Canzoni dei Tre Allegri Ragazzi Morti: 4 da ascoltare

Tre allegri ragazzi morti

I Tre Allegri Ragazzi Morti (spesso abbreviato in TARM) sono un gruppo musicale indie rock formatosi nel 1994 a Pordenone. Se ancora non conoscete questa band, in questo articolo vi proponiamo 5 canzoni dei Tre allegri ragazzi morti da ascoltare per apprezzarli al meglio. 

I Tre allegri ragazzi morti sono Davide Toffolo, Enrico Molteni e Luca Masseroni. La band è famosa per aver deciso di non rivelare la propria immagine ai media: ancora oggi si nascondono dietro maschere a forma di teschio divenute feticcio e simbolo dell’immaginario evocato dai testi della band.

Ma quali sono le 5 canzoni da ascoltare dei Tre allegri ragazzi morti per innamorarvi completamente di questa band indie rock?

1. Alle anime perse 

Questa canzone, che fa parte dell’album Nel giardino dei fantasmi, è quasi una filastrocca cantata, in cui tra un ritornello e l’altro si racconta la storia di una ragazza innocente il cui nome è sconosciuto, descritta come silenziosa e bianca come la luna. La canzone racconta il trauma generazionale di questa ragazza e di sua madre, entrambe abbandonate vent’anni prima dal padre (e marito).  Quest’ultimo, dopo essersi divertito con la madre della protagonista, era scomparso senza fare mai più ritorno. La ragazza, per questo motivo, non ha potuto conoscere suo padre ma ha sempre voluto incontrarlo, e si ritrova a fantasticare su chi potrebbe essere: un capitano o un pilota, l’avrebbe voluto incontrare. Nella quinta strofa viene rivelato che alla giovane ragazza è riservato lo stesso destino che aveva colpito sua madre vent’anni prima:  a 14 anni incontra un uomo sconosciuto che, dopo averla sedotta, la abbandona nell’erba e non fa mai più ritorno: 

Compiuti quattordici anni un uomo arrivò dalla strada
La prese in mezzo all’erba a qualche metro dal mare
Prima un po’ di paura, poi un fremito e si lasciò andare
Con un uomo senza nome che le insegnò a baciare
Come arrivato partì senza mai piu tornare
Lei lo aspettò dritta in piedi, fra la strada e il mare
Si disperava perché aveva sempre fame
Dei baci che non trovava piu e che erano come il pane
 
Oltre a raccontare la storia della giovane ragazza bianca come la luna, la canzone Alle anime perse è anche un invito all’empatia e alla compassione: il testo esprime un invito a fornire riparo e conforto alle anime perse ed inquiete che vagano per la vita. 

 

2. Il principe in bicicletta

La seconda delle canzoni dei Tre allegri ragazzi morti da ascoltare è Il principe in bicicletta, che fa parte dell’omonimo EP. Anche questo brano vede protagonista una giovane donna, in particolare una ragazza universitaria che di sera lavora come cameriera, intrappolata tra la sua realtà e il desiderio di qualcosa di più grande. La cameriera è sempre stanca e costretta a sopportare, sera dopo sera, le continue molestie dei clienti ubriachi. Le parole di Davide Toffolo appaiono quindi come un dolce incoraggiamento e ricordano alla cameriera (e a tutte le donne) di non preoccuparsi: il tanto atteso “principe azzurro” un giorno arriverà, anche se in groppa ad una bici, e non ad un cavallo:

A cavallo di una bici
il tuo principe verrà
e se qualcos’altro vuoi
lui te lo darà

3. Codalunga

Codalunga è un inno alla vita pre-capitalista e pre-social network. Codalunga, il protagonista della canzone, è un uomo primitivo che non sa quando è nato / non si guarda allo specchio/ non vive il social network, che vive al di fuori di tutti quei circuiti che formano quella che oggi chiamiamo civiltà. Una canzone dal tono leggero ma dalla tematica profonda e complessa:

Codalunga, a lui piace il sesso
Lo sta facendo adesso
E senza compromesso
Codalunga, non lo vedo spesso
Può darsi sia partito
Per un altro universo

 

4. La tatuata bella 

L’ultima delle canzoni dei Tre allegri ragazzi morti consigliata è un pezzo senza dubbio emozionante per la mancanza di strumenti e la conseguente realizzazione polifonica, che spesso è utilizzato dalla band come chiusura ai concerti. La canzone è un inno alla Natura come unica padrona della vita umana e alla liberazione dalla schiavitù capitalista. La liberazione è intesa sia dal lavoro, opprimente soprattutto per il ruolo impari di padrone e proletariato, sia dal pensiero capitalista.

La canzone esordisce chiarendo quale sarà il tema portante: le prime parole sono infatti La tatuata bella al lavoro non ci va. Le ragioni, tuttavia, sono chiarite nei passi successivi e sono molteplici. Tanto per cominciare, la protagonista di questa canzone «a consumar le dita per gli altri non ci sta». 

Nella seconda strofa viene invece specificato chi sia il principale colpevole dello sfruttamento dei lavoratori, ovvero un generico padrone. Il movente del suo atteggiamento di superiorità, che costringe a un prono servilismo i suoi dipendenti, è il profitto”.  A parlare ed esprimere il suo rifiuto è l’Io lirico della canzone, la “tatuata bella”, che non è più disposta a subire lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, e si rivolge qui direttamente al suo padrone.

Con la terza strofa il punto di vista si sposta verso un soggetto presumibilmente maschile, che se da un lato ammette la necessità del lavoro, senza il quale non è permesso il sostentamento nella società odierna («e se lavori duro un motivo ci sarà»), dall’altro ribadisce la volontà di liberarsi per un po’ da queste catene. Non si tratta solo della catena fisica del lavoro salariato, ma anche delle catene del pensiero, della convinzione che non si possa vivere senza lavorare.chi è schiavo del lavoro/o solo del pensiero che senza non si può»). Anche questo personaggio si accompagnerà allo sciopero della tatuata, e andrà con la sua donna sul prato a far l’amor

Il finale della canzone sembrerebbe esprimere la volontà di entrambi i soggetti, assunti a portavoce di tutta la classe lavoratrice, di liberarsi dal lavoro e girare per il mondo: «voglio girare il mondo, ché il mondo in testa ho.» Infine, il fulcro dell’intera canzone: «e non avrò paura, padrona mia è la luna ed altro io non ho.» Questo verso esprime il rigetto di ogni schiavismo, di ogni catena, di ogni frustrazione con cui l’uomo pensa di poter imporre il suo dominio, o addirittura con cui l’uomo può incatenare sé stesso. Con quest’ultima frase si giunge al culmine di tutti quei riferimenti filosofici e politici che si possono rintracciare nel testo, come il comunismo marxista e l’anarchismo, e nell’allusione alla luna si possono rintracciare i riferimenti poetici che hanno attraversato la storia letteratura, primo su tutti il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia di Leopardi.

Fonte immagine: Wikimedia Commons 

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