Nella mattinata di domenica 14 luglio, Eroica Fenice si è tuffata nei “mille culure” del Rione Sanità, prendendo parte alla visita guidata “Il Miglio Sacro”. Ad accompagnarci Ivan, membro della Cooperativa La Paranza, che presiede un itinerario lungo un miglio, alla scoperta dei tesori nascosti di questo quartiere.
ll Rione Sanità, le suggestioni, le emozioni e il coraggio di cambiare le cose
La visita parte dalle Catacombe di San Gennaro (affidate nel 2006 alla Cooperativa La Paranza, grazie all’intercessione dell’Arcidiocesi di Napoli e del Parroco della Basilica di Santa Maria della Sanità) e arriva a Piazza Cavour.
Si passa per la Basilica dell’Incoronata Madre del Buon Consiglio, una San Pietro in miniatura, la Basilica di San Gennaro extra moenia, l’affascinante Cimitero delle Fontanelle, la cripta delle Catacombe di San Gaudioso, la Basilica S. Maria della Sanità, il Palazzo Sanfelice, che è un esempio magistrale di architettura, ricordo del passato glorioso e nobile della zona, e il Palazzo dello Spagnuolo, uno dei principali simboli di barocco napoletano, costruito nel 1738 su progetto dell’architetto Ferdinando Sanfelice, per volere del marchese Nicola Moscati.
La sigla de La Paranza abbraccia molte vite recuperate del Rione Sanità, un posto che la storia vuole maledetto, conosciuto come l’ombelico della camorra ma che resiste grazie alle meraviglie artistiche, al fascino e alla bellezza che lo contraddistinguono.
La bellezza cambia la vita delle persone e la Sanità ne è un validissimo esempio
Questo quartiere è stato da tanti evitato per troppo tempo ma, grazie a questi folli visionari, uniti dall’amore per la città di Partenope, sta vivendo una vera e propria rivoluzione, volta alla tutela del bello. La Paranza raggruppa ragazzi che hanno sogni, progetti e ideali e che, giorno dopo giorno, compiono un miracolo in questo luogo difficile. Lo fanno valorizzando il territorio, incentivando il turismo e fornendo un’alternativa a chi non ricordava neanche più di esistere.
Procedendo per le strade di questa “periferia al centro di Napoli”, la città assume le sembianze di un’ostrica ferita da un granello di sabbia. Quando un granello di sabbia s’insinua in un’ostrica, questa viene lacerata. Allora, per proteggersi, secernerà strati di se stessa intorno al corpo estraneo e, dopo qualche anno, la conchiglia custodirà al suo interno un gioiello unico e irripetibile. Napoli, in effetti, non è altro che il frutto del dolore e sputa dalle sue viscere sanguinanti innumerevoli perle preziose. Tra queste, il Rione Sanità è di sicuro fra le più belle.
Nella Sanità bene e male si confondono e sono palpabili le contraddizioni della città e del suo popolo. Un popolo passionale, di cuore ma molto scaltro, che fa dell’astuzia la sua arma di difesa perché, in fin dei conti, «cca nisciun è fess!». Il popolo partenopeo è un popolo che resiste, che crede nella felicità, anche se la “ciorta” non lo bacia mai.
“Donna Cuncetta” è un nome simbolo di questa gente. È il nome di una popolana molto conosciuta nel quartiere, secondo la leggenda. Il nome di una donna anziana e stanca che viene eternizzata da un brano meraviglioso del ’79 di Pino Daniele. Nel “tuppo” di Donna Cuncetta ci sono tutte le paure di una comunità che cammina rasente i muri per non essere fregata, come spesso è accaduto nella Storia. Cammina come fanno i topi, in cerca di cibo e sopravvivenza. Donna Cuncetta si chiamava la nonna di Pino ma questo nome evoca anche la “capa” di quella popolana della Sanità “che suda” nel Cimitero delle Fontanelle, la cui anima concede grazie a chi la prega.
Il cimitero delle Fontanelle, probabilmente la più suggestiva tappa della visita al quartiere, era una delle cave da cui si estraeva il tufo, che fu utilizzata per ospitare i resti delle vittime delle epidemie di peste (1656) e di colera (1836), oltre a quelli provenienti dalle chiese. È noto il culto delle “anime pezzentelle” in questo luogo: i napoletani adottavano e si prendevano cura dei teschi abbandonati in cambio di concessioni.
Passeggiando per la Sanità, è indescrivibile a parole l’emozione di ritrovarsi al civico 109 di via Santa Maria Antesaecula, luogo natio di Totò, il napoletano che diceva «Io so a memoria la miseria; non si può far ridere, se non si conoscono il dolore, la fame, il freddo.» E nel suo quartiere, la gente ancora ride a squarciagola in faccia alla malasorte.
Fonte Immagine: Chiara D’Auria