Il mondo s’è fatto male di Antonella Vairano | Recensione

Antonella Vairano

«Sarò il controcanto della tua costola bassa svuotandola dal male»
(Antonella Vairano)

Antonella Vairano pubblica, per la casa editrice CSA Editrice, la sua nuova silloge poetica “Il mondo s’è fatto male” e compie, inavvertitamente eppure con grande spregiudicatezza, una dichiarazione di fede nei confronti della poesia e prima ancora della parola stessa. La sua poesia si fa inno: inno a un Dio che non c’è più, soppiantato ormai dal Male, inno a un Poeta inerme e privo di potenza che è “come un titano/ ebete in una torre nana” (da Babilonia) ma che, ella stessa poeta, chiama a intervenire e, infine, inno latente e silenzioso alla salvezza. Pur invocando un Poeta altro da lei, è Antonella Vairano la prima Poeta poiché è impossibile sfuggire alla forza (tanta) poetica dei suoi componimenti: mentre chiama il suo un urlo «costretto da maledizione avversa a rimanere muto nel collo» (da Gonfia la gola), la creazione lirica de Il mondo s’è fatto male fa invece riemergere una latente e invisibile furia primitiva che crea di continuo visioni apocalittiche e insieme dà fiducia. La poetessa scalfisce scheggia a scheggia il male del “bel mondo” in un atto unico di ribellione e crudezza che mira a emarginare il Male, quasi a discriminarlo; con una scrittura costantemente in bilico tra gravità e delicatezza, tra speranza e crudele disfacimento, tra la prepotenza dei suoi versi brevi e la loro dannata e confortevole inconsistenza, ci insegna come solo circoscrivendolo, dandogli una forma o un nome, possiamo disarmare quel malvagio, imperturbabile, superbo e dissennato Male per infine esorcizzarlo. È in ciò che la Vairano ci dimostra come non è vero che «il Poeta non può far niente» come lei stessa dice, poiché è il poeta, acrobata sull’acqua santa, che battezza le cose. Nel mentre Antonella Vairano attende il giorno del giudizio come una purificazione necessaria e nell’evoluzione della sua voce si compie il crollo disperato di ogni edificio del bene: le vergini intolleranti «ora hanno il fuoco tra le gambe» e «nella basilica consacrata dai secoli/ non entra più nessuno»(da Salomè); «il peggiore peccato/ rimasto / è un sacerdote fermo / con una preghiera in mano» mentre le risate dei gabbiani la umiliano curva com’è sui suoi versi e ridono di lei, “anima bagnata”, che nasce “Figlia di un cielo bianco”. Nella mattanza impronunciabile, solo un convivio di profeti deciderà chi verrà salvato, ma come sperare se anche il figlio di Dio è ora un “angelo di carta”? Con la coerenza ferrata dei suoi versi- che pure ingannano e trascinano verso scenari cupi e sembrano anzi un atto di abnegazione verso l’obbligata pandemia del dolore e della disfatta (nei suoi versi i marciapiedi saltano, gli alberi si piegano e le “stelle ammuffite” precipitano come vecchie falene)-  Antonella Vairano ci riporta invece su, verso il cielo bianco di cui è figlia, sul candido lenzuolo che è la sua pagina su cui adagia le sue tracotanti parole, lame affilate, inni alla sopravvivenza, atti di rivoluzione e salvezza e, verso la fine, le sue poesie non possono più ingannarci: si rivelano nel loro senso pieno, come espressione di tentativi costanti di difesa e superamento del male, che pure fa parte dell’uomo e lo circonda, ma che non è tutto. Il culmine di tale disvelamento è trasparente più che mai in Manca poco per l’alba: dopo che la purificazione è compiuta, Antonella Vairano auspica “giorni perfetti”: «E in un pomeriggio che si svende/ saremo tutti di più / vestiti per bene / e con oli essenziali tra i capelli» (da Manca poco per l’alba). Le sue parole sovversive tessono immagini incisive che rendono le visioni chiare come chiaro è il messaggio: non può esservi resa poiché ognuno degli edifici gettati al suolo si ricompone ogni volta che un poeta dà vita a un verso.

Al Poeta

Riportami a casa Poeta.

Scendi dallo scalino che gira in tondo.

 Accompagnami.

Tu conosci la strada discreta

 tocchi l’impenitenza e le parole.

 Tienimi insieme la dolenza e il sorriso sgraziato.

Tu conosci la smorfia che incide la pietà

 e affama le api e le lingue morte.

Sollevami Poeta.

Le gambe sono grasse

 e i piedi sono storpi.

 I lucernai

sono il segno

del passo deciso.

Non ho altro da conoscere.

Dammi il sonno per andare.

(di Antonella Vairano)

 

Fonte immagine di copertina: Scaffale Web

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