, che si è dato alla fuga dopo aver rubato un’automobile. 

Subito dopo ci sarà l’uccisione del poliziotto che lo stava inseguendo, cosa che costringerà Michel a scappare a Parigi per chiedere protezione alla bellissima Patricia, ruolo dell’attrice Jean Seberg, studentessa americana di cui è follemente innamorato. 

Il giovane criminale cercherà di convincere la ragazza a scappare con lui in Italia, ma alla fine verrà tradito dalla stessa che dopo averlo rifiutato lo denuncerà alla polizia.  

Le innovazioni del montaggio  

La prima sequenza di Fino all’ultimo respiro è caratterizzata da un continuo cambio dei punti di vista. 

Riusciamo sia a vedere ciò che Michel ha davanti assumendo il suo punto di vista, e cioè la strada che sta percorrendo con l’autoveicolo appena rubato, sia a vedere il personaggio come se gli stessimo seduti accanto in quella stessa auto, e quindi a vedere i fatti in terza persona.  

Ciò avviene con passaggi fluidi da inquadrature oggettive a soggettive, arrivando poi a rompere la quarta parete quando il protagonista si rivolge direttamente alla telecamera, quindi a noi spettatori, continuando il monologo che aveva iniziato prima. Proprio tramite questo flusso di parole Michel ci viene presentato in tutta la sua arroganza e presunzione, con una forte nota di maschilismo.  

Ma dall’altro lato, l’espediente del discorso confusionario di Michel dimostra come il cinema non sia più semplice e passiva rappresentazione del mondo, ma medium con cui comunicare con il pubblico.  

Per restituire immagini così frammentarie, Godard utilizza diversi jump-cuts che servono a creare un ritmo che sia spezzato e volutamente opposto a quelle che erano state le regole del cinema classico sino a quel momento. 

Il montaggio di Fino all’ultimo respiro è quindi assurdo e anomalo, proprio come se volesse riprendere il comportamento dello stravagante e controverso Michel. 

La sdrammatizzazione degli eventi  

In aperta critica alla rigidità delle regole cinematografiche precedenti al movimento Nouvelle Vague, all’interno di Fino all’ultimo respiro si può ritrovare un capovolgimento tra ciò che dovrebbe essere considerato l’evento e l’irrilevante. 

Nella prima parte del film, la sequenza dedicata all’omicidio del poliziotto è pressoché inesistente, mentre più lunga è per esempio la sequenza successiva delle due autostoppiste. 

La gravità dell’incidente d’auto rappresentato sempre in modo veloce durante le prime scene del film lascia spazio invece ad una sequenza di ben 22 minuti e 59 secondi girata nella stanza di un hotel dove si nasconde Michel, e dove non succede assolutamente nulla di rilevante, o almeno non al pari di un omicidio o incidente stradale. 

Fino all’ultimo respiro e l’inizio di un cinema autoriflessivo  

Se si vede Fino all’ultimo respiro come una sorta di precursore del cinema moderno, più auto riflessivo e chiaro nei meccanismi in atto all’interno della sua stessa realizzazione, è rilevante analizzare le ultime scene del film e come il protagonista, assetato di libertà, si identifichi in personaggi e modelli immaginari proposti dal cinema e soprattutto da quello classico americano. 

Si possono infatti ritrovare numerosi riferimenti a quest’ultimo e in modo particolare ai personaggi interpretati dal famosissimo Bogart. 

Concludiamo affermando che non c’è una vera e propria separazione tra film e finzione : Jean-Paul Belmondo interpreta Michel, il protagonista, che in un certo senso interpreta e plasma la propria vita sulla base dei personaggi di un altro attore, e cioè Bogart. 

E proprio in questo modo Godard si è guadagnato un posto tra i più grandi ‘’reinventori’’ del cinema, rompendo con la precedente tradizione cinematografica, ormai incapace di rappresentare il caos della modernità.  

Fonte immagine di copertina : Wikipedia

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