Martin Scorsese, After Hours: il cancro del tempo che ci divora | Recensione

Martin Scorsese, After Hours: il cancro del tempo che ci divora

After Hours, film di Martin Scorsese del 1985 premiato durante il 39º Festival di Cannes per la miglior regia, è la descrizione grottesca di una notte di dopolavoro di Paul Hackett, giovane programmatore informatico newyorkese, il cui destino sembra essere vincolato alle barriere linguistiche del titolo dell’opera di cui è protagonista: il fuori-orario come dimensione cronotipica altra da quella diurna impone alla storia un ritmo narrativo che “scivola” fuori-dal-tempo, facendo precipitare su Paul la responsabilità della dissezione di un’intera umanità, quella allucinata di Soho, dove si svolge la vicenda. La risemantizzazione del dominio dell’interiorità in oggetto di pura esteriorità è proprio in quel “fuori”, da intendersi come predicato del “venire fuori/venire al mondo”, in un passaggio di stato del personaggio dall’accettazione passiva della propria quotidianità alienante alla tentazione disforica di gettarsi nel buio pesto che avvolge il paesaggio metropolitano popolato da outcast e artisti underground.

La descrizione delle mille in una notte di questo everyman scorsesiano, pur discostandosi dall’antecedente presente in Taxi Driver (1976) per tono e focalizzazione – l’apocalisse psicopatologica del protagonista Travis Bickle è nella disperazione di dover provare a se stesso di essere ancora vivo –, mantiene invariato il tema del giudizio universale/dell’essere sotto giudizio, riproposto sotto forma di diluvio che consuma il labile confine tra personalità e percezione. La ripresa implicita del «you talking to me?», recitato allo specchio da Robert De Niro, è riconoscibile nell’impotenza davanti al manifestarsi caotico degli eventi in cui si imbatte il protagonista, di cui è al tempo stesso artefice, spaventato e ipnotizzato da forme di seduzione irregolari che intrattiene e subisce. Se Travis era “fuori dal mondo” quando ripeteva a se stesso nel proprio diario inattendibile di non avere via di scampo dalla solitudine, Paul è del tutto “fuori dal tempo” perché costretto ad una corsa affannosa verso la risoluzione degli autoinganni che lo imprigionano nel labirinto notturno di Soho.

La commedia degli equivoci di Martin Scorsese

Il registro simbolico adottato dal regista, volutamente orientato verso il basso come a definire After Hours all’interno dei codici narrativi di una commedia esistenziale degli equivoci, lo si evince dal tributo allo scrittore statunitense Henry Miller in una delle scene iniziali del film, da cui prenderà il via il susseguirsi degli sfortunati eventi che coinvolgeranno il protagonista. Paul è seduto in un diner a leggere Tropico del Cancro dopo il turno di lavoro, quando Marcy, una ragazza che è presente nel locale, lo interrompe citando a memoria alcune righe del romanzo, prima di raccontargli brevemente la storia del suo matrimonio fallimentare di tre giorni: «Questo non è un libro. È un prolungato insulto. È uno scaracchio in faccia all’arte, un calcio in culo a divinità, bellezza e verità… O qualcosa del genere». In linea con questa dichiarazione di poetica, Scorsese opta per un racconto dichiaratamente metanarrativo, in cui l’aderenza al reale non viene spinta fino alle derive caricaturali dei personaggi, dal momento che tanto la follia dei ritmi di lavoro quotidiani quanto la pulsione al voyeurismo che li caratterizzano sono proposte come una naturale manifestazione di fervore vitale.

Paul, che dopo questo dialogo verrà invitato dalla giovane a raggiungerla a casa sua, salvo poi imbattersi nella coinquilina di lei Kiki, una scultrice concettuale di cui subirà il fascino trasgressivo, non riuscirà mai realmente ad appartarsi con lei, che si mostrerà a tratti respingente e misteriosa per via di un passato turbolento. Ad inquietare il ragazzo è, in particolar modo, il continuo fare riferimento da parte delle due ragazze a scottature e lesioni, probabili segni di una violenza subita, senza tuttavia riuscire a vederne nessuna. Da qui in avanti l’uomo sviluppa inconsapevolmente una particolare forma di scaltrezza, che gli consente ora di allontanarsi in tempo da quell’ambiente domestico deviato, ora di improvvisare soluzioni in seguito alla notizia del suicidio di Marcy dopo il suo abbandono, muovendosi freneticamente fra bar e appartamenti di partner occasionali per non essere incriminato della morte di lei, mentre cresce nel quartiere il sospetto su di lui in una notte in cui le segnalazioni per furti in casa sembrano moltiplicarsi. Se la radice etimologica di scaltro, dal latino volgare *cauterīre, bruciare col ferro rovente, implica un tipo di bruciatura a scopo curativo, il cui senso ulteriore è la capacità di rendersi accorti memori della ferita, non deve dunque stupire che la salvezza di Paul passi attraverso un espediente tattile. Rifugiatosi in un night club per evitare una folla inferocita convinta di aver individuato in lui il criminale, qui incontra una donna solitaria a cui chiede di ballare, mentre in sottofondo il tema di Is That All There Is di Peggy Lee conferisce alla sequenza un tono di inevitabile epilogo. «Voglio vivere» è la risposta che dà il protagonista alla partner che gli ha chiesto perché abbia scelto lei: quasi un’istanza a provare piacere, che trasforma il gioco proibito della seduzione in una coazione a ripetere di stati d’animo d’eccitazione vuoti.

Guida perversa all’interpretazione di After Hours di Martin Scorsese

Sulla necessità dell’uomo di spingersi oltre l’eccesso, in una costrizione al godimento fuori tempo massimo, riflette il filosofo Slavoj Žižek che, da una prospettiva materialistico-marxista, riconduce il fallimento del grande Altro lacaniano, ossia il collasso del campo simbolico, alla sfera politica dell’ideologia, secondo un complesso normativo che domina la modernità imponendo il divieto a non godere. Questa ingiunzione culturale diviene nevrosi nel momento in cui l’inconscio, in una nuova funzionalità di apparato repressivo, contribuisce con proibizioni a guastare l’esperienza stessa di godimento (cfr. Slavoj Žižek, Leggere Lacan. Guida perversa al vivere contemporaneo, Torino, Bollati Boringhieri, 2009). L’incapacità a provare realmente piacere va, dunque, nella direzione di un edonismo a tutti costi, nell’illusione di poter conseguire la felicità.

Questa chiave interpretativa aiuta lo spettatore a comprendere come la liberazione di Paul Hackett non possa che coincidere con una pietrificazione della propria identità inquieta, quando, davanti alla calca di abitanti di Soho ormai sulle soglie del locale, decide di farsi nascondere dalla donna, scultrice di professione, sotto le spoglie di una statua, lasciandosi ricoprire di colla e fogli di giornale. Divenuto ormai irriconoscibile agli occhi delle persone, per una amara beffa del destino finisce per essere vittima di furto a sua volta, incapace com’è a muoversi e a parlare, nel momento in cui alcuni ladri entrati nel retrobottega dove si è rifugiato lo scambiano per un’opera d’arte e lo portano via nel loro furgoncino. «L’arte più brutta è e più è preziosa» si ripetono i banditi, in un grottesco capovolgimento semantico del mito di Pigmalione. Dalla vettura lanciata a tutta corsa per le strade newyorkesi, però, la statua cadrà dal cofano posteriore frantumandosi in mille pezzi, proprio nei pressi delle scale dell’ufficio dove si presenterà in perfetto orario l’indomani mattina.

Da crisalide ad ancora-uomo, in After Hours di Martin Scorsese la trasformazione di Paul si trova riassunta nella precisione chirurgica con cui Miller descrive il cancro del tempo che ci divora: «Il mondo deve diventare carne; l’anima ha sete. Su qualunque crosta mi si fermi l’occhio, io voglio piombarci sopra, e divorare. Se vivere è il meglio che ci sia, allora voglio vivere, a costo di diventare cannibale. Finora ho cercato di salvare la mia pellaccia preziosa, ho cercato di conservare i pochi pezzi di carne che mi nascondono le ossa. Ne ho abbastanza. […]. Il mondo da cui mi son staccato è un serraglio. Erompe l’alba su di un mondo nuovo, una giungla in cui gli spiriti magri vagano con artigli aguzzi. Se io sono una iena, sono una iena magra e affamata: vado a ingrassarmi».

Qui il trailer italiano di After Hours di Martin Scorsese.

Fonte immagine in evidenza After Hours di Martin Scorsese: il cancro del tempo che ci divora: festival.ilcinemaritrovato.it

A proposito di Luca Florio

Ho studiato Filologia Moderna presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, discutendo una tesi in Storia del Cinema sui legami che intercorrono tra la produzione del regista greco Yorgos Lanthimos e i modelli archetipici della tragedia classica. Ad ottobre 2022 ho presentato un paper relativo ai film di Lanthimos presso l’Università di Napoli “L’Orientale”, nell’ambito della Graduate Conference 2022. Sempre ad ottobre, presso la “Johns Hopkins University” di Baltimora ho presentato un paper sulle periferie urbane ed esistenziali presenti nella cinematografia dei Fratelli D’Innocenzo, alla luce dei più recenti studi sul Postumano. Ho frequentato, tra luglio e dicembre 2022, i corsi di formazione in critica cinematografica organizzati da Fata Morgana Web e dalla Cineteca di Bologna. A settembre 2023, nell'ambito del convegno organizzato a Napoli dall'Associazione degli Italianisti ADI, ho presentato un mio contributo dal titolo "La parola dismissione mi fa paura per quel suo mostrare grandi fauci spalancate. Intermittenze industriali tra letteratura e cinema". Attualmente frequento il Master di I livello in Critica Giornalistica presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” e il Master di II livello in Drammaturgia e Cinematografia presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”.

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