La guerra di tutti, il ritorno di Raffaele Alberto Ventura

La guerra di tutti, il ritorno di Raffaele Alberto Ventura

Dopo il successo riscontrato con Teoria della classe disagiata, Raffaele Alberto Ventura torna nelle librerie con La guerra di tutti, un’analisi del presente tra populismi, terrore e crisi della società liberale.

Edito da Minimum Fax, il libro di Ventura si presta ad essere una lente per capire cosa ci sta accadendo ma anche un riassunto parziale del decennio che si sta per concludere.

Il 10 gennaio 2019 Repubblica pubblica un articolo firmato da Alessandro Baricco in cui l’autore sostiene che il patto tra le élites e la gente è andato in pezzi perché nessuno è più disposto a concedere privilegi, potere e ricchezza ad una minoranza che non è riuscita a costruire un mondo migliore, come promesso, e che non si assume più la «responsabilità di costruire e garantire un ambiente comune in cui sia meglio per tutti vivere».

Scrive Baricco: «Che piaccia o no, le democrazie occidentali hanno dato il meglio di sé quando erano comunità del genere: quando quel patto funzionava, era saldo, produceva risultati. Adesso la notizia che ci sta mettendo in difficoltà è: il patto non c’è più».

Il venir meno di quel patto è un problema perché quel tacito accordo era il collante di un ordine ormai in disfacimento. Nei paragrafi successivi del suo articolo Baricco evidenzia delle cause. L’«idea di sviluppo e di progresso [delle élites] non riesce a generare giustizia sociale, distribuisce la ricchezza in un modo delirante», sostiene Baricco.

Nel mentre, i nuovi device hanno dato a tutti la possibilità di informarsi, comunicare ed esprimere le proprie idee. Diritti che fino a pochi anni fa erano privilegi delle sole élites. Il ragionamento si conclude invitando le èlites a reagire allo sterile There Is No Alternative per tornare a pensare ad un nuovo mondo con determinazione, pazienza e coraggio.

Le parole di Baricco hanno suscitato un certo interesse ed animato un bel dibattito forse grazie al tema principale di cui tutti da un po’ di tempo ormai vediamo l’ombra senza però avere il coraggio di accendere la luce. Descrivere il disfacimento dell’ordine costituito può essere doloroso ed impegnativo. Doloroso perché il collasso del nostro mondo non può che portare a situazioni già verificatesi in passato e che sono state risolte a caro prezzo.

Impegnativo perché i sintomi di un fenomeno così complesso sono numerosi e da rintracciare nei vari livelli del sapere. È quello che ha provato a fare Raffaele Alberto Ventura ne La guerra di tutti, 308 pagine ricche di note a piè di pagine per la gioia di chi ne aveva sentito la mancanza nel precedente lavoro, e in cui si spazia da Rihanna al pensiero di Rousseau e Hobbes, senza tralasciare le avventure dei supereroi del Marvel Cinematic Universe.

La guerra di tutti, una miriade di narrazioni non condivise

Il problema dell’incapacità delle élites di offrire un mondo migliore è che nel lungo termine una gran parte della popolazione occidentale ha iniziato a rifiutare deliberatamente quel sapere perché appartenente ad una classe dominante e percepito come strumento di oppressione. Rifiutare quel sapere significa però mettere in discussione non solo il messaggio ma anche il codice dell’intero paradigma di riferimento.

Le teorie cospirazioniste sono la risposta più semplice all’incapacità di capire e mettere a fuoco la complessità del reale. «Nei secoli la scienza era riuscita a rendere conoscibile la natura, librandola dalle narrazioni teologiche – e nel frattempo, sono lo Stato e il Mercato a essersi sviluppato al punto di diventare irriconoscibili», scrive Ventura.

Ma come possono coesistere le persone se non condividono una stessa verità? Alla messa in discussione della legittimità di un potere conseguirà il presunto legittimo diritto di rifiutare la sottomissione a quel potere. Niente di nuovo, dato che è ciò che accade ogni volta che si cambia l’ordine costituito, ma la novità è che non ci sono più solo alcune grandi narrazioni ma tante narrazioni quante sono le persone.

Ognuno ha la sua narrazione e il venir meno di una scala gerarchica rende praticamente impossibile capirsi. Non è più solo una questione legata alla distinzione tra ciò che è falso e vero ma si tratta della possibilità di stare insieme e comprendersi.

Sebbene il ragionamento venga esposto con estrema chiarezza, non è questo il passaggio più interessante de La guerra di tutti. Secondo Ventura, infatti, «questa deriva paranoica non è per forza il segnale di una mancanza d’istruzione: abbiamo letto nei libri di Michel Foucalt che è legittimo dubitare dei saperi legittimi, e abbiamo ragioni concrete di dubitare della scienza economica, dei programmi sanitari, della storia ufficiale». Staremmo semplicemente affrontando, secondo l’autore, le conseguenze del sospetto generalizzato nato con i suoi tre grandi maestri: Nietzsche, Marx e Freud.

Riassumendo, quanto più si realizza la complessità dei sistemi che abbiamo costruito tanto più si prende atto dell’incapacità di capirli realmente e controllarli e venute meno le grandi narrazioni del novecento non resta che un grande vuoto da colmare.

L’autore spiega come il problema della gestione della conoscenza si sia tramutato molto velocemente in un problema sociale perché ogni narrazione ha delle contraddizioni più o meno evidenti e se spesso facciamo finta di ignorarle è perché, secondo il Bullshit Asymmetry Principle, «la quantità di energia necessaria a confutare una cazzata è di un ordine di grandezza superiore a quella necessaria a produrla».

Sottoporre qualsiasi cosa a un ossessivo fact-checking non solo richiede costi che non possiamo sostenere ma ci paralizza. Non riusciamo più a capirci e se non ricominciamo a farlo sarà impossibile sfuggire al caos.

Non si può poi ignorare un ulteriore fattore: l’iperstizione, cioè l’idea che i segni possano influenzare la realtà. E quali sono i segni che ci stanno influenzando? Ventura analizza l’impatto di film come V per Vendetta, di forum come 4chan o di campagne marketing particolarmente aggressive che hanno contagiato la realtà in modo così profondo da cambiarla.

«Nel vuoto lasciato dalle grandi narrazioni della modernità prolifera una massa di segni che definiscono le nostre aspirazioni e i nostri comportamenti, il nostro immaginario politico, le nostre forme di espressione, il nostro linguaggio. […] prima o poi a furia di bussare alla porta del reale, i segni trovano un vettore di contagio per farsi strada».

La mimesi inizia a prevalere sulla catarsi e questo significa che la violenza simbolica insita nei discorsi prima o poi si trasformerà in realtà, soprattutto se a sfruttarla come catalizzatore di consenso sono i leader politici che alle promesse devono far seguire i fatti. Se le promesse non saranno rispettate il conto da pagare sarà ancora più salato perché alla violenza messa in circolo nel sistema sociale si aggiungerà quella generata dalla delusione conseguente all’incapacità del sistema di soddisfare «bisogni, materiali o simbolici, da lui stesso creati».

Per Teoria della classe disagiata Ventura è stato accusato di limitarsi a proporre una pars destruens. La presunta pars destruens non era tale con l’opera precedente ma soprattutto non lo è in La guerra di tutti perché emerge con chiarezza un punto di vista che illumina un ragionamento preciso: «Dobbiamo riprendere il controllo dei segni, delle parole, delle finzioni, delle rappresentazioni, oppure saranno loro a prendere il controllo su di noi».

Con riferimenti che spaziano dal Comitato invisibile a Tony Stark, Ventura ripropone ne La guerra di tutti, riassumendola, anche la sua Teoria della classe disagiata (di cui abbiamo già parlato qui): all’aumentare del benessere materiale legato al progresso cresce anche la domanda dei beni posizionali, beni strutturalmente scarsi.

Cosa si intende per beni posizionali? Dignità, prestigio, reputazione, stima di sé e, più in generale, il riconoscimento. Non è un caso che negli ultimi venti anni i partiti abbiano abbandonato le politiche economiche per abbracciare le «politiche del riconoscimento», più incentrate su temi civili che sociali. Ci sono però due problemi.

Il primo è che i beni posizionali, in quanto tali, sono pochi e infatti il loro valore scaturisce da questo. Sono poche le persone che possono entrare in un ristorante esclusivo e l’esclusività è legata alla difficoltà di sedersi a quel tavolo. Il sistema continua però a raccontare a tutti che chiunque può entrare e gustare una prelibata cena. Se però tutti potessero davvero farlo la cena non sarebbe più così tanto esclusiva.

L’incapacità di offrire alla maggior parte della popolazione occidentale ciò che le era stato promesso fa sì che i «saperi ufficiali» siano in crisi. L’incapacità della politica, dell’economia e in alcuni casi della scienza di realizzare progetti ha portato a una sostituzione della realtà con le metafore: si è promesso per decenni uno sviluppo infinito creando individui-consumatori che rincorrono sogni irraggiungibili.

Il secondo problema riguarda il modo in cui quella ricchezza che ci permette di interrogarci su quale sia il ristorante più esclusivo da frequentare sia stata accumulata. Ed è su questo secondo punto che Ventura fa un passo in avanti rispetto all’opera precedente: «[Il] sistema di divisione internazionale del lavoro ha fissato i nostri standard di esistenza come se fossero naturali e universali. Oggi ci accorgiamo che erano un prodotto storico di certi rapporti sociali, che siamo stati beneficiari di un sistema economico tanto fragile quanto fondamentalmente ingiusto […] Finché i rapporti di forza erano chiaramente definiti, potevamo ancora godere della pace armata dei vincitori: ma via via che s’incrina il predominio occidentale una parte crescente della popolazione mondiale si concede finalmente il diritto di desiderare la stessa cosa che desiderano le classi medie americane ed europee, trascinando l’intero pianeta in un conflitto mimetico».

Per di più, il mondo occidentale deve fare i conti con una premonizione totalmente errata. Al contrario di quanto si pensava, l’universalismo e i valori liberali sembrano non trovare alcuna affermazione in un mondo sempre più affollato dai particolarismi e dalle radicalizzazioni. E nel mentre lo Stato e la Politica indietreggiano lasciando dei vuoti che vengono comunque colmati. Ma da cosa?  Lo scoprirete leggendo La guerra di tutti.

Se quanto scritto non dovesse bastare per convincervi a leggere La guerra di tutti non ci resta che un’ultima arma. Se temi come l’unità del corpo politico, il rischio di una guerra civile, la necessità di ripensare la sovranità dovessero proprio annoiarvi, Ventura prova a spiegarveli con il cinema, i cartoni animati, i fumetti, la Cultura Pop, insomma, nella sua accezione più alta.

Ci dimostra così che l’intrattenimento può anche essere una bussola eccellente per orientarsi in un presente che ha bisogno di pensare a come coniugare nuovamente i valori liberali e la tolleranza con il concetto di sovranità.

Fonte immagine: foto di Salvatore Tramontano

A proposito di Salvatore Tramontano

Studia Mass Media e Politica presso l'Università di Bologna. Scrive per capire cosa pensa.

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