Glenn Frey, nato il 6 novembre 1948 a Detroit e scomparso a New York il 16 gennaio 2016, è stato una figura di spicco per il country-rock prima e per il pop rock poi, soprattutto a partire dagli anni ’70 e fino alla sua scomparsa. Noto principalmente per essere stato, insieme a Don Henley, Bernie Leadon e Randy Meisner, uno dei fondatori degli Eagles, una delle band più iconiche della storia della musica americana. Frey ha perseguito anche una carriera da solista di successo, continuando ad ispirare e influenzare diverse generazioni di musicisti ed esplorando ulteriormente generi come il soul, l’R&B e il rock-blues. In questo articolo consigliamo tre canzoni di Glenn Frey da ascoltare assolutamente, fra quelle maggiormente note.
You belong to the city
You belong to the city è un brano iconico del 1985, scritto a quattro mani da Glenn Frey e Jack Tempchin, per la colonna sonora della serie tv Miami Vice, creata da Anthony Yerkovich e prodotta da Michael Mann. Il sodalizio fra i due risale ai pioneristici inizi al Troubadour di Los Angeles, locale californiano dove, a cavallo tra gli anni ’60 e gli anni ’70, si potrebbe dire che è nato il country rock. Tempchin era un giovane cantautore come tanti, come lo erano anche Glenn Frey e John David Souther, i quali avevano formato un duo dal nome Longbranch Pennywhistle, con all’attivo un solo album che resterà anche l’unico. Da lì a poco sarebbero nati gli Eagles e Glenn avrebbe chiesto a Tempchin di poter cantare una canzone che lui ancora non aveva inciso, Peaceful easy feeling, perché ancora senza contratto. Nacque così l’amicizia fra i due, e insieme avrebbero firmato numerose canzoni, di cui solo una piccola parte per la band californiana, mentre numerose sono quelle firmate dai due per gli album solisti del musicista originario di Detroit. Tra le canzoni di Glenn Frey, You belong to the city è una di quelle che rappresenta perfettamente il sound patinato della WestCoast degli anni ’80, abbondantemente saccheggiato da Hollywood. Qui, l’asso vincente è sicuramente il connubio tra il sassofono, la voce di Frey e una melodia malinconica, che riesce a trasportare chi ascolta direttamente nelle strade di una metropoli americana degli anni ’80, come la apparentemente sfavillante Miami, che celava però le grandi contraddizioni che da sempre sono l’hummus della società americana. L’intro di sassofono nella sua semplicità riesce a scavare profondamente nell’ascoltatore, riuscendo a toccarne la sensibilità, tanto che quando Frey inizia a raccontare di quest’uomo che vaga per le strade della metropoli, risulta impossibile non riuscire a percepire la sensazione di appartenere, e nello stesso tempo di non farne parte, di quella città delineata dalle parole che ne compongono il testo. “You belong to the city / You belong to the night / Living in a river of darkness / Beneath the neon light.” Nel bridge, il protagonista ricordando quel passato da cui sta scappando, si rende conto di essere comunque solo, in quella città che lo accoglie come una fredda amante, capendo, infine, di essere solo un altro viso nella folla. La canzone venne scelta come colonna sonora di Miami Vice perchè incarnava lo stato d’animo tormentato che affliggeva uno dei protagonisti, Sonny Crockett, un agente dell’antidroga interpretato da Don Johnson. Frey ha anche recitato nel ruolo di uno spacciatore, in uno degli episodi, unendosi a molti altri artisti che hanno fatto da comparsa nella serie, come Frank Zappa e Phil Collins.
The heat is on
The heat is on è un altra delle canzoni di Glenn Frey, pubblicata nel 1984 e inclusa nella colonna sonora di Beverly Hills Cop, primo fortunato capitolo, e campione d’incassi, di una serie di film, di cui è da poco uscito il quarto capitolo, interpretato da Eddie Murphy e Judge Reinhold. Così come per You belong to the city, anche The heat is on è una traccia che ben ricorda l’energia e l’entusiasmo di quei oggi mitici anni ’80. La canzone ha raggiunto il secondo posto nella classifica Bibbloard Hot 100, dando un notevole contributo all’intera colonna sonora di Beverly Hills Cop, rendendola una delle più vendute del decennio. Il ritornello “The heat is on / on the street” sta probabilmente ad indicare la pressione derivante dalla sfida di dover affrontare situazioni difficili e inaspettate, vale a dire esattamente le sfide che Alex Foley, l’agente di polizia interpretato da Eddie Murphy, arrivato da Detroit, si troverà di fronte, muovendosi nei quartieri residenziali di Hollywood, fra attricette e tycoon, per risolvere un caso che lo tocca personalmente. Firmata da Harold Faltermeyer e Keith Forsey, il brano venne poi affidato a Glenn che la interpretò ed arrangiò, conferendo ancora una volta un ruolo fondamentale al sax che ci ha regalato l’indimenticabile riff. Pur avendo da poco pubblicato il suo secondo album solista, The Allnighter, il brano venne incluso in una sua versione successiva sostituendo una canzone della prima edizione.
Better in the U.S.A.
L’ ultima delle canzoni di Glenn Frey proposte è Better in the U.S.A., pubblicata nel 1984 all’interno del già citato The Allnighter. Il brano mira a celebrare il sogno americano e la vita negli U.S.A. in quei patinati anni ’80, e rappresenta sicuramente un lato più spensierato e ottimista della musica di Frey. O almeno così sembrerebbe. La canzone, ricollegandosi al rock ‘n’ roll degli albori, quello di Elvis e Jerry Lee Lewis, riprende le tipiche saltellanti parti di piano. Come dicevamo, sembrerebbe una dichiarazione di orgoglio nazionale, grazie a versi come “we got the biggest and the best / I think it’s better in the U.S.A”. Versi come questo sembrerebbero esprimere un senso di superiorità e fiducia negli States; tuttavia, un ascolto più attento rivela la sottile ironia nelle parole di Frey. Infatti, la ripetizione di frasi come “I think it’s better in the U.S.A.” apre la porta ad una critica al nazionalismo esagerato ed a quel fanatismo autocelebrativo tutto americano, anni addietro avversato non solo da Glenn e dai suoi Eagles, ma anche dalla maggior parte della West Coast. L’ironia di questo testo diventa evidente, se messa in relazione all’idea del classico e strombazzato “american dream”. Durante gli anni Ottanta, il desiderio di successo e prosperità era vastamente diffuso ma, purtroppo, per molte persone restava irrealizzabile. Glenn Frey usa quindi la sua musica per sottolineare come l’immagine idealizzata degli U.S.A. sia poi effettivamente molto diversa da quella che è la realtà, ben più dura, che molti cittadini si trovavano ad affrontare. Ma questi argomenti sarebbero stati toccati, molte più volte e sicuramente con toni più pungenti e duri rispetto alle canzoni di Glenn Frey, dal suo amico Don Henley, con cui aveva diviso la creazione di buona parte dei successi degli Eagles, sia prima che dopo la pausa di 14 anni, dal 1980 al 1994, che aveva consentito ai membri della band di dedicarsi alle rispettive carriere da solista.
Queste canzoni, figlie di un tempo ormai passato, continuano a risuonare tutt’oggi suggerendo, a chiunque voglia ascoltarle, alcuni spunti di riflessione riguardanti il contesto socioculturale degli Stati Uniti di quegli anni.
Fonte immagine in evidenza: Deezer