L’amore molesto di Elena Ferrante | Recensione

Pubblicato nel 1992, L’amore molesto, primo romanzo dell’autrice Elena Ferrante, è una vera e propria full immersion nella psicologia della protagonista, Delia che con la morte inaspettata di Amalia, sua madre, si ritrova a dover fare i conti con il proprio passato. Il romanzo, dal punto di vista tematico, contiene già una serie di elementi che andranno a costituire, successivamente, la cifra stilistica della Ferrante. Si parte dal dramma e dalla profondità psicologica dei personaggi, per poi passare alla violenza e a un passato che sempre più spesso, nei personaggi dell’autrice, torna a far visita.

La trama
In seguito all’improvvisa morta della madre Amalia, la quarantacinquenne Delia è costretta a tornare nella sua città d’origine, Napoli. Il ritorno a Napoli per Delia equivale a compiere un percorso a ritroso nei suoi ricordi d’infanzia e nella vita della madre per capire come sia avvenuta la sua morte. L’unica cosa certa è che il corpo di Amalia è stato trovato annegato nella zona di mare dove Delia, da giovane, era solita andare con la sua famiglia in estate. Andando a ripercorre gli ultimi giorni di vita della madre, Delia si troverà a scontrarsi con i ricordi dell’amore molesto vissuto tra sua madre e suo padre ma anche di quello che Delia stessa ha subito quando era solo una bambina a causa delle attenzioni del nonno di Antonio, un suo compagno di giochi. Il romanzo offre una dinamica thriller coinvolgente che scava a fondo nella psiche dei due personaggi femminili facendo emergere tutta la loro comune fragilità.

Delia e il suo ritorno a Napoli
L’ambientazione de L’amore molesto, come nella celebre serie di romanzi L’amica geniale, è una Napoli che si trasforma in base ai tormenti interiori dei personaggi. La Napoli che Delia ci racconta è una città da cui scappa per poter costruirsi una nuova vita ma è anche una città verso la quale è obbligata a tornare per via delle sue radici. Nel suo ritorno nella città partenopea, Delia si confronta con una Napoli che le sembra così ostile da trovare molte difficoltà nell’ indentificarsi nel luogo in cui è nata. D’altronde non ha mai sopportato il dialetto, gli odori, i troppi rumori, il vociare particolarmente alto e i ragionamenti retrogradi di uomini che si rivolgono alle proprie mogli con grezza non curanza. La Napoli che l’autrice ripropone a Delia, quando la madre muore, è fatta di messaggi che all’apparenza le sembrano criptati solo perché, in realtà, profondamente interconnessi alla sua vita: c’è la violenza, la cattiveria dell’essere umano, la sofferenza, l’angoscia, la miseria. Nella sua città d’appartenenza la donna non può far altro che identificare la madre. In quest’ultima Delia percepisce la rassegnazione verso una cultura violenta e patriarcale, la stessa di cui anche Amalia era stata vittima a causa dell’ex marito. Con il suo clima estremamente torrido Napoli diventa per Delia una città che, come la madre, non è mai stata in grado di sanare le sue ferite più profonde.

I traumi di Delia
Il trauma più difficile da affrontare per Delia viene esplicato in ciò che la Ferrante scrive all’interno del ventiquattresimo capitolo: «L’infanzia è una fabbrica di menzogne che durano all’imperfetto: la mia almeno era stata così» per riferirsi all’abuso subito dalla donna quando era bambina. Le menzogne sono quelle che Delia racconta a sé stessa, pur di sopravvivere all’ incomprensibile atrocità dell’abuso. Eppure Delia si lascia cullare da queste menzogne nel vano tentativo di potersi lasciare alle spalle un dolore che quando poi ritorna a Napoli emerge in modo inarrestabile. La tragica e improvvisa morte della madre instaura una continuità particolare tra il trauma della perdita materna e quello avvenuto quando invece Delia era solo una bambina indifesa. Un trauma si sovrappone all’altro nello stesso meccanismo in cui la donna gestisce il dolore represso nella sua memoria: in maniera confusa e parziale. La bambina che vive in Delia, d’altro canto, è una bambina poco ascoltata, la cui storia fatica ad essere lineare per via dei suoi ricordi scabrosi. Per ogni essere umano le esperienze traumatiche sono difficili da raccontare perché anche difficili da dover accettare e inserire nella propria storia personale, infatti Delia spiega «ricordavo ma non riuscivo a raccontarmelo». Nella caratterizzazione di Delia capiamo, dunque, quanto sia stato urgente per la Ferrante approfondire anche la distruttività della sua memoria traumatica senza, tuttavia, esagerare ma decidendo di conservare la sua cifra stilistica delicata e originale.

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