All’inizio questo articolo avrebbe dovuto chiamarsi “perché la pirateria salva i videogiochi”, poi ci si è resi conto che è un titolo molto forte, ma oggi vi spiegheremo come mai la pirateria potrebbe aiutare a salvare i videogiochi. Dobbiamo però prima, appunto, parlare dell’elefante nella stanza: la pirateria è un reato che esiste da sempre e questo vale anche per i videogiochi. Già dagli anni ‘80, in quell’acerbo ma crescente Internet, era possibile reperire (seppur con tempi biblici) giochi crackati grazie ai gruppi di appassionati di modding provenienti dalla Scandinavia, Germania e Francia. Commodore, Amiga, ZX Spectrum e MSX andavano già alla grande. Dalla fine degli anni ‘90 si aggiungono alla lista, poi, delle console con cui siamo più familiari: Super Nintendo, Sega Mega Drive e la mitica PlayStation. Il tempo avanza, e così anche la tecnologia: nel corso degli anni abbiamo visto susseguirsi console mitiche: la PlayStation 2, la prima Xbox, la 360, la Wii, vari handhelds come il Gameboy, il DS, la PSP eccetera eccetera. Al di là delle loro differenze, sono accomunate da una cosa: tutte queste console sono state “bucate”, ovvero modificate per permettere loro di poter far girare (leggasi: riprodurre) un codice/software non proprietario, homemade o ancora piratato.
Ora, la pirateria è, come abbiamo già detto, un reato: danneggia sia i produttori di videogiochi, che non vengono retribuiti dalle vendite, sia i consumatori, che possono incappare in virus o altri problemi tentando di scaricare giochi craccati (i cosiddetti “pezzotti”). Alla pirateria viene spesso associato un altro concetto, quello dell’emulazione. L’emulazione videoludica consiste nel riprodurre il software di una console su un’altra console o, nella maggior parte dei casi, su un PC.
L’emulazione è una procedura completamente legale; questa non implica pirateria ed è legittima per una persona la possibilità di emulare, per esempio, la sua copia di Spider-Man per la PS1 sul suo PC tramite apposito emulatore. Focalizziamoci su questa frase: la sua copia, dato che è, per legge, concessa l’emulazione solo dei sistemi e dei software di cui si dispone una copia originale. Questo ha portato al fenomeno del dumping, ovvero creare delle copie virtuali dei propri giochi su cartuccia o disco, che spesso e volentieri vengono poi condivisi su Internet. Approfittare di queste copie, scaricandole per giocarci o altro, è illegale.
Veniamo al dunque: perché la pirateria salva i videogiochi? O meglio, perché può aiutare a fare ciò? Perché, molto semplicemente, molti giochi non sono (più) in vendita. Prendiamo proprio Spider-Man per la PS1: data di rilascio 15 settembre 2000, quasi un quarto di secolo fa. L’unico modo per poterci giocare legalmente è acquistarne una copia usata da Internet (con prezzi che raggiungono facilmente anche il centinaio di euro) e avere una PlayStation One funzionante, dato che non è possibile comprare il gioco sullo store ufficiale PlayStation e né la nuova PS5 che la ormai “quasi pensionata” PS4 possono far girare il gioco.
Le compagnie e le multinazionali del settore sembrano non voler intervenire sulla questione e, quelle che lo fanno, seguono ovviamente i profitti: parliamo di Nintendo, ad esempio, che forza la mano con i siti di ROM sharing (come abbiamo visto in questo articolo) e poi rilascia i suoi vecchi giochi che girano su emulatori scadenti, ovviamente a prezzo pieno.
Insomma, non possiamo dire che la pirateria salva i videogiochi, ma la community può certamente fare ciò che le compagnie non vogliono fare: preservarli.
Crediti immagine di copertina: gamerant.com