Recensione di Post Fata Resurgo, album nato dalla collaborazione tra il rapper Mauro Marsu e il polistrumentista Salvatore Torregrossa.
Tra il rap e Napoli esiste un rapporto di assoluto amore, impossibile negarlo. Pensiamo soltanto al boom del genere negli anni ’90, quando sulla scena partenopea si imposero nomi del calibro di 99 posse, Almamegretta, Clan Vesuvio, Speaker Cenzou e molti altri fino a giungere, ai giorni nostri, a personalità molto più mainstream quali Clementino, Rocco Hunt e il “misterioso” Liberato.
Allo stesso tempo il rap, come succede in altre parti del mondo e negli USA, si è mescolato, contaminato e “imbastardito” con altri generi: alcuni complementari, altri molto lontani da lui.
Post Fata Resurgo segue questa linea di pensiero, presentandosi come un connubio tra il genere originario del Bronx e diverse sonorità riconducibili alla world music. Autori di questo lavoro sono il rapper Mauro Marsu e il polistrumentista Salvatore Torregrossa, i quali avevano già lavorato assieme scrivendo il brano HavaNapolis contenuto nell’album Prima dell’alba.
Post Fata Resurgo, recensione track by track
«Non musica rap, ma rap in musica». Con questa frase Marsu e Torregrossa dichiarano fin da subito l’intento di Post Fata Resurgo che lungo quindici tracce celebra la musica in tutte le sue gradazioni, a cui il rap dà la precedenza.
A ci introduce nell’universo dell’album: quello di Castellamare di Stabia. Veniamo accompagnati prima dalle onde del mare e poi da quelle di una melodia che ci porta sulle strade della città per poi lasciare spazio alla ruvidità di Veleno, brano che nel ritornello si avvale della collaborazione della cantante Rosalba Alfano e che tramite un ritmo provocatorio e privo di peli sulla lingua denuncia, non troppo velatamente, la situazione politico-sociale del mezzogiorno d’Italia. Allo stesso tempo, però, rappresenta anche un monito a rialzarsi e reagire in uno spirito di comunità (per citare il ritornello: “Veleno Veleno pe’ juorne cchiu belle/ scetammece d”o suonno fratielle e surelle”).
Sullo stesso ritmo è anche Ncroce il cui testo crudo si unisce ad elementi di sacralità. O Rap d’’e scugnizze omaggia La Rumba degli scugnizzi di Raffaele Viviani (a sua volta tratto da L’Ultimo Scugnizzo, dello stesso autore), in una melodia che omaggia la tradizione musicale napoletana.
A quanto ‘o vvinne? tiene fede al ritmo aspro e duro delle melodie, che questa volta sembrano rifarsi al rock, e a quello ironicamente feroce dei testi, così come Parlano parlano… nun credere a sti cchiaveche!, un invito a vivere la propria vita senza dare troppo peso alle parole degli altri che, spesso e volentieri, sanno soltanto criticare senza il supporto di solide basi.
22 e 55 Museca è il brano più sperimentale di tutto l’album, vantando ben 15 generi che vanno dalla trap alla musica classica. Una vera e propria “follia musicale” se si pensa solo al fatto che il titolo richiama ai due numeri della smorfia napoletana che indicano il pazzo (22) e la musica (55).
‘A Banchina ‘e Zì Catiello Blues e Chello ca move ‘o sole e ll’ati stelle sono due brani che segnano il giro di boa dell’album. Il primo, a cui collabora il cantante Tony Staiano, narra la storia di una coppia di anziani che, durante una passeggiata, si fermano davanti alla “Banchina ‘e Zì Catiello”, una panchina che si trova sul finire del lungomare di Castellamare, rimembrando la loro gioventù in un ritmo scoppiettante che, come suggerisce il titolo, si richiama alla tradizione più pura del blues.
Il secondo brano, richiamo al verso che chiude la Commedia di Dante, è una melodia accompagnata dal flauto di Domenico Giustafierro e dalle voci di Sally Cangiano e della già citata Rosalba Alfano che celebra la potenza di questo sentimento in chiave quasi stilnovistica: pur essendo assenti i ragionamenti filosofici e religiosi tipici di quel genere poetico, i Post Fata Resurgo celebrano l’amore come forza motrice capace di rendere le persone migliori e, di conseguenza, di migliorare il mondo.
L’intermezzo teatrale Nun c’è via, recitato dall’attore Cristian Izzo, introduce alla penultima parte dell’album, incentrata sulla religiosità. Acqua d’’a Madonna, che vede la collaborazione del duo Ebbanesis, si rifà alle ventotto sorgenti che scorrono a Castellamare e conosciute con il nome collettivo di Acqua della Madonna. E queste sorgenti sono le assolute protagoniste del brano così come l’acqua, il cui suono accompagna un testo che, pur riprendendo in parte i toni duri delle canzoni iniziali, tradisce una patina di rassegnazione per una terra che pur avendo le potenzialità per essere un territorio turistico non valorizza i suoi tesori.
Lo skit (o scenetta) di Fratielle e surelle, recitata sempre da Cristian Izzo, ci introduce all’elemento del fuoco celebrato in Fucaracchie, riferimento a una tradizione tipica di Stabia per cui vengono accese delle cataste di legna, le fucaracchie, nella notte tra il 7 e l’8 dicembre. Rispetto al brano precedente qui ci troviamo davanti alla celebrazione più esplicita, come si evince anche dal suono del fuoco e dall’atmosfera sacrale che si respira.
L’ultima parte dell’album ci riporta al tono polemico, dissacrante e motivante dell’inizio con un dittico di due canzoni all’apparenza differenti tra di loro. Mamme d’’o Carmene!, che vanta la collaborazione di Daniele Sepe, si apre con un campionamento del film Ricomincio da Tre di Massimo Troisi. Con l’attore napoletano Marsu dialoga virtualmente per poi lanciarsi in un’arringa che parte dalla traduzione italiana di Everybody wants to be a cat, celebre brano del film d’animazione Gli Aristogatti, in Tutti quanti vogliono fare jazz per mostra come un genere nato da una matrice popolare quale il jazz sia divenuto, suo malgrado, una musica da salotto degli ambienti borghesi divenendo, a torto, simbolo negativo di quell’ambiente.
L’ultima tappa di questo viaggio tra le sfaccettature della musica è il brano che dà il titolo all’album e al collettivo formato da Marsu e Torregrossa: Post Fata Resurgo. Il duo spera che un giorno la città di Castellamare di Stabia possa applicare il motto latino che campeggia sotto il suo stemma: “Dopo la morte, risorgo”. Un augurio di rinascita per una città, così come la Campania e il sud in generale, che vive in una situazione di degrado, ma anche un invito per chi vi abita o per chi è stato costretto ad abbandonarla a rivendicare con orgoglio l’appartenenza a quel territorio (concetto enfatizzato dal ritornello di Rosalba Alfano e dai cori degli ultras della Juve Stabia).
Conclusioni
Post Fata Resurgo è un progetto che celebra la musica. Il rap è solo un pretesto per dichiarare l’amore verso un’arte che non crea barriere, ma le abbatte.
Allo stesso modo, Marsu, Torregrossa e tutti i loro colleghi che hanno dato il loro contributo vogliono celebrare le origini a cui restano attaccati, pur non ignorando le influenze esterne, in un messaggio di collettività che invita a combattere e a offrire al mondo sempre la versione migliore di noi stessi.
Immagine di copertina: ufficio stampa