Nasce una poetessa: Certe stanze di Anna Marchitelli

Anna Marchitelli

Il Teatro Bellini è un luogo dalle grandi suggestioni. Un gioco di colori caldi accoglie il visitatore all’ingresso, in uno spazio dal gusto architettonico classico, tipicamente teatrale. La sua accoglienza invita a procedere, fino a un lungo corridoio in discesa che culmina in una stanza dallo stile moderno, ornata dalle fotografie del progetto Resilienza. Una volta entrati, siamo tutti invitati alla resilienza. Questo termine di non frequente uso, in realtà cela un messaggio di grande forza. Resilienza è resistenza. Atto di resistenza quello di godere della benefica boccata d’aria sedendosi a teatro o in una buona libreria. Letteratura e spettacolo hanno celebrato nozze solenni allo spazio Laterzagorà, e luna di miele sono le tappe degli incontri di discussione culturale che hanno preso piede il 7 novembre. Ieri la seconda meta ha previsto uno scavo interiore nei meandri del sogno con Anna Marchitelli e la sua prima raccolta di poesie: Certe stanze.

Note musicali alla tastiera di Mario Autore hanno dato inizio all’incontro di presentazione della raccolta. Note a cui si accavallano parole, spasmodiche e continue, grazie alle voci di Ettore Nigro e Lorenza Sorino. Parole di dirompente forza, che rammentano uno stato di grazia primordiale, e con la poetessa ci si rannicchia nella terra, ci si lascia travolgere dal mare di Napoli. Anna Marchitelli con le sue parole ha svelato un nuovo aspetto di sé nascosto anche alle persone con le quali condivide i giorni di lavoro alla redazione del Corriere del Mezzogiorno. Il direttore Enzo D’Errico infatti, non cela la sua meraviglia di fronte all’ardente carnalità dei versi della Marchitelli, «una donna piccola, dai modi riservati».

Il suo linguaggio è corposo, i versi diventano palpabili, con elementi che si rincorrono di continuo. La sua poesia è dallo statuto ossimorico, parole violente ma dalla grande dolcezza. Il primo tratto, quello della potente violenza, si coagula nel bestiario, animalità che Anna Marchitelli ha rintracciato nelle varie componenti della sua vita, anche (e soprattutto) in se stessa. Queste sue mani hanno vagato per tanto tempo tastando solo il dorso delle cose, fino però poi a cadere insieme a tutto il suo corpo in un abisso oscuro, nei meandri misteriosi del suo inconscio. L’evento scatenante è stato il parto, portare alla vita un essere che fino a quel momento era nelle sue stesse viscere, rannicchiato come sotto terra. E questo sangue, questa carne e questa polvere sono le tinte del suo animo ormai.

Il suo collega Massimiliano Virgilio nella prefazione al suo scritto si è soffermato soprattutto sulla sua femminilità scurpiona, e su questo bestiario che vanta le sue origini addirittura nel manto celeste che può essere letto con la lente dell’astrologia. Gli animali sono simboli eterni, simboli di un atavismo misterico. Ma la fonte primaria da cui derivano, prima ancora che dalle teorie celesti, è l’inconscio, è il mondo dei sogni.

Secondo tratto, paradossalmente visceralmente legato al primo, è quello di una maturità poetica che trova terreno fertile nella vita quotidiana. Il laboratorio di scrittura di Anna Marchitelli è un appartamento al centro di Napoli, non lontano da Piazza Carlo III, in cui echeggiano le risa di una bambina, sua figlia, e dove poco è il tempo per stare da sola. Così questa poetessa si ritrova a scrivere anche in metropolitana, andando a lavoro. Un laboratorio itinerante, ma ciò che lo incornicia e vi entra con prepotenza è sempre la Città, Napoli. Protagonista indiscussa di una buona fetta della letteratura italiana di oggi, la Città dalle mille contraddizioni è qui una presenza assente, incombe ma in silenzio, si manifesta solo nelle espressioni dialettali, ora nella famosa citazione di Anna Maria Ortese: «il mare non bagna Napoli». Enzo D’Errico non ha dubbi: «Napoli diventa un luogo, non più un luogo comune». Una voglia di ritorno, di rifugio nel passato, espressa con parole aperte al futuro.

Nel ritmo del nostro tempo, è difficile non essere diffidenti davanti a una poetessa così giovane. Eppure, Massimiliano Virgilio ha continuato a sottolineare la grande maturità della raccolta, edita dall’illustre Romano Luperini per la Manni. Se il tessuto culturale e sociale è in continuo cambiamento, e i giornali sono in via d’estinzione, l’atto di resilienza non è utopico, basta soffermarsi nella lettura dei versi di Anna Marchitelli, che mantiene vivo il grande ardore per la poesia.

Ma qual è il vero volto di Anna Marchitelli?

«Non so qual è il mio volto», afferma la poetessa. La più grande scoperta sta in quest’assenza di etichette, allo spazio illimitato lasciato alle sfaccettature dell’animo. Nei suoi momenti di solitudine, la Marchitelli ha ottenuto l’agognato contatto con l’ignoto, «e questo procura dolore e bellezza». In questo stato, «la poesia emerge, spontanea e naturale, non c’è nulla di complesso». La poesia avvicina alle emozioni recondite, ma solo dopo un lavoro di mentalizzazione delle esperienze. Il superamento di un grande dolore le ha concesso la maturità poetica. La modalità di scrittura, la scelta dei termini giusti, lì c’è la complessità. Ma l’essenziale è portare tutto fuori, alla collettività, nella quale Anna Marchitelli confida. «Io sono figlia di questo tempo e sorrido ancora».

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A proposito di Carolina Borrelli

Carolina Borrelli (1996) è iscritta al corso di dottorato in Filologia romanza presso l'Università di Siena. Il suo motto, «Χαλεπὰ τὰ καλά» (le cose belle sono difficili), la incoraggia ogni giorno a dare il meglio di sé, per quanto sappia di essere solo all’inizio di una grande avventura.

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