Quale impatto ha avuto la pandemia sul mondo dei social? Com’è cambiata la nostra comunicazione quotidiana? E quali sono le domande giuste da porci per il post-pandemia? Proviamo a scoprirlo in quest’intervista ad Alice Avallone, fondatrice di Be Unsocial: Alice ricerca trend, insight e small data, e insegna strategia e narrazione digitale alla Scuola Holden di Torino
La pandemia di covid-19 ha lasciato un solco profondo nelle nostre abitudini, trasfigurando la nostra quotidianità e il modo di comunicare: anche la nostra fisionomia sui social network risulta senz’altro mutata.
ll trauma collettivo che stiamo vivendo ha indubbiamente determinato una metamorfosi irreversibile anche nel nostro modo di approcciarci agli altri e di presentarci agli occhi della comunità digitale.
Nel marasma di questo periodo, tante sono le domande che si affastellano nella nostra mente: che società ci consegnerà la fine di questa pandemia? Che persone saremo? Cosa avremo imparato?
Si potrebbe continuare all’infinito, ma ci stiamo davvero ponendo le domande corrette?
Abbiamo provato a capirlo nella chiacchierata con Alice Avallone, agitatrice culturale, fondatrice di Be Unsocial, ricercatrice di small data, trend e insight, nonché docente di strategia e narrazione digitale alla Scuola Holden di Torino.
Alice ha lanciato, appena decretato il lockdown, la sfida social #25Giorniacasa che ha ottenuto ottimi risultati e che ha ricevuto moltissime adesioni e contenuti; proprio in questi giorni, invece, è uscito l’e-book gratuito “Back to the future”, in cui un gruppo di 44 umanisti, giornalisti ed esperti della comunicazione, analizzano la dimensione collettiva del post-pandemia, cercando di fornire risposte alle domande più in voga.
La pandemia e il mondo digitale è un tòpos che, nella narrazione della Storia con la S maiuscola che l’umanità sta scrivendo, diventerà paradigmatico; con Alice abbiamo esplorato l’argomento in ogni sua sfumatura: dall’impatto della pandemia sui social fino ai nuovi concetti di condivisione e intimità, passando per il tema della disuguaglianza sociale e della reazione dei brand.
Infine, la tanto inflazionata similitudine della pandemia di covid-19 con la guerra, sempre più presente nei post sui social: vi spieghiamo perché è una semplificazione che rischia di essere riduttiva e limitante.
Ora, lasciamo la parola ad Alice Avallone, che ringraziamo per la sua disponibilità.
L’intervista alla docente Alice Avallone
1) Buongiorno Alice, innanzitutto grazie per aver accettato di rilasciare quest’intervista. Iniziamo con una domanda molto neutra: come hai preso l’inizio del lockdown e che cambiamenti ha avuto sulla tua attività di ricercatrice digitale?
1) È curioso, perché questa quarantena era quello che desideravo da tanto tempo. Non l’emergenza sanitaria globale, ovviamente, ma i suoi risvolti quotidiani. Mi ero ripromessa di prendermi una pausa da viaggi e trasferte, per dedicarmi alle mie ricerche senza distrazioni. Dunque, per me il lockdown è stato un toccasana, nonostante tutto. Inoltre, queste settimane per la mia professione sono di grande ispirazione, e infatti tutta la mia attività si è spostata nell’interpretare cosa sta succedendo e proporre chiavi di lettura su quello che sarà il post Coronavirus.
2) Che impatto ha avuto, in generale, la pandemia di covid-19 sul mondo del web e dei social?
2) Da quando è iniziata la pandemia, il nostro uso della Rete ha passato diverse fasi e correnti tematiche: dall’espressione di incredulità alla condivisione di sostegno per la comunità cinese, dai video con musica e applausi dal balcone ai link sui possibili complotti, fino poi alle accuse contro runner e bambini. L’aspetto più curioso, dal mio punto di vista, è quella che chiamo “ritorno dell’estetica del brutto”, omaggiando il filosofo tedesco Rosenkranz: ci stiamo abituando a immagini a scatti nei collegamenti video, non ci scandalizziamo se alle riunioni online qualcuno si presenta in felpa, accettiamo di pubblicare foto su Instagram imperfette. Fino a qualche settimana fa era impensabile.
3) Come ti è venuta l’idea di lanciare la sfida social #25Giorniacasa? Che riscontro ha avuto sui social e come è stata accolta?
3) L’idea nasce quando l’Italia è andata in lockdown, e ho dovuto prendere confidenza con l’idea che non avrei rivisto per un po’ la mia famiglia. Era una sfida, e così ho pensato: perché non far nascere una sfida collettiva per sentirci meno distanti? Il lancio di #25giorniacasa è andato alla grande; ricordo di aver ricevuto più di 4000 contenuti solo il secondo giorno!
4) Dopo la fine della sfida #25Giorniacasa, sui tuoi social si è cominciato a parlare di futuro. Ci stiamo ponendo molte domande in questi giorni: a tuo avviso quali sono le domande giuste da porci?
4) Direi, una sola. Tutti ci stiamo chiedendo “quando finirà”, ma non è la domanda giusta. La domanda giusta è “come continueremo?”. Dobbiamo imparare a vedere le cose con la giusta prospettiva: non ci siamo fermati, la nostra vita è comunque – inevitabilmente – andata avanti. L’ha fatto solo in maniera diversa da prima. Accettare che le cose possono cambiare è una delle più grandi lezioni che possiamo imparare.
5) Insieme a 44 professionisti (tra esperti della comunicazione, umanisti e narratori in generale), avete fornito delle risposte sul “dopo”, col vostro ebook “Back To The Future”. A tuo avviso, quali saranno i maggiori cambiamenti che ci aspettano e per i quali è necessario e urgente prepararci?
5) La “nuova normalità” riguarderà ogni aspetto della nostra vita. Quello che più mi interessa analizzare con il mio lavoro riguarda la dimensione collettiva. Abbiamo scoperto che non siamo singoli individui ma unità di un organismo più grande. E stiamo imparando che è possibile raggiungere un bene superiore mobilitandoci in massa, collaborando agli sforzi di un’intera comunità e ampliando la sicurezza sociale. Questo passaggio stravolgerà molti nostri comportamenti, nel piccolo e nel grande.
6) La pandemia ha rivelato un vero e proprio trauma collettivo: tutto si è spostato online. Quali sono le nuove abitudini che gli italiani hanno acquisito, per gestire e vivere al meglio il proprio tempo libero e la propria intimità?
6) Tra le tante nuove abitudini, penso al rapporto tra genitori e figli: le occasioni di scambio, di gioco e di apprendimento insieme sono aumentate esponenzialmente. Penso all’uso di Zoom, Meet o Skype dei più piccoli con un membro della famiglia geograficamente lontano e a come può questo aiutare i bambini piccoli a imparare a riconoscere la famiglia, costruire relazioni e diminuire il senso di isolamento.
7) Si è letto spesso che questa pandemia abbia contribuito ad allargare la spaccatura tra classi economiche: credi abbia messo in risalto ancor di più la disuguaglianza sociale? E come?
7) Certo, la spaccatura è evidente. Come è evidente anche il digital divide. Torno ai bambini. Per molti di loro non è solo un problema di mancanza di strumenti a disposizione, ma anche di impossibilità di essere seguiti a dovere dai genitori nella scelta dei contenuti di qualità. Per mancanza di tempo, di soldi, ma soprattutto di cultura digitale.
8) Come è cambiato, durante questa pandemia, la comunicazione sui social? I brand come hanno reagito a tutto ciò?
8) Inizialmente molti brand hanno sospeso gli aggiornamenti social e l’ho trovata una scelta molto sensata. Dopodiché, pian piano stanno capendo che occorre far sentire la propria vicinanza alle persone, senza riempire la rete senza cognizione di causa. Ai media e ai brand, le persone oggi chiedono di comunicare in modo chiaro, rassicurante e coerente. Da adesso in poi, a mio avviso, i brand dovrebbero imparare a incoraggiare le nuove buone abitudini che potremmo finalmente assumere noi consumatori.
9) Spesso, per descrivere questo periodo storico, si usa la similitudine della guerra: sei d’accordo?
9) Per niente. La trovo profondamente sbagliata e irrispettosa per chi, anche in questo momento, è davvero in guerra. Non siamo sotto attacco o sotto le macerie; siamo tutti nelle nostre case, con molti confort essenziali: acqua, elettricità, gas e internet.
10) Cosa lascerà tutto questo, nel mondo del web? Può dirsi un nuovo inizio nel modo di comunicare, magari con rinnovati valori di responsabilità e condivisione?
10) Ci lascerà finalmente ciò che era solo un buon proposito: più autenticità.
Ringraziamo Alice Avallone per la sua disponibilità.
Fonte immagine: http://www.beunsocial.it/