Pupi Avati, una conversazione sul cinema e la vita

Conversazione con Pupi Avati, Campania Libri Festival

Il Campania Libri Festival è ormai finito ed è stato un successo. L’impeccabile organizzazione ha fatto sì che il pubblico riscoprisse, ancora una volta, il piacere della lettura e tantissime, tra case editrici, agenzie letterarie e librerie, hanno avuto ancora una volta l’opportunità di interagire non solo con il pubblico campano ma anche con molti turisti che, incuriositi dalla varietà di colori, dall’accoglienza e dall’affluenza delle persone, si sono avvicinati incuriositi. Tra workshop, seminari e presentazioni, il cinema ha avuto il suo posto di rilievo nel ciclo di incontri “Scrivere il cinema” a cura di Titta Fiore, Presidente Fondazione Film Commission Regione Campania, promotrice di mostre su comunicazione e sistema audiovisivo per lo sviluppo del territorio e curatrice del Premio letterario nazionale Matilde Serao. I quattro incontri hanno visto protagonisti i grandi protagonisti del cinema italiano che, sul palco del magnifico Teatro di Corte del Palazzo Reale di Napoli, intrattengono una conversazione su spunti importanti quali come le trasposizioni dal libro al film, le protagoniste femminili, la vita presentata come un romanzo e il rapporto di coppia, specie quando si condivide la vita oltre al lavoro nel cinema. 

Scrivere per il cinema – Tra libri e set, incontro con Pupi Avati

Parliamo del primo incontro del ciclo: Scrivere per il cinema – Tra libri e set ha visto protagonista il grande Maestro Pupi Avati, che ci ha portati nella sua vita e nella sua testa, quasi letteralmente, con il suo modo semplice e diretto di raccontare perfino gli anni dolorosi del suo passato, senza dimenticare una certa qual dose di ironia. Dopo la presentazione di Titta Fiore, che ci introduce il Maestro come un artista completo in quanto regista, scrittore, sceneggiatore e con un passato da musicista Jazz, Pupi Avati ci racconta un aneddoto singolare, riguardo la premiazione Artis Suavitas durante la quale ha tenuto il discorso di accettazione del premio di fronte ad una platea vuota, come capitò un tempo anche al grande Totò. Nella mattina di giovedì 5 ottobre, invece, ha constatato con gioia che la sala era gremita: dagli ospiti agli spettatori, ai rappresentanti della stampa e diverse classi superiori. 

Senza preamboli, il Maestro parla del talento, della luce che ognuno ha dentro di sé e che non è facile da distinguere né a volte da seguire o meglio ancora da riconoscere. Moltissimi anni fa, infatti, Pupi Avati era un musicista Jazz e suonava in una band in cui esordì un giovanissimo e talentuoso Lucio Dalla. Non ci volle molto, all’epoca, per comprendere che il giovane Lucio aveva una marcia in più e il regista racconta senza remore di aver persino sofferto di invidia all’epoca, arrivando anche a fargli uno scherzo tra le guglie della Sagrada Familia di Barcellona, in un’epoca in cui era possibile salire molto, molto in alto. Il momento più doloroso di allora per Pupi Avati fu non tanto quello di constatare che non poteva dare di più per la band, piuttosto la consapevolezza che nessuno si fosse ribellato per il suo ritiro, né che insistessero affinché restasse. 

Dopo qualche anno passato a vendere surgelati, il Maestro vide il film 8 e ½ di Federico Fellini e fu allora che qualcosa scattò dentro di lui: quello fu il momento in cui decise che avrebbe fatto cinema e da quell’istante seguì la sua aspirazione, pur avendo già messo su famiglia – è sposato ormai da 59 anni – e ha lottato e si è distinto fino a lavorare con i migliori, tra cui Pier Paolo Pasolini. Riguardo al talento, Pupi Avati, che insegna nelle scuole di recitazione, dà molta importanza alle persone prima che agli attori e asserisce che i più timidi, molto spesso, sono i migliori e che quando si tratta di fare una scelta per un suo film, lui preferisce parlare e confrontarsi con una persona, vedere la sua reazione mentre parla del progetto e capire chi è prima di chi sa interpretare, ricordando un episodio con Claudio Santamaria, che lavorò con lui in “Ma quando arrivano le ragazze?”.

La visione di Dante Alighieri, nel suo film, è quella di un ragazzo semplice, giovane timido e innamorato a tal punto da seguire per giorni una ragazza che non lo conosce e di scrivere un poema incredibilmente lungo e laborioso sulla base di un suo semplice saluto. Un fatto simile accadde anche al Maestro in gioventù. Seguì per giorni una ragazza per cui aveva una cotta, finché non ne vide un’altra ancora più bella; a distanza di anni, il Maestro scoprì che la prima aveva sempre saputo lui chi fosse e che la stesse seguendo! “Andare dietro” nel senso romantico del termine, è il centro attorno al quale ruota la storia del suo giovane e appassionato Dante Alighieri, della sua vita, della sua poesia. Non è il solito viaggio raccontato nei cantici, ma la sua vita, attraverso flashback e racconti ed è stata indubbiamente una vita straordinaria, visti i suoi lasciti letterari. 

Riguardo al “Gotico” ovvero all’abilità oltre che alla passione di raccontare storie del terrore, Pupi Avati spiega il perché di tanto interesse verso il genere Horror, raccontato da lui non soltanto attraverso alcuni dei suoi film più famosi e importanti come “La Casa delle Finestre che ridono”, ma anche attraverso i libri che ha scritto e dei quali si è occupato personalmente della trasposizione cinematografica. Un esempio riportato proprio nel suo ultimo lavoro. Il Maestro ci rivela che ama questo genere perché fin da quando era piccolo, era terrorizzato da storie e leggende oscure, come quella che si raccontava ai bambini sul prete donna che andava di notte a prendersi i bambini, un pò come il mammone a Napoli! La passione che Pupi Avati mette nel suo lavoro, come scrittore, come sceneggiatore e regista, lo rende uno dei più amati del suo tempo e anche del nostro e questo lo spinge a cercare sempre il nuovo, a rifiutare la comune idea di “andare in pensione” solo perché si è raggiunta una certa età. Anzi lui spera che un giorno la sua morte avvenga sul set, tra una scena e l’altra, nel momento in cui è più felice, perché fa ciò che ama. 

Prima di concludere Pupi Avati ha risposto ad alcune domande del pubblico, per lo più di studenti, molti dei quali attori, confermando la sua visione “umana” di Dante, invitando gli studenti di recitazione e i giovani attori a non crogiolarsi sulla base di un successo poiché il segreto della longevità è nell’insoddisfazione. Rispetto al salto generazionale, Pupi Avati trova le nuove leve più preparate rispetto al passato ma ricorda che gli attori migliori sono quelli che avvertono la parola stop come una sorta di sveglia mattutina, subito dopo la quale avviene un risveglio, accompagnato da una sorta di disorientamento, tanto è stata immersiva l’interpretazione di un personaggio. Infine, rispondendo alla domanda di una gentile signora tra il pubblico, il Maestro ribadisce che la paura, vera e tangibile non è tanto quella che accompagna i nostri tempi, per quanto difficili e costellati di eventi drammatici e terribili, ma quella durante la guerra, quando c’era davvero il terrore di non uscire vivi da un bombardamento, dalle conseguenze di epidemie e povertà estrema e che oggi la gente più che avere paura, si lamenta.  

Pupi Avati conclude la conversazione con una splendida visione della vita, secondo la quale essa è una collinetta su cui salire. Una ellisse divisa in quattro quarti che rappresentano le fasi della vita, dalla nascita alla scoperta di sé stessi nel primo quarto, all’età adulta e alla consapevolezza di sé stessi nel secondo quarto. Alla maturità del terzo quarto di ellisse, quando il primo inevitabile disturbo tipico dell’età si affaccia – l’abbassamento della vista – fino ad arrivare alla vecchiaia, così simile alla prima infanzia, nella chiusura del cerchio schiacciato. Alla conclusione degna di una vita vissuta pienamente, proprio come ha fatto lui

Si ringrazia Titta Fiore, Ufficio Stampa del Campania Libri Festival 

Fonte immagine: Wikipedia

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