Eugenio Bennato, la musica e la letteratura: intervista

Eugenio Bennato

Ed è a lui che volevamo e dovevamo arrivare: Eugenio Bennato! Protagonista italiano indiscusso di quel tipo di musica che nasce spontaneamente nelle classi non dominanti di una nazione, la musica popolare o folkloristica.

Eugenio Bennato, intervista (2017/2018)

Nel 1969 il cantautore napoletano Eugenio Bennato, insieme a Giovanni Mauriello, fonda la Nuova Compagnia di Canto Popolare, dando il via alla ricerca della musica etnica in Italia. Ai due si affiancano altri giovani musicisti provenienti dalla “Scuola Napoletana”, interessati come loro alla rinascita della musica popolare. Eugenio Bennato imbocca la strada per tournée di successo in Italia e all’estero.

Cosa l’ha spinta a interessarsi alla musica?

Da bambino era quasi un obbligo. Mia madre ci assegnò un maestro di musica per impiegare il tempo libero. Poi, penso che sia Napoli ad avermi indotto una passione per i suoni diretti, reali della chitarra classica, degli strumenti a plettro, della musica che trasuda dalle mura di questa città. Ma soprattutto – a un certo punto – mi sono accorto di avere qualcosa da dire in musica e ci ho fatto caso seguendo un filo che si ricollega alla mia formazione di liceo classico ma anche alla mia frequentazione dell’università, dove ho studiato fisica. La musica è quest’equilibrio tra il sentimento e la ragione.

Cosa vuole comunicare attraverso la musica?

Non c’è l’intenzione di comunicare ma la necessità di esprimere qualcosa. Poi ti ritrovi dei temi. Io sicuramente dei temi precisi ce li ho, sono innanzitutto il Sud e la scoperta di qualcosa che non era venuto a galla prima.
Mi viene in mente il primo lavoro che feci da compositore, che riguarda la regione Basilicata. Era ambientato lì e si trattava de L’eredità della priora di Carlo Vaganello, sceneggiato televisivo di Rai Uno. Veniva fuori la lotta dei briganti della Basilicata e il mistero di questa regione, le sue streghe, le sue fattucchiere, i suoi riti magici ma soprattutto la voglia di riscatto.
Quindi, i temi che comunico nella musica sono innanzitutto il Sud e poi un Sud sempre più a Sud, a cominciare dalla risonanza della musica araba della costa dal Marocco all’Egitto, per finire nel Sud dell’Africa nera. Questi sono presenti nella mia musica, non solo attraverso i temi ma anche attraverso le sonorità. Sono stato il primo a inserire le voci di altri Sud nella musica.

Perché le sta a cuore il tema del Sud?

All’inizio è un fatto puramente estetico. La musica non può prescindere per me dalla ricerca della bellezza. Perciò, sin da ragazzino trovavo che le sonorità di questo Sud sommerso fossero più affascinanti di quelle del Nord-Ovest vincente.
Inoltre nel Sud c’è questa verità maggiore, dovuta al fatto che si parla di un universo, di una parte di mondo che è sempre stata sottomessa e repressa.

Quanto conta per un musicista avere un’identità ben definita?

Penso che sia una cosa fondamentale. Questo in tutte le manifestazioni della vita ma, soprattutto, in tutte le manifestazioni dell’arte. L’arte è qualcosa che rappresenta il nuovo. I grandi artisti – mi vengono in mente Van Gogh, Picasso, Caravaggio o Goya – sono persone che nella loro epoca hanno fatto qualcosa di sconvolgente e quindi sono artisti perché hanno espresso qualcosa di nuovo, che non esisteva. Prima di Goya non c’era la pittura alla Goya.
L’equazione è perfetta: arte è uguale a originalità, non può esserci arte che copi qualcosa che già esiste.

Mi parli del brano che più la rappresenta

Penso che il brano che più mi rappresenta sia il prossimo che mi accingo a scrivere. Sicuramente, per certi versi, il brano Brigante se more (qua ritorna la Basilicata) è diventato l’inno del Sud e in qualche modo mi rappresenta. Però, l’ultima volta che sono stato in un raduno di ragazzi, mi hanno chiesto di cantare Ninco Nanco, che è il grande brigante della Basilicata e mi sono accorto che anche questa è diventata una canzone nazional-popolare.

Quanta importanza dà al testo di una canzone rispetto alla musica?

A volte penso che sia addirittura prevalente il testo e, per certi versi, nelle canzoni è così. L’argomento, il fatto letterario, testuale è importante da un punto di vista comunicativo. Da un punto di vista artistico, la cosa più importante è la musica.
La perfezione la raggiungo quando mi nascono contemporaneamente musica e testo.
E Ninco Nanco deve morire è una frase, divenuta uno slogan, nata insieme alla musica, allo stesso modo di Omme se nasce, brigante se more.

Cosa è per lei una performance live?

È un incontro con chi ascolta, è un dare e avere. Stai dando una cosa attraverso la voce o la chitarra e ricevi un’emozione dallo sguardo, dalla risposta di chi ti ascolta. Questa è la differenza fra il live e lo stare in una stanza da solo a suonare.

Qual è la tappa che più le ha fatto battere il cuore e perché?

Una delle ultime cose che ho fatto, una trasmissione egiziana. Qui mi sono trovato di notte (a Il Cairo si vive anche di notte) in uno studio televisivo pieno di pubblico tutto egiziano e ho dovuto sperimentare la mia capacità di comunicare con la musica a gente che veniva colta dalla musicalità e non poteva essere presa dal testo. È stato un trionfo e anche l’esperienza più estrema, perché all’inizio mi sono visto perduto, in quanto nessuno mi conosceva, invece la musica è riuscita a far sì che quella serata fosse di grande comunicazione.

Massima aspirazione?

La mia massima aspirazione è che la musica intervenga anche nel costume sociale, nella cultura che ci circonda e devo dire che qualche soddisfazione in questo senso già l’ho avuta. Potrei citare tre temi che, se non fossi intervenuto io, non sarebbero stati così alla portata di tutti e non sarebbero diventati così popolari: il brigantaggio (cioè la rivendicazione della cultura del Sud), la Taranta (ovvero la riacquisizione della nostra identità magica, per cui la Taranta oggi coinvolge milioni di ragazzi ed è sotto gli occhi di tutti) e il terzo tema è il Mediterraneo (inteso come destino di questo mare di essere crocevia di civiltà della storia). Quest’ultimo è il tema che ci porta ai quesiti irrisolti del presente, a cominciare dalle barche che affondano nel Mar Mediterraneo.

 

Grazie a Eugenio Bennato per la piacevolissima chiacchierata concessami con affabilità e passione in un soleggiato pomeriggio primaverile, davanti a una cedrata fresca. È stato davvero bello.

 

Foto: https://www.facebook.com/EugenioBennatoOfficial/photos/a.426831396572/10155596437066573

A proposito di Chiara D'Auria

Nata e cresciuta in Basilicata, si laurea in Filologia Moderna presso l’Università Federico II di Napoli. Scrive per abbattere barriere e scoperchiare un universo sottopelle abitato da anime e microcosmi contrastanti: dal borgo lucano scavato nella roccia di una montagna avvolta nel silenzio alle viuzze partenopee strette e caotiche, dove s'intravede il mare. Scrive per respirare a pieni polmoni.

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