Mercato del vino: nei prossimi anni l’Australia toccherà i 10 miliardi

La società GlobalData, specializzata nel campo delle analisi dei dati finanziari, ha pubblicato un rapporto dal titolo “Australia Wine – Market Assessment and Forecasts to 2026”, dedicato al mercato australiano dei prodotti vinicoli. Secondo tale rapporto, nel periodo compreso tra il 2021 e il 2026, il settore è destinato a crescere di ben 4,6 punti percentuale, passando da 9,8 miliardi a 12,2 miliardi di dollari australiani (rispettivamente pari a 7,4 miliardi e a 9,1 miliardi di dollari statunitensi). A farla da padrone, comunque, sarà la categoria dei vini fortificati, con un incremento pari al 5,7%, seguita da quelle dei vini fermi (4,6%) e degli spumanti (3,9%).

Ma non è tutto: dallo scoppio della pandemia di Covid-19 ad oggi, le abitudini dei consumatori – specialmente dei più giovani – sono cambiate sotto vari punti di vista. Inoltre, la forte crescita economica sta spingendo i ragazzi italiani a richiedere informazioni sui percorsi di studio e lavoro australiani. In questo senso LAE-EDU, organizzazione specializzata in educazione internazionale, offre assistenza gratuita agli studenti che desiderano studiare e lavorare in Australia, con l’obiettivo di trasferirsi in via definitiva e costruire una situazione stabile a livello professionale, economico e personale che, difficilmente, potrebbe essere replicata qui in Italia.

Consumo di vino tra i giovani: qualità, non quantità

I dati mostrano un altro interessante fenomeno relativo al settore vinicolo australiano: la tendenza, sempre più comune tra i consumatori under 35, a preferire etichette di qualità, dunque più dispendiose, e ad evitare prodotti low cost che, ovviamente, presentano degli standard meno soddisfacenti. Pertanto, tra ridurre la quantità di vino – e di alcol in genere – consumata settimanalmente ed accontentarsi di prodotti economici, pur di lasciarsi andare a grandi bevute nei contesti sociali o a casa, la scelta, il più delle volte, ricade sulla prima opzione.

I motivi possono essere molteplici: da un lato, il diffondersi della pandemia ha portato tante persone ad interrogarsi sull’importanza di una buona salute e, di conseguenza, a spostare le proprie preferenze verso prodotti sani, pregiati e biologici, in possesso di certificazioni di qualità. Questa tendenza, per altro, è ancora più evidente tra i ventenni e i trentenni di oggi, ovvero tra coloro che appartengono alle categorie dei millennial e della Generazione Z, le cui modalità di acquisto, sotto molti aspetti, sono diverse da quelle delle precedenti generazioni.

In particolare, proprio la Generazione Z sembra poco interessata al consumo di alcolici – soprattutto se in dosi elevate – concentrato nel fine settimana e nelle giornate di festa. Ultimamente, infatti, il fenomeno del “binge drinking” – ovvero l’ubriacatura rapida che si ottiene bevendo grosse quantità di alcolici nel giro di una o due ore, spesso mischiando liquori o altre bibite di qualità scadente – tipico degli anni Novanta e Duemila, si è ridotto al minimo.

Al suo posto si fa largo un atteggiamento da “intenditori” – o per meglio dire da “consumatori oculati” – alla ricerca di vini biologici, distillati e liquori pregiati. Insomma, prodotti di nicchia da degustare più per un piacere sensoriale, che non per il mero desiderio di ubriacarsi in massa.

Non a caso, secondo il report sopra citato, mentre il consumo pro capite è destinato a calare progressivamente, la spesa media personale per l’acquisto di vini, invece, tenderà ad aumentare.

Come è possibile? Ebbene, ciò accade per via delle diverse abitudini delle nuove generazioni che, come abbiamo visto, sono maggiormente interessate alla qualità, piuttosto che alla quantità. Di conseguenza, preferiscono riservare il proprio budget per le occasioni speciali, da celebrare, appunto, stappando una bottiglia di pregio, evitando – o, comunque, limitando di parecchio – il consumo di vini economici e, più in generale, l’uso frequente di bevande alcoliche.

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