Raven Waltz, l’ultimo album di Al The Coordinator non ha confini

Raven Waltz

Raven Waltz è il secondo album nella carriera solista di Aldo D’Orrico, in arte Al The Coordinator. L’album è il prosieguo naturale del primo lavoro “Join the coordinator” dove continua il suo racconto folk di formazione americana con nuove composizioni scritte e organizzate da Aldo D’Orrico e dal sapore tradizionale. Oltre a chitarra, banjo e mandolino (e qualche percussione), Al The Coordinator si è avvalso della collaborazione del gruppo bluegrass calabrese Muleskinner Boys (Giuseppe Romagno alla dobro, Alessio Iorio al contrabbasso, Mario D’Orrico al mandolino) e del violino di Piero Gallina, del pianoforte Rodi di Paolo Chiaia e del pianoforte, dell’armonium e della Solina di Dario Della Rossa (Brunori Sas).

L’album è composto da 10 brani, scritti e arrangiati da Aldo D’Orrico, eccetto The Riddle Song (tradizionale) e Don’t Worry Baby (Beach Boys). La trackist completa, in ordine è: Jumping Red Spiders; The Walker; Little wonder; Stay at home; The Riddle Song; Sigourney Wright; Don’t warry baby; Smile today; mornings; Raven Waltz.

Il lavoro è stato registrato e missato presso Kaya Studio (Cosenza) da Vlad “KayaDub” Costabile e Francesco Malizia (entrambi si sono occupati anche dalla produzione per La Lumaca Dischi insieme ad Aldo D’Orrico) e masterizzato da Andrea Bernie De Bernardi all’Eleven Mastering Studio (Busto Arsizio).

Al The Coordinator presenta il suo Raven Waltz “Valzer oscuro”, un album che travalica i confini spaziotemporali

Raven Waltz” è un album di dieci tracce che richiama il suono selvaggio degli Stati del Sud e lo strascico ruggente delle bestie da carovana dei pionieri alla conquista dell’Ovest. L’album è il risultato di un impasto di suoni acustici e tipici americani che attingono dal midollo di una tradizione che ha il colore fulvo del deserto del Nevada e richiama i canti ebbri e melodiosi degli spiriti degli antenati irlandesi che ancora girovagano nelle ossa dei monti Appalachi e di un’America selvaggia. I suoni del banjo e della chitarra acustica ricamano un tessuto musicale che è il sostrato all’interno del quale una voce incisiva e rauca, sporcata dalle sonorità ferine dell’old time music, disegna delle melodie semplici e dai ritmi che sanno di libertà e di una malinconica evasione. Quella di Al The Coordinator è una musica che si annida tra le pieghe di un’ispirazione e di un vissuto che ha, tuttavia, i colori grigiastri di una strada di città e la consistenza fosca di un ambiente urbano. E lì, dietro le soglie di una sonorità dal sapore acre e agreste, vi è la vera sorgente del suo lavoro, laddove sorge la fonte dell’ispirazione di un album che è il quadro di una realtà evasa. 

Il suono persuasivo del bluegrass in questo lavoro divide un tappeto di note che copre il fondo primigenio da cui scaturisce l’operato artistico che è l’ambiente urbano. Le note sfocate dell’armonium, i suoni delicati del mandolino, le volute sonore del violino sono i segni di una realtà bucolica, a tratti idilliaca con cui Al The Coordinator ridipinge uno scenario dalle tinte cromatiche opposte e si tuffa in un mondo soggettivo che rappresenta una sua controparte. L’autore crea un universo bucolico, annaspa nell’odore rancido del bestiame al sole del Texas, si perde tra i suoni malinconici  e ritmati del Sud e ci dona il calore della terra dei cactus e le carezze della polvere delle sterminate praterie. L’artista ci guida in un’altalena di sensazioni, quasi come un viaggio mistico alla scoperta di un America viscerale, introspettiva, colma di solitudine e odore di whisky del Tennessee. Ma allo stesso tempo il suo mondo bluegrass e i suoni martellanti del Banjo sprofondano in una voragine conica e infernale e si riflettono nell’angoscia densa che si respira sulle panchine di un parco di città: il mondo reale di Aldo D’Orrico è tra i fumi della città e la sua musica è la porta di ingresso al paradiso di cowboy e danze irlandesi in sintonia con il ritmo della corsa dei coyote. 

Jumping red spiders è il brano che principia la tracklist dell’album.  La canzone è una ballata dal sapore blueseggiante e dal ritmo incalzante che è l’emblema di un universo creato ad hoc e che si scaraventa sull’ascoltatore avvolgendolo nelle spire ammalianti del mondo bluegrass e temprandolo ad un viaggio iniziatico, riflessivo, vario e per questo lunatico e lunare. La musica attraverso i saliscendi spirituali del suo viaggio si affievolisce dal secondo brano in poi (The Walker) incupendosi e condensando i  classici ritmi country in un suono che si stira man mano fino a restituire un senso di solitudine respirata nell’odore del deserto e nei voli delle aquile calve. IL suono diventa più introspettivo e si riempie di lentezza e di calma interiore, nei  successivi brani (Little wonder, Stay at home, Smile today) quasi a portarci alla scoperta del suo idillio, a donare ad esso un sapore tuttavia anche sperimentale. Gli arpeggi della chitarra acustica hanno un timido richiamo al mondo del cantautorato americano e non solo: ci donano un impasto sonoro spirituale dalla pelle bluegrass e dal sangue denso della solitudine cittadina.

Il lavoro si conclude con il brano eponimo, che dà il titolo all’album, Raven Waltz. La canzone suggella il lavoro lasciandoci sulla pelle una sorta di malìa dall’odore dei vecchi saloon e una sensazione di amarezza. Tutt’altro che scontata, l’amarezza è quella tipica di un autore che non si pone remore, che ci porta in avanscoperta nella sua interiorità bucolica e che si rammarica dell’unica possibilità di salvezza, quella dell’evasione: d’altronde, è lui stesso che ci ricorda che “Sono sbucati da un brutto sogno. Sono enormi ragni rossi. E saltano verso di te. Non troverai scampo nelle montagne o nei boschi: non ti aiuteranno il banjo, il violino o la vipera. Puoi solo chiudere gli occhi e immaginare che non ci siano”. Dunque, non sarà solamente musica a salvarci. A salvarci sarà la barca dell’immaginazione che puntualmente è pronta a salpare in nuovi mondi, infiniti mondi, abbattendo puntualmente le barriere spazio-temporali e valicando i confini terrestri nella speranza di un nuovo e migliore universo da sviscerare. 

A proposito di Antonio Forgione

Antonio Forgione nasce in Irpinia, nella valle d'Ansanto decantata da Virgilio, selvaggia terra che confina con la Puglia. Dopo il diploma si trasferisce a Napoli e lì si laurea in Lettere Moderne alla Federico II. Attualmente frequenta la specialistica in Filologia Moderna e coniuga gli interessi letterari con la scrittura creativa, amata e coltivata fin dall'infanzia. In passato ha partecipato a svariati concorsi letterari della sua terra, ottenendo buoni risultati. Il rapporto col suo territorio gli ha permesso di sviluppare una certa sensibilità, che riversa nei suoi scritti. Ama la città di Napoli, sua patria adottiva nella quale persegue una solida formazione letteraria.

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