La traduzione a cura di Lorena Paladino di “Lettere a Theo” di Vincent Van Gogh costituisce la chiave di lettura di uno degli artisti più discussi e apprezzati, soprattutto dal mondo giovanile. Importante sottolineare come tramite questa raccolta di lettere, ordinate cronologicamente dal 1875 al 1890, l’artista abbia dimostrato un discreto talento per la scrittura.
Il bisogno di scrivere e di aprirsi su tutto ciò che gli succedeva è risultato tanto importante quanto la pittura stessa, attività che lo teneva impegnato giorno e notte, talvolta portandolo a digiunare. Vincent era un uomo come tanti, un pittore povero, talvolta insoddisfatto, uno spirito tormentato, che ha cercato di essere razionale e fiducioso anche quando la malattia non gli rendeva le cose facili. Fu un uomo fondamentalmente solo, alla strenua ricerca di compagnia, di amicizie e di amore, ma buono e umile; un self made man che, come tante personalità incomprese, meritava, senza ombra di dubbio, un finale differente.
Con i suoi genitori, specie con suo padre, non ha mai avuto il rapporto che desiderava, e spesso con suo fratello, ha lamentato questa condizione, con profonda tristezza.
“Papà e mamma non sono persone in grado di comprendermi – né i miei difetti né le mie buone qualità – non riescono a mettersi nei miei panni.”
Lettere a Theo: gli alti e bassi del genio artistico
Dalle prime lettere, si evince una personalità fiduciosa, amante della vita, credente, una persona tutto sommato positiva, nonostante gli evidenti problemi finanziari. Ciò che sprona il giovane pittore a migliorarsi e non arrendersi alla paura di non farcela, è la vicinanza col fratello minore Theo, con il quale scambia continui pareri. Parlano di tutto: dai paesaggi dei quali si innamorano, alla bellezza dei colori, dalle persone che incontrano e così via. Tuttavia, con il passare degli anni, la sua positività sbiadisce. Vincent lamenta il fatto di avere ancora tanto da imparare e di non essere in grado di dipingere come vorrebbe. Si paragona agli altri pittori e questo spesso gli causa sofferenza, perché non si sente all’altezza. Il pittore alternerà momenti di entusiasmo e follia, di grinta e debolezza. Nel periodo in cui è rinchiuso a Saint Remi de Provence, avrà alti e bassi e la sua sanità mentale comincerà a vacillare.
Questa raccolta è un qualcosa di emozionante. La scrittura è fluida, carica di passione e di onestà. Permette di guardare al pittore con occhi diversi, di buttar giù preconcetti scolastici che il lettore ha su Vincent e di cogliere, invece, i suoi desideri, i suoi tormenti (quelli di un uomo semplice), ma anche della serietà della sua malattia, della quale all’epoca si sapeva ben poco. Ciò che rende preziose queste lettere è il modo in cui l’anima di un uomo normale viene a galla. La sua fama, poi, sarà soltanto successiva a tutto questo.
Come lui stesso ha predetto:
“Si spende molto per un lavoro quando il pittore è morto e si criticano i pittori viventi facendo riferimento alle opere di quelli che non sono più con noi”.
E forse, non aveva tutti i torti.
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