Shaft il detective: recensione del film del 1971

Shaft il detective: recensione del film del 1971

Shaft il detective è un film poliziesco del 1971 di Gordon Parks con protagonista Richard Roundtree, alla sua seconda apparizione sul grande schermo, nei panni di un detective privato afroamericano incaricato di trovare la figlia del boss della mafia nera a seguito del suo rapimento.

Il film Shaft il detective è tratto dal romanzo Shaft contro la mafia di Ernest Tidyman, sceneggiatore de Il braccio violento della legge, di William Friedkin con Gene Hackman, uscito lo stesso anno. In effetti sono molti gli elementi in comune tra i due investigatori che fanno percepire la stessa mano dietro la loro scrittura. I due personaggi sono caratterizzati da un comportamento violento, non usano la diplomazia, e, per quanto animati da un enorme fervore giudiziario, operano comunque in bilico tra giustizia e ingiustizia: due funamboli che si destreggiano tra le strade più malfamate della città. Insomma, sono delle teste calde che causano alla polizia più rogne di certi criminali incalliti.

Questo nuovo approccio alla criminalità di entrambi i poliziotti ha segnato in modo diverso la storia del cinema. Shaft il detective ha rivoluzionato il genere poliziesco nella sua totalità, non solo nel nuovo prototipo di poliziotto, ma anche dal punto di vista tecnico. Potremmo dire che la regia, la fotografia e il montaggio catapultano lo spettatore nella freneticità di un inseguimento al limite e nella realtà di un mondo sporco e freddo, in linea con i temi che circolavano maggiormente a Hollywood dopo l’assassinio di Cielo Drive: la fine del sogno e il bisogno di tornare alla realtà. Il film di Parks rappresenta uno dei primi lungometraggi della blaxploitation, influenzando così il cinema afroamericano che si diffuse di lì a poco, in cui vengono esaltati sesso e violenza, due elementi che caratterizzano perfettamente Shaft. Il detective opera principalmente ad Harlemquartiere che offre allo spettatore una Guernica del mondo afroamericano: si dipinge sulla pellicola il clima di quella realtà.

Quest’ultimo elemento per uno spettatore generico è interessante, ma per un afroamericano è fondamentale. Un personaggio come John Shaft, che non ha paura di fronteggiare i bianchi perché sa quanto vale, è significativo per uno spettatore afroamericano. Il muso duro con cui affronta chi vuole mettergli i bastoni tra le ruote è uno sprono a far sentire la propria voce: i neri contano. Chiunque, ammirando le gesta di Shaft, comprende l’importanza di avere fiducia in se stessi, combattere per la giusta causa e lottare per le proprie idee, ma non sarà mai come accade nel cuore di un afroamericano, per il quale il film ha uno stimolo in più. D’altronde la pellicola è concepita per loro. Chi è afroamericano ha la fortuna di poter essere pienamente coinvolto dalle vicende di Shaft il detective e godere di una visione totale dell’opera, cosa che uno spettatore di un’altra etnia non potrebbe mai fare fino in fondo.

Un confronto con il cinema italiano

All’interno di un paese il film può avere un’influenza maggiore su alcuni nuclei della popolazione rispetto ad altri; probabilmente in Italia avrebbe una presa più incisiva al meridione. Non è un caso che nel giro di due anni sarebbe uscito Piedone lo sbirro di Steno, con protagonista Bud Spencer. Lo slancio del genere poliziesco in quel periodo ha influenzato la produzione di un film con Bud Spencer, ma l’idea di un personaggio così legato a Napoli (lui non è italiano, ma napoletano) nasce dall’esigenza di ritrarre la condizione della città partenopea e dei suoi abitanti. Proprio come accade in Shaft il detective, infatti, Piedone è uno sbirro dai modi di fare insoliti: l’arma da avere sempre con sé non è la pistola ma i pugni. A suon di violenza si combatte il crimine, senza contare che anche Piedone, nonostante la massa, è sempre in bilico tra legge e fuorilegge: è l’uomo del popolo che sta dalla parte della sua città. Come Shaft non arresterebbe un afroamericano che contrabbanda orologi falsi, così Piedone non arresterebbe un napoletano che contrabbanda sigarette: sanno che quello è il modo per portare del pane a casa, per salvare la giornata e avere una vita quantomeno decente. Questo affetto verso la propria gente, in entrambi i casi, è ricambiato e consente ai protagonisti di avere un appoggio nelle situazioni più difficili, quando la legge non è dalla loro parte perché hanno oltrepassato il confine. Ma siccome la sua città è in mano alla criminalità, Piedone, così come Shaft, riveste i panni di mediatore tra criminalità e legge, facendo il buono e il cattivo tempo con entrambe le parti, perché il bene primario è la salute della città.

Conclusioni: i sequel di Shaft il detective

Negli anni immediatamente successivi, una spinta incisiva, non solo per gli afroamericani, ha portato Roundtree a vestire i panni di Shaft in altri due film, Shaft colpisce ancora, sempre diretto da Parks, e Shaft e i mercanti di schiavi, di John Guillermin, e nella serie TV Shaft. Questo ardore, ad ogni modo, non si è spento nel corso del tempo. Infatti, quando la blaxploitation è tornata in auge negli anni ‘90, la serie ha fatto altrettanto. Nel 2000 John Singleton dirige Shaft con protagonista Samuel L. Jackson nei panni di John Shaft II, nipote di Roundtree, che riprende il suo ruolo originario. I due replicano poi nel 2019 un quinto Shaft, con la regia di Tim Story, a dimostrazione di quanto sia ancora attuale questo personaggio.

Fonte immagine in evidenza: locandina Prime Video

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