La storia dell’iconico Tamagotchi ha inizio nel Novembre del 1995 in Giappone. L’idea di creare questo piccolo gioco portatile è stata di Akihiro Yokoi, direttore dell’azienda di giocattoli Wizz, mentre la sua realizzazione fu affidata alla nota azienda giapponese Bandai che lo acquistò e mise in commercio proprio nel 1995. Il concept del gioco è estremamente semplice e banale, analizzato con occhi moderni, ma tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del 2000 entusiasmò a tal punto da vendere più di 82 milioni di esemplari.
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Tamagotchi: il concept e il significato del nome
Il Tamagotchi si presenta come una piccola console tascabile a forma di “ovetto”, il cui gioco consiste nel prendersi cura ed educare un piccolo animaletto domestico digitale. Attraverso 3 piccoli tasti, il giocatore può controllare ogni aspetto del proprio animale (età, peso, comportamento, aspetto etc.) e fargli compiere diverse azioni tra le quali: mangiare, dormire e giocare. Una volta iniziato il gioco e portato avanti assiduamente, si assiste alla crescita e allo sviluppo del proprio animaletto che invece, in caso di inutilizzo o scarsa cura, può anche morire e portare al “game over”. Il nome Tamagotchi è un geniale neologismo anglonipponico coniato dalla dipendente dell’azienda Bandai Aki Maita, che fonde la parola giapponese たまご (tamago), “uovo”, con quella inglese “watch“, ovvero “orologio”, formando un termine che si adatta perfettamente all’inusuale e caratteristica forma della console.
Il successo globale e l’evoluzione dei modelli
Dopo il 1995, il Tamagotchi fu esportato in tutto il mondo e fu proprio a partire da questo momento che si diffusero numerose varianti, sia nella forma che nel colore. Dal 1996 al 2007 si contano addirittura ben 37 edizioni diverse di Tamagotchi. Il suo successo sia in Giappone che nel resto del mondo fu tale che si stimò una media di una vendita per secondo. Nei primi anni di commercializzazione, i Tamagotchi erano quasi sempre sold-out in tutti i negozi; a causa di ciò, venne aperto un vero e proprio mercato secondario nel quale le console venivano rivendute anche al quintuplo del prezzo di lancio. La forma classica della console è quella di un “ovetto” con schermo LCD in bianco e nero ed una catenella legata all’estremità, per poterlo usare come portachiavi. Le numerose varianti uscite nel corso degli anni hanno alterato solo in parte il suo aspetto originale, ma hanno introdotto importanti novità.
Modello e periodo | Caratteristiche principali |
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Tamagotchi originale (1996) | Gameplay base di cura del pet, schermo lcd in bianco e nero, tre pulsanti. |
Tamagotchi plus / connection (2004) | Introduzione della connettività a infrarossi per interagire con altri tamagotchi. |
Tamagotchi+color (2008) | Primo modello dotato di uno schermo a colori, ampliando le possibilità visive. |
Tamagotchi on (2019) | Display lcd a colori e connettività bluetooth per interagire con l’app mobile. |
Bandai non ha mai smesso di lavorare a questi animaletti virtuali, come testimonia il sito ufficiale del brand. Nel 2013 fu la volta del “Tamagotchi L.I.F.E”, un’app per iOS e Android che riproduceva le funzioni di gioco della console originale. Attualmente le console continuano ad essere prodotte ed acquistate, e il mito del Tamagotchi ha alimentato sempre di più il commercio del collezionismo. I modelli originali prodotti negli anni ’90 in Giappone sono tra gli articoli più ricercati nell’ambito del collezionismo di videogiochi, raggiungendo cifre esorbitanti a partire da 300 euro ed arrivando anche a 3000.
L’impatto del Tamagotchi nella cultura di massa
Il Tamagotchi è stato un vero e proprio mito per tutti i giovani nati e cresciuti durante gli anni ’90 e 2000. Questo successo è indubbiamente dovuto al fatto che il Tamagotchi è pratico, semplice da usare ed utilizzabile in qualsiasi momento, ma alla base del boom delle vendite c’è anche una questione sociale e psicologica più profonda. In Giappone, infatti, cominciò a diffondersi, proprio a partire dagli anni ’90, il fenomeno degli hikikomori, giovani che decidevano di rifiutare la vita sociale e di confinarsi nella propria camera in solitudine. L’uscita di una pratica console che permettesse di accudire un animale restando nella propria camera, sicuramente intercettò questo fenomeno. A livello mondiale, invece, la sua diffusione avvenne in modo differente. Il classico aspetto del Tamagotchi piacque molto, ma con il tempo si andò uniformando con la cultura di massa. Nacquero così delle collaborazioni tra marchi ed aziende straniere con la Bandai, che diedero vita a versioni occidentalizzate. Lo stesso avvenne con film e videogiochi, portando così alla nascita delle collaborazioni Tamagotchi x Star Wars o Tamagotchi x Pacman.
Dal Tamagotchi al Digimon: la nascita dei v-pet maschili
Il successo planetario del Tamagotchi, indirizzato prevalentemente a un pubblico femminile, spinse Bandai a capitalizzare l’idea del “virtual pet” per il mercato maschile. Nel 1997, l’azienda lanciò il Digital Monster, spesso abbreviato in Digimon, che riprendeva il concetto di base del Tamagotchi ma lo evolveva introducendo elementi di combattimento e connessione per sfidare altri dispositivi. Questo “Tamagotchi per ragazzi” non era solo un animaletto da accudire, ma un mostro da allenare per la battaglia. Fu proprio da questo dispositivo V-Pet che nacque l’intero franchise multimediale di Digimon, che include anime, manga e videogiochi, creando un universo narrativo ben distinto e spesso messo a confronto con quello dei Pokémon. Il Tamagotchi, quindi, non fu solo un fenomeno a sé stante, ma anche il progenitore diretto di un altro gigante della cultura pop giapponese.
Fonte immagine in evidenza: Wikipedia Commons
Articolo aggiornato il: 09/09/2025