Presentato in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival, Tonya è nelle sale italiane dal 29 marzo.
Basato sulla storia vera della pattinatrice sul ghiaccio Tonya Harding, il film, diretto dal regista australiano Craig Gillespie, ne ripropone la vita da quando era bambina fino ai primi anni ’90 che la videro coinvolta in uno scandalo che le costò la carriera.
La pellicola alterna avvenimenti passati, con una Tonya bambina (interpretata dalla giovanissima e dotata Mckenna Grace) spronata al limite dell’ossessivo dall’anaffettiva madre LaVona (Allison Janney) a impegnarsi sempre più nel pattinaggio; alle interviste nel presente ai protagonisti svolte in seguito agli accadimenti che accesero i riflettori sulla Harding. Passano gli anni e Tonya (Margot Robbie) è un’adolescente problematica e competitiva che non riesce ad accettare di essere discriminata, durante le gare, a causa delle sue umili origini che non le consentono di presentarsi al meglio alle competizioni come, invece, potevano permettersi le sue avversarie benestanti. È durante questo periodo che la ragazza incontra Jeff Gillooly (Sebastian Stan), di qualche anno più grande di lei, che sposerà dopo poco tempo e con il quale resterà, nonostante i continui maltrattamenti e violenze, per poi divorziare da lui nel 1993. Ma è l’anno seguente a essere cruciale per la storia di questa giovane promessa del pattinaggio. Infatti, pur di partecipare ai campionati nazionali per i quali l’America aveva un’altra stella come sua rappresentante – Nancy Kerrigan (Caitlin Carver) – Tonya, d’accordo con Jeff e aiutati dall’amico di lui Shawn Eckhardt (Paul Walter Hauser), assoldano un uomo per ferire la rivale al ginocchio così che lei potesse prenderne il posto. Soltanto in seguito si seppe cosa avevano fatto e fu per questo motivo, più che per le sue prodezze sportive, purtroppo, che il nome di Tonya Harding è ancora oggi ricordato.
Talento e ambizione: la storia di Tonya Harding
Portare sul grande schermo le vicende di un personaggio problematico non è mai un’impresa semplice. Craig Gillespie, aiutato dall’interpretazione eccellente della Robbie oltre che degli altri attori – Allison Janney, grazie a questo film ha vinto, tra i premi più importanti, l’Oscar e il Golden Globe come Migliore attrice non protagonista – è riuscito a mostrare in maniera impeccabile le tante e controverse sfaccettature della vera Tonya Harding.
Quest’ultima viene presentata per quello che è stata senza alcuna modificazione né degli atteggiamenti – aggressivi, irriverenti, di vittima oltre che di carnefice – né delle azioni che, se da un lato le valsero il riconoscimento di essere stata la prima americana a eseguire il difficilissimo triplo axel durante una competizione ufficiale, dall’altro la portarono dall’ascesa a una rovinosa caduta come risultante di un’ambizione smodata e incontrollata affamata di gloria.
La figura della Harding suscita emozioni diverse e contrastanti tra loro nello spettatore – compassione, simpatia, pena, insofferenza – che si alternano o coesistono in base a ciò che sta passando in quello specifico periodo della sua esistenza e anche in virtù di chi le sta accanto influenzandola. Alla fine, ci si trova a essere tra l’assoluzione per quello che ha vissuto e la condanna per quello che ha fatto.
Tonya è, dunque, il racconto ben costruito, solido, ben sviluppato e mai noioso di una persona – amabile e detestabile insieme – che induce alla riflessione oltre che, in diversi momenti, al riso. Un riso spontaneo e forzato al contempo come quello indossato, in base alle circostanze, da Margot, grande interprete di un’altra vita: quella di Tonya, interprete della sua.