Zibaldone di Giacomo Leopardi: analisi e temi

zibaldone di leopardi

Dall’estate 1817 Leopardi annota sul quaderno appunti e pensieri di natura diversa, successivamente raccolti e pubblicati con il titolo “Lo Zibaldone”. Circa un anno e mezzo più tardi, Leopardi inizia a porre la data in calce alle annotazioni; dettaglio prezioso quest’ultimo che ci consentirà di ricostruire il processo evolutivo del suo pensiero. Parimenti, i tempi di elaborazione dell’opera, ovvero dal gennaio 1820 fino a tutto il 1832. Quanto al titolo, Leopardi parla per la prima volta di “Zibaldone” il 14 ottobre 1827.

La mole delle riflessioni è impressionante in quanto si stimano circa 4526 pagine manoscritte, maggiormente redatte tra il 1820 e il 1828. Nel 1827 Leopardi decise di affrontare persino un indice degli argomenti trattati, di qui il titolo Indice del mio “zibaldone di pensieri”. La presenza di questi indici è molto importante; è come se Leopardi avesse voluto fornirci uno strumento per navigare all’interno del testo complesso e labirintico.

Lo Zibaldone è un’opera che, nella sua natura di libro – parallelo e segreto – mostra tutta la sua modernità ed il suo fascino. Insomma, non si tratta di un testo semplicemente strumentale, ossia utile alla comprensione dei Canti e delle Operette morali. Nel 1831 e il 1835 Leopardi seleziona dai suoi appunti alcuni aforismi, a cui aggiunge via via dei nuovi. La selezione viene trascritta in modo impreciso nel 1845 dall’amico Antonio Ranieri, che lo affida all’editore Le Monnier.

Questo gruppo – poco più di un centinaio di aforismi – è noto con il titolo Pensieri, allo scopo di distinguerli dallo Zibaldone, che, probabilmente, Leopardi non pensò mai di pubblicare in forma integrale. Gli argomenti affrontati sono i più disparati, anche se più della metà degli appunti è dedicata ad annotazioni di carattere linguistico o ad osservazioni di carattere filosofico (riflessione sulla natura, sul bello, sulla ragione, sull’immaginazione eccetera ). Vi sono altresì anche riflessioni sulle scienze.

Lo Zibaldone è uno degli esempi più interessanti della modernità di Leopardi. Il carattere fulmineo e conciso della scrittura evidenzia la natura sistematica della filosofia leopardiana. Moderno è il metodo aperto e poetante con cui il discorso procede, mosso da una curiosità che non conosce pregiudizi e che accoglie tutte le sollecitazioni dell’attualità della ricerca filosofico-scientifica, tecnica e sperimentale. Questo stile scheggiato e frammentario riflette il momento stesso del pensiero, la sua inquietudine nel ricercare e nel rappresentare la mutevolezza e la molteplicità delle esperienza.

In tutte le opere è fondamentale riconoscere il suo pensiero. La riflessione di Leopardi parte dall’analisi critica di alcuni aspetti della cultura illuministica, a cominciare dalla presunta superiorità della scienza quale mediatrice privilegiata della conoscenza umana. Egli studiò importanti testi illuministici presenti nella biblioteca paterna; ciò lo mise in condizione di cogliere due snodi nevralgici del pensiero settecentesco e di intuire le contraddizioni, in contro tendenza rispetto al suo secolo. Il primo snodo riguarda la differenza tra scienza e scientismo; Leopardi non rifiuta la scienza in sé ma la mistica del progresso e trasforma le verità scientifiche in certezze assolute, alle quali è affidata la felicità umana. Per Leopardi scienza e tecnica possono offrire agli uomini strumenti via via sempre più perfezionati, ma non possono eliminare l’infelicità connaturata alla condizione umana. Il secondo snodo consiste nel rapporto tra natura, religione e civiltà.

Nella visione leopardiana (simile al pensiero di Rousseau) il pericolo viene da un eccesso di civiltà: la ragione nega all’uomo la capacità di sentire facendo prevalere un approccio razionalistico che lo priva di spontaneità. Così alla natura originaria si sostituisce una seconda natura artificiale e prodotta dalla civilizzazione che altera i desideri dell’uomo e crea in lui nuovi bisogni, che l’ordine naturale non è più in grado di soddisfare e che porta l’uomo ad accusare la natura di essere imperfetto, quando invece si tratta non di un’imperfezione naturale ma di un’alterazione e corruzione della vita umana.

Fonte immagine in evidenza: Wikipedia 

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