René Magritte: i suoi cinque quadri più famosi

René Magritte: i suoi cinque quadri più famosi

René Magritte è uno dei maggiori esponenti della corrente pittorica del Surrealismo. Quest’ultimo si annovera tra le ultime Avanguardie a cavallo tra i due conflitti mondiali e come tale si ripropone anch’esso di scardinare l’arte da quelle convenzioni borghesi date per assolute. Qui di seguito, si parlerà delle intenzioni che fondano il Surrealismo e si racconterà di René Magritte, uno degli artisti più riconosciuti, citandone cinque quadri tra i suoi molteplici capolavori.

Il Surrealismo e René Magritte

Riprendendo una lezione cara anche al Dadaismo, il Surrealismo – e con esso René Magritte – provvede a un lavoro di costante rovesciamento della realtà, da un punto di vista di senso e di forma. Eppure, non si ritrova più quella satira aggressiva e sarcastica tipica del pensiero dadaista, ma è introdotta una nuova dimensione soggettiva: il Surrealismo prende certi temi presi dalla realtà contemporanea, come la volontà di ribellarsi a quegli assunti imposti dalla borghesia bene impiantati in un sistema capitalistico, dove inevitabilmente l’individualità è sconfitta nel tentativo di omologare le masse alle abitudini, e li filtra attraverso la lente dell’inconscio, della psiche del singolo individuo espressa e conseguenzialmente impressa sulla tela. Perciò, i quadri surrealisti si addentrano in mondi onirici, raccontano di sogni reconditi e di impulsi nascosti, aprono squarci attraverso i quali si traducono le profondità della mente umana, spesso talvolta piuttosto difficili da decifrare.

Come si diceva prima, René Magritte è uno degli artisti più apprezzati del Surrealismo. Egli nasce a Lessines nel 1898. Durante la sua vita affronta due importanti trasferimenti: il primo nel 1910 a Châtelet, dove il padre avvia un’attività commerciale, e il secondo a Charleroi dopo il suicidio della madre. Quest’ultimo è un evento che segna particolarmente la vita di René Magritte, a tal punto da condizionare la sua produzione artistica essendo un tema ricorrente nei suoi quadri “decostruttivi” della realtà. Dopo avere fatto suoi alcuni elementi già presenti nella pittura Metafisica, come quelle atmosfere inscritte in una dimensione atemporale e misteriosa, data da accostamenti di elementi diversi totalmente inaspettati e talvolta apparentemente senza un senso reale, René Magritte li traspone in un’altra dimensione che riguarda la sfera dell’inconscio. I suoi quadri, pertanto, mettono in discussione il rapporto che intercorre convenzionalmente tra il linguaggio e la realtà o il rapporto tra le cose stesse arrivando a discutere anche sulla funzione artistica della rappresentazione, questione cara alle avanguardie contro gli imperativi borghesi. Dunque, sono dipinti che raffigurano la realtà ma che allo stesso tempo creano fusioni strane e inquietanti, attingendo a quella dimensione privata e intima del proprio inconscio.

Cinque quadri più famosi dell’artista surrealista

1) Gli amanti, 1928

In un mondo che si regge soltanto sulle convenzioni e di cui, pertanto, non conosciamo i suoi aspetti autentici, è possibile l’amore? René Magritte sembra partire da questa domanda nel suo dipinto Gli amanti, rispondendo con un chiaro no. Infatti, qui l’artista realizza la rappresentazione dell’impossibilità dell’amore, sempre con quel suo linguaggio paradossale, misterioso, anticonvenzionale e con un quid inquietante: i due amanti sono nascosti da un velo bianco, impossibilitati a riconoscersi l’un l’altro e finanche il bacio è irraggiungibile. Il dipinto pare ispirarsi a Ettore e Andromaca di De Chirico, dove anche lì i due amanti, messi in discussione addirittura nella loro essenza umana, tendono a un abbraccio non realizzabile.

2) L’uso della parola, 1928-29

Una pipa e una frase che contesta che quella sia veramente una pipa. Il lavoro di decostruzione della realtà operato da René Magritte in questo caso si sviluppa su tre piani: l’oggetto reale, la sua rappresentazione e la sua citazione verbale. Infatti, già che quella rappresentata sia chiaramente una pipa che non è possibile fumare mette in discussione la natura dell’oggetto in sé; ancora, chi dice che nel linguaggio quella sia definita una pipa? Perché non può essere chiamata in un altro modo? Ecco che René Magritte va a intaccare di nuovo quelle convenzioni borghesi date per assoluto, ma che in realtà non colgono il senso profondo e autentico della vita.

3) La riproduzione vietata (Ritratto di Edward James), 1937

Qui René Magritte raffigura un individuo di spalle di cui dovremmo vedere il riflesso allo specchio, ma invece vediamo riflesse soltanto le spalle e la nuca in maniera antinaturalistica, al contrario del libro che si riflette correttamente. L’artista dipinge secondo la riconoscibilità, ma rende i legami tra gli elementi compositivi del quadro del tutto impenetrabili, secondo il principio che il senso della vita è imperscrutabile. In questo caso, rappresenta il mistero dell’identità individuale, tematizzando la difficoltà di riconoscersi come soggetti autentici davanti a sé stessi e, di conseguenza, davanti al prossimo.

4) L’impero delle luci, 1954

Come si è già visto in precedenza, il Surrealismo di René Magritte crea relazioni inaspettate e misteriose tra gli elementi dei dipinti. In questo caso, si sfiorano i limiti del paradosso: una casa illuminata dalle luci interne e immessa in una vegetazione fitta e oscura, ma se si guarda in alto si nota che il cielo è azzurro come se fosse giorno. Qui il tempo diventa un’incognita, è giorno? È notte? Chi può stabilirlo e secondo quali criteri? Soltanto perché si vedono il buio e la luce secondo, ancora una volta, una lettura convenzionale? La reazione dello spettatore è di stupore e sgomento davanti all’ironia paradossale del quadro.

5) Télescope, 1963

L’ultimo dipinto di René Magritte, Télescope, è stato realizzato nel 1963. Ancora una volta, l’artista riflette sulla rappresentazione svuotandola di quei significati dati per assolutamente veri: una finestra semiaperta da un lato riflette sul vetro un ipotetico paesaggio stante difronte, ma all’interno lascia intravedere allo spettatore l’oscurità totale. Quel mondo creato pieno di regole e di imperativi viene messo in discussione da Magritte, è svuotato di senso mettendone in vista, all’opposto, la scarsità di contenuti autentici.

Immagine di copertina: Pixabay  

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A proposito di Francesca Hasson

Francesca Hasson è giornalista pubblicista, iscritta all’Albo dal 2023. Appassionata di cultura in tutte le sue declinazioni, unisce alla formazione umanistica una visione critica e sensibile della realtà artistica contemporanea. Dopo avere intrapreso gli studi in Letteratura Classica, avvia un percorso accademico presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e consegue innanzitutto il titolo di laurea triennale in Lettere Moderne, con una tesi compilativa sull’Antigone in Letterature Comparate. Scelta simbolica di una disciplina con cui manifesta un’attenzione peculiare per l’arte, in particolare per il teatro, indagato nelle sue molteplici forme espressive. Prosegue gli studi con la laurea magistrale in Discipline della Musica e dello Spettacolo, discutendo una tesi di ricerca in Storia del Teatro dedicata a Salvatore De Muto, attore tra le ultime defunte testimonianze fondamentali della maschera di Pulcinella nel panorama teatrale partenopeo del Novecento. Durante questi anni di scrittura e di università, riscopre una passione viva per la ricerca e la critica, strumenti che considera non di giudizio definitivo ma di dialogo aperto. Collabora con il giornale online Eroica Fenice e con Quarta Parete, entrambi realtà che le servono da palestra e conoscenza. Inoltre, partecipa alla rivista Drammaturgia per l’Archivio Multimediale AMAtI dell’Università degli studi di Firenze, un progetto per il quale inserisce voci di testimonianze su attori storici e pubblica la propria tesi magistrale di ricerca. Carta e penna in mano, crede fortemente nel valore di questo tramite di smuovere confronti capaci di generare dubbi, stimolare riflessioni e innescare processi di consapevolezza. Un tipo di approccio che alimenta la sua scrittura e il suo sguardo sul mondo e che la orienta in una dimensione catartica di riconoscimento, di identità e di comprensione.

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