Touring Club italiano e Fondazione Giambattista Vico insieme per ricordare il filosofo

Touring Club italiano

È una splendida domenica di sole quella del 20 maggio a Napoli, quando la Fondazione “Giambattista Vico”, in collaborazione con la sezione campana del Touring Club italiano, invita la città a festeggiare il “suo” filosofo, testimonial di spicco e d’eccezione dell’edizione corrente del Maggio dei Monumenti napoletano. Il pensatore partenopeo, autore de “La Scienza Nuova”, è al centro di un evento culturale di rilievo, dal titolo invitante: «La discoverta dei luoghi vichiani e la dieta mediterranea». L’orario per il raduno dei partecipanti, tanti e devotamente interessati, è stato fissato per le 10:45 in Piazzetta San Biagio, piccola oasi in un limpido slargo all’incrocio tra San Gregorio Armeno e San Biagio dei Librai. La prima parte della giornata di studi si è svolta in forma di visita guidata: la “discoverta” dei luoghi di Vico comincia, infatti, in via San Biagio numero 31, casetta modesta in cui Vico nacque il 23 giugno 1668, avvenimento immortalato da una lapide in marmo voluta da Benedetto Croce trecento anni dopo e tuttora posta a imperitura memoria. In un solo, magnifico slargo, Napoli offre ben due chiese, che esemplificano il continuum che le unisce essendo comunicanti tra loro: si inizia da quella di San Biagio Maggiore, e quasi ci si ritrova catapultati nel tempo al 24 giugno 1668, giorno del battesimo del piccolo Giambattista, di appena un giorno di vita. Viene subito spiegato ed opportunamente sottolineato che le due chiese, ora sedi della Fondazione, sono state riaperte nel 2006 dopo quarant’anni di chiusura, durante i quali versavano entrambe in condizioni pietose.

Touring Club italiano ricorda Giambattista Vico

Riesce difficile immaginarne i tempi bui visitando queste chiese adesso in tutto il loro splendore, messo in risalto dalle favolose maioliche che ne costituiscono i pavimenti lavorati in un tripudio di forme e colori. Si continua con la chiesetta attigua di San Gennaro all’Olmo, così chiamata per la probabile presenza di un albero omonimo oggi scomparso. È qui che si è svolto il convegno vero e proprio, che può vantare due speaker di riguardo: il professor Fabrizio Lomonaco, esperto vichiano presso la Facoltà di Filosofia della “Federico II”, e la professoressa Adriana Oliva, docente di Biochimica all’Università “Luigi Vanvitelli”. «Poeta dell’alba» è espressione richiamata da Lomonaco in un esauriente excursus sulla figura del grande intelletto partenopeo, «nato tra i libri» entro e fuor di metafora, in quanto figlio di un libraio, Antonio, sepolto nella stessa chiesa. L’incipit di Lomonaco è tristemente realistico: Vico è purtroppo trascurato. A scuola, spesso, non viene nemmeno studiato: «Vico lo saltiamo», si sente di frequente dire per giustificare l’assenza del pensatore dai programmi di studio annuali. La causa va cercata nella sua collocazione storica – dopo Cartesio e prima di Kant – e nella sua originalità speculativa – che concepisce una ragione “corale” e comunitaria che spetta all’uomo indagare, forte della sua fantasia, dell’inventiva, della memoria. Della sua poesia. Vico non visse solo gli onori dell’esistenza: viene puntualmente ricordato il concorso del 1723, a cui si presentò per ottenere la cattedra mattutina di retorica all’Università di Napoli e, contro ogni dato probabilistico o meritocratico, fu respinto. Il posto andò ad un collega, ma fu allora, nel giro di quegli anni difficili, ch’egli si impegnò ancor di più nei suoi studi e scrisse tutto d’un pezzo “La Scienza Nuova”, poi pubblicata nel ’25. L’intervento della professoressa Oliva fa un passo indietro, e torna al periodo tra 1689 e 1695 – detto “dell’autoperfezionamento” -, in cui Vico divenne precettore dei figli del marchese Domenico Rocca presso il castello di Vatolla (oggi frazione del comune di Perdifumo), nel Cilento. Qui Vico ebbe modo di curare l’anima – avendo libero accesso all’immensa biblioteca padronale – ed il corpo, dovendo affrancare se stesso dalla malattia della tisi che lo aveva colpito. Il legame con la dieta mediterranea non è allora casuale, visto che è quella che Vico stesso seguiva – nel senso “greco” che la parola greca “diaita” prescriveva -, come “stile di vita”, “corretta alimentazione”. Vengono illustrate le piramidi alimentari, i prodotti genuini offerti da una Campania Felix che vanta eccellenze di tutto rispetto: la cipolla di Vatolla – dal gusto dolce, dall’alta digeribilità, e soprattutto dalla peculiarità del non far lacrimare gli occhi; il fagiolo di Controne, legume delicato per tutte le stagioni; i Ciccimaretati, una zuppa di origine povera a base di cereali e legumi; il carciofo tondo di Paestum, famoso per l’assenza di spine; le alici di Menaica, cosiddette per la tecnica greca di pesca che provvede subito alla decapitazione e dunque ne conserva la freschezza più intatta. Ma il re della tavola è l’oro della terra: l’olio cilentano è ritenuto, con un sottile gioco di parole, l’elemento e l’alimento chiave tanto della ridente zona campana quanto della dieta mediterranea.

L’incontro, organizzato dal Touring Club italiano, si è spostato allora nella superba terrazza della Fondazione, in cui viene servito un rinfresco degno delle migliori tradizioni, arricchito da vini deliziosi, tutto offerto dalla “Cooperativa Nuovo Cilento”. Il sole di Napoli batte forte sui prodotti che illumina. Vico sorriderebbe rammentando che ognuno di essi è un pro-ductus: posto avanti, un corso e un ricorso.

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A proposito di Giulia Longo

Napolide di Napoli, Laurea in Filosofia "Federico II", PhD al "Søren Kierkegaard Research Centre" di Copenaghen. Traduttrice ed interprete danese/italiano. Amo scrivere e pensare (soprattutto in riva al mare); le mie passioni sono il cinema, l'arte e la filosofia. Abito tra Napoli e Copenaghen. Spazio dalla mafia alla poesia.

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