Godland: la natura come divinità oscura (film) | Recensione

Godland è uno di quei film che lascia senza parole. Non per la trama (essenziale), non per i dialoghi (pochi), ma per ciò che si sente affiorare dentro durante la visione: una forma di rispetto, forse, o di timore. Davanti a certe immagini non si riesce a parlare. Ci si sente piccoli e fragili.

Godland: una missione tra ghiacci e anime

Siamo nella seconda metà dell’Ottocento. Un giovane prete danese viene inviato nell’Islanda orientale, terra selvaggia e remota, per costruire una chiesa e scattare fotografie dei suoi abitanti. Un viaggio spirituale e fisico che diventa, lentamente, una discesa nella solitudine, nella malattia e nella follia.

Il protagonista (interpretato da Elliott Crosset Hove) porta con sé molto poco: una macchina fotografica a soffietto, un diario e un’idea di civiltà. Ma la natura islandese, indifferente e sterminata, lo guarda con occhi antichi, freddi. Ogni passo che muove sembra più un’invasione che a una missione. Di seguito, il trailer del film:

Paesaggi che giudicano

La natura, in Godland, non è uno sfondo. È un personaggio, anzi, è proprio un dio. Ma non si tratta di un dio misericordioso o accogliente, piuttosto, una divinità geologica che punisce chi osa troppo, chi si illude di poterla comprendere, addomesticare, immortalare.

Il regista islandese Hlynur Pálmason gira in formato 4:3 e con un tipo di fotografia che sembra uscita da lastre fotografiche ottocentesche, accrescendo l’autenticità dell’opera. I panorami non sono mai “belli” in senso turistico: sono immobili, crudeli, hanno qualcosa di umanamente tragico. Ogni inquadratura è lenta, pesante, quasi liturgica. In questo film si uniscono due fattori: la grazia del cinema muto e la brutalità di un viaggio che va a morire.

La pellicola, infatti, ha pochissimi dialoghi, ma quelli che ci sono sanno essere davvero taglienti. «L’uomo non può colonizzare il ghiaccio. Può solo sciogliersi in esso» – è un detto popolare islandese che viene ripetuto in una scena cruciale: sintetizza bene l’essenza del messaggio del film.

Uomo e natura: colonialismo interiore

Godland, uscito nel 2022, racconta un colonialismo silenzioso. Non c’è guerra, non ci sono bandiere, ma c’è uno sguardo danese (e quindi straniero, invasore) che vuole catturare, documentare; anche giudicare, in un certo senso. La macchina fotografica diventa simbolo di questo sguardo: osserva ma non comprende. Il sacerdote non parla la lingua degli islandesi, li teme, li sottovaluta. E in mezzo a loro, perde sé stesso.

Il film non condanna, non c’è un’esplicita denuncia, ma mostra. Il motto «Show, don’t tell» fatto film. È più interessato alla trasformazione del volto e dell’interiorità umana che alla retorica morale. Il prete, infatti, si spezza a poco a poco, si consuma fino a diventare irriconoscibile, quasi un fantasma.

Godland recensione
Fonte immagine: Amazon Prime

Godland: un film che lascia cicatrici

Guardare Godland è come percorrere a piedi scalzi una terra che non ci appartiene. Non prende per mano. Non coccola, chiede di camminare, di stare zitto e di guardare. Alcuni spettatori lo troveranno ostico, altri lo sentiranno come un’esperienza mistica. Non c’è una verità, non ci sono colpi di scena o effetti speciali, ma c’è una traccia. Qualcosa che resta.

Perché vederlo oggi?

Perché è un film sul fallimento dell’arroganza occidentale. Il prete arriva con la presunzione di evangelizzare e documentare, ma è la natura a convertirlo (con la forza). Godland è anche una riflessione su come l’uomo cerca il divino in ciò che non capisce, finché non ne è sopraffatto.

 Da vedere, poi, perché parla di isolamento, più precisamente di linguaggio e incomunicabilità. Temi estremamente attuali nell’epoca dei confini e della disconnessione emotiva. Infine, godersi Godland è anche un merito al cinema puro sullo stile di Bergman: nessun effetto speciale, solo lentezza, paesaggi e trasformazione interiore. Un antidoto al rumore di molti film contemporanei.

Dove vederlo

Al momento Godland è disponibile in digitale su Amazon Prime, MUBI, e in DVD/Blu-ray distribuito da Movies Inspired. Alcuni festival e cineforum lo proiettano ancora sporadicamente.

Fonte immagine in evidenza: Amazon Prime

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