Aksana Danilčyk: un itinerario poetico

Aksana Danilčyk

Nella poesia di Aksana Danilčyk è espressa la significanza di un viaggio, una partenza e un ritorno: un ponte, quasi, che attraverso l’esperienza poetica dell’autrice collega la Bielorussia all’Italia e viceversa. Nei suoi versi si fondono la lingua di Maksim Bogdanovič e Dante Alighieri, di Jakub Kolas e Ugo Foscolo, per mezzo della quale nei suoi componimenti si respira un afflato ora civile, ora esistenziale, ora immaginifico, ora figurativo. In tal senso, la suggestione che pervade i versi di Aksana risulta manifesta grazie a una plasticità che fa sì che l’immagine si dipinga innanzi agli occhi del lettore: chi legge i versi di Aksana Danilčyk partecipa alla sua poesia mediante l’atto visivo. Nel Canto del ghiaccio, recente silloge di Aksana pubblicata in Italia, è infatti possibile scorgere l’immanenza delle immagini e dei paesaggi che unificano il suo immaginario poetico costituito da una consapevolezza plurima e plurilinguistica.

Cara Aksana, la prima domanda che può venir spontanea riguarda il tuo rapporto con la letteratura italiana: in cosa la cultura bielorussa e quella del nostro paese si sono incontrate?

Per dare una risposta un po’ più approfondita bisognerebbe rifare tutto il percorso. In breve: nel Rinascimento, nel Romanticismo, ma anche nel XX secolo con gli studi dell’Istituto di Europa Orientale. Dante ad esempio è presente in opere di molti scrittori bielorussi.

Ho provato a rispondere a questa domanda nei miei saggi i nei miei articoli, ma ho fatto anche la tesi del Dottorato sulla concezione dell’uomo nella narrativa bielorussa e italiana dedicata alla seconda guerra mondiale. Quando per la prima volta ho visitato l’Italia, ho visto a Napoli un monumento ai caduti. Non sapevo nulla di questo periodo in Italia e ho fatto la tesi proprio per capire come sono andate le cose. Alla fine grazie allo studio della cultura italiana ho scoperto molte cose della cultura bielorussa.

 In che modo la cultura italiana interferisce con la tua poesia? Raccontaci la tua esperienza poetica nel comporre Il canto del ghiaccio.

Per un autore è sempre difficile decifrare le proprie opere, pensare alle influenze è compito dei critici. Posso solo dire che sicuramente lo studio di una letteratura come quella italiana con una storia così ricca e lunga ha cambiato prima di tutto la mia visione del mondo oltre che della cultura in generale. Poi anche nelle mie poesie ci sono i riferimenti espliciti o impliciti alle opere degli scrittori italiani e naturalmente ai luoghi. 

Il canto del ghiaccio è una raccolta di poesie scelte, adattate alla traduzione in un tempo relativamente breve. Praticamente sono passati tre-quattro mesi da quando mi è arrivata la proposta di Aldo Onorati e di Armando Guidoni di pubblicare il libro alla stesura insieme al traduttore Marco Ferrentino della prima bozza. Invece, le poesie sono state scritte in un periodo molto lungo. E ho cercato ovviamente di inserire anche quelle con riferimenti “italiani” per ringraziare una terra che mi ha insegnato molto, insieme alle persone che hanno contribuito alla mia formazione personale e professionale, prima di tutto la famiglia Di Rito di Atripalda, in provincia di Avellino.

Che io sappia, è il primo libro poetico di un autore bielorusso pubblicato in Italia.                                                                                                                                                          

Fra i tuoi lavori, vi sono anche numerose traduzioni di poeti nostrani: in generale, qual è il tuo approccio nella traduzione?

Cerco di mantenere sia forma sia significato, seguire le rime ove è possibile. Poi c’è anche una scelta linguistica – bisogna scegliere il linguaggio adatto alle opere dei secoli passati.

Le tue traduzioni dall’italiano al bielorusso sembrano legate a un determinato periodo della nostra storia: Alfieri, Foscolo, Leopardi ed altri, come anche Campana: sono tutti autori che sono proiettati nella nostra storia a partire dalla seconda metà del Settecento: esiste un motivo (poetico o culturale) di fondo per tua preferenza di letterati di questo periodo o hai tradotto anche autori più antichi? A proposito in particolare di Alfieri, ricordando la tua traduzione Del Principe e delle lettere, penso a un possibile rapporto con Machiavelli.

Ho tradotto anche i Fioretti di San Francesco e il De vulgari eloquentia di Dante, la mia unica prova di traduzione dal latino. C’è invece un legame tra i miei studi e articoli e le poesie tradotte che possono appartenere allo stesso periodo ma non sempre.

L’opera di Alfieri è estremamente moderna perché fa riflettere sul ruolo dell’intellettuale nella società e sulle scelte che ogni intellettuale è costretto a fare: per chi scrivere, cosa si vuole raggiungere con la scrittura, il rapporto con il potere (e con il denaro), il livello di compromessi ecc. E ovviamente non puoi capire Alfieri senza conoscere Machiavelli e senza Machiavelli non puoi capire il potere. Anche se adesso nella maggior parte dei casi i “Principi”, per fortuna, non sono più di una volta, benché qualcuno è rimasto ancora.      

 E la cultura bielorussa? In cosa ispira i tuoi versi?

Direi, nelle mie radici, nella campagna bielorussa e nella cosiddetta tradizionale cultura contadina. Quando raccontavo a mia nonna delle mia permanenza in Italia lei diceva sempre: “Anche in Italia vive la gente”…

Poi ho cercato di capire la storia del Paese e di scoprire la letteratura bielorussa che tuttora continuo a studiare. Non quella ridotta in un modo orribile alla scuola dei tempi sovietici. Comunque, quando cresci tra le rovine dei castelli uno dei quali adesso è ristrutturato ed è sito UNESCO (castello di Mir) qualcosa si sveglia nella tua subcoscienza.     

Poi c’è anche un dialogo tra i poeti quando ti viene voglia di esprimerti a riguardo in una forma poetica.

 Da poco è uscita in Italia un’antologia di poesia bielorussa contemporanea in cui sono inseriti anche tuoi componimenti: cosa puoi dire di questa raccolta?                   

Infatti, è per la prima volta in Italia che esce una raccolta di vari autori bielorussi quale l’ Antologia della poesia bielorussa del XX secolo intitolata Il carro dorato del sole(CapireEdizioni) a cura della Prof.ssa Larisa Poutsileva. Secondo me è un evento la cui importanza si capirà bene solo con il passar del tempo, è il sogno avverato della Signora Larisa che conosco da parecchi anni e sono felice di far parte di questo progetto. Spero che anche le mie poesie possano aiutare a capire meglio la Bielorussia.  

 

Fonte immagine: controluce.it

A proposito di Salvatore Di Marzo

Salvatore Di Marzo, laureato con lode alla Federico II di Napoli, è docente di Lettere presso la scuola secondaria. Ha collaborato con la rivista on-line Grado zero (2015-2016) ed è stato redattore presso Teatro.it (2016-2018). Coautore, insieme con Roberta Attanasio, di due sillogi poetiche ("Euritmie", 2015; "I mirti ai lauri sparsi", 2017), alcune poesie sono pubblicate su siti e riviste, tradotte in bielorusso, ucraino e russo. Ha pubblicato saggi e recensioni letterarie presso riviste accademiche e alcuni interventi in cataloghi di mostre. Per Eroica Fenice scrive di arte, di musica, di eventi e riflessioni di vario genere.

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