Un nuovo concept per l’aperitivo al Kestè: si parte con Alessandro Cocchia

Alessandro Cocchia

Un nuovo concept per l’aperitivo al centro storico di Napoli: al Kesté si parte il 16 maggio con una  sessione di live painting

Il tramonto, quando le pietre del centro storico di Napoli cominciano a sussurrare le loro storie all’imbrunire, e il cielo comincia a tingersi di colori allucinati ed evanescenti, è il momento ideale per rimanere sospesi a mezz’aria, in uno stupore metafisico.
E magari godere di un buon aperitivo, tra le ombre e il fresco della piazza più famosa del centro storico.
Non aperitivo “fine a se stesso”, ma stuzzicato e solleticato da altro, innaffiato da arte e cultura, irrorato da uno spirito dell'”altrove” che è poi lo spirito autentico e puro di Napoli.
Ed è proprio su una tensione verso “l’altrove” e il dialogo con le arti e le discipline, che si fonda il nuovo concept per l’aperitivo al Kestè, che propone una tripartizione articolata in tre giorni della settimana, giovedì, venerdì e sabato, ognuno di essi diverso e con una propria dinamica interna: si parte il 16 maggio con una sessione di live painting firmata Alessandro Cocchia.

Cosa propone il Kesté per l’aperitivo il giovedì, il venerdì e il sabato? Intanto iniziamo col live painting di Alessandro Cocchia e il suo San Gennaro in chiave rivisitata.

Il giovedì è la volta dell’ “ApertiArt- Live Painting & vinili”: la piazzetta del Kestè si tramuterà, ogni giovedì dalle ore 18 in poi, in un cantiere artistico dove sbizzarrirsi e dare sfogo alla propria creatività, osservare artisti tingere con il proprio talento la collezione di tavoli del Kestè e, perché no, dilettarsi anche a dare il proprio contributo, servendosi degli appositi spazi bianchi.
Il tutto sarà accompagnato da una colonna sonora, da un’accurata selezione musicale in vinile, a firma delle crew Kestè Black Jam, Funkool, Vinyl Box e Kinky Sound.
Una vera e propria officina di arte, idee e condivisione, il tutto intrecciato in un format originale che si svincola dall’ovvietà, dal già detto e dal già fatto, per cogliere le esigenze primigenie e artistiche che sono da sempre sopite sotto il manto pesante della città.
Il venerdì, dalle 18:30 in poi, tocca invece a “Posteggia e Tammorra”, con la tradizione sdoganata dai live di pusteggia classica napoletana e tammorra, in compagnia della paranza di Vico Pazzariello, l’associazione culturale con sede nell’omonimo vico.
Il sabato, invece, dalle 18, Green Aperitive + “Pollicini verdi”, un connubio originale tra sensibilizzazione sul tema della green economy e giochi e intrattenimento per i più piccoli.

Giovedì 16 maggio, abbiamo cominciato con il live painting di Alessandro Cocchia, poliedrico artista che, sul suo sito, si definisce “visual surfer”, avviluppato strettamente tra le onde della sua Partenope di cui ha disegnato il profilo stilizzato, essenziale e incarnato nel volto di San Gennaro, che troneggia in una sala interna del Kesté, e che è ormai meta di pellegrinaggio da parte degli studenti che vanno a pregare al suo cospetto prima di un esame.
Al Kesté ci ha regalato un momento di condivisione e arte tra sacro e profano, che poi è la dimensione in cui si trova da sempre scisso, dipingendo uno dei tavoli del locale con un San Gennaro nelle vesti di “San Genny”, un iconico miscuglio tra il santo e Genny Savastano di Gomorra, con tanto di cresta, che incita lo spettatore con un “Vien’t a piglià a benedizione!”
Prima della sua performance, tra una birra e uno spritz, abbiamo scambiato due chiacchiere amichevoli con questo ragazzo, per entrare nel suo universo tra le viscere di Napoli e la liturgia.

 

Intervista ad Alessandro Cocchia

Innanzitutto, grazie mille per la disponibilità. Ti andrebbe di presentarti?

Sono Alessandro Cocchia e sono un grafico designer/artista napoletano.
Sono qui perché sono molto amico di Fabrizio Caliendo. Il San Gennaro che sta all’interno del Kestè ha undici anni ed è opera mia, doveva resistere cinque mesi perché Fabrizio aveva organizzato una sessione di live paiting, e invece ora è un simbolo, mi hanno detto addirittura che i ragazzi pregano al suo cospetto prima di fare gli esami.
Si può dire che San Gennaro proprio è il mio marchio di fabbrica.

Perché proprio San Gennaro?

Io gioco molto con le icone napoletane, mi piace ricrearle in chiave pop; è un filone underground dell’arte, formato da persone che vengono dal mondo della comunicazione, dei fumetti, dei cartoon, e cerchiamo di trasferire delle parti di questa comunicazione, solitamente anche di massa, in forme e momenti artistci singoli.
E quindi ci sono citazioni e continui rimandi ad icone classiche napoletane, sono particolarmente influenzato da Napoli perché è il luogo dove sono nato e cresciuto.
Amo infatti fondere e miscelare Napoli con i manga giapponesi, con i fumetti americani anni ’70, con Superman, con Lamù.

La tua è una performance che nasce dal dialogo fra le arti?

In realtà io nasco come designer, nel senso che non ho nemmeno una formazione artistica, ho frequentato il liceo scientifico e poi ho studiato design, quindi mi sono avvicinato all’arte studiando la grafica.
La forma d’arte pop è quella più vicina alla comunicazione visiva, e quindi, avvicinandomi a quel genere di cose, e con una matrice grafica, ho cominciato a fare le illustrazioni un po’ per caso, nel 1992, per le guide turistiche napoletane, ed ebbero un successo clamoroso.
Queste illustrazioni vennero utilizzate per vari scopi e beneficiarono di una grande diffusione.
Da lì è partita tutta la mia vita artistica, che e un po’ parallela a quella di designer. Nel 2001 sono stato artista Swatch, prodotto che è stato venduto in tutto il mondo, sono stato l’unico napoletano a farlo, tra l’altro con un genere molto riconoscibile, ossia questa linea nera alla Keith Haring.
Poi ho realizzato un po’ di mostre in giro, anche collettiva ad Atlanta negli Stati Uniti, ma fondamentalmente sono molto radicato a Napoli.
Però ho vissuto l’arte non come attività principale, quindi non mi piace molto il canale “ufficiale” delle gallerie.

Cosa proporrai al Kestè?

Poiché la mia avventura al Kestè è nata con il San Gennaro, provo a riproporla con un’icona più attuale: abbiamo un San Gennaro  molto influenzato dalle serie televisive, in questo caso Gomorra, e che prende le vesti di Genny Savastano, “Vien’t a piglià ‘a benedizione”.
Gioco quindi, in modo un po’ dissacrante, col sacro e il profano.
Ho “dissacrato” sempre con rispetto e mai con volgarità, anche perché sono molto credente, e mi piace disegnare icone sacre in modo umoristico: non mi prendo mai sul serio. Tratto San Gennaro e le varie figure sacre un po’ come eroi metropolitani.

Cosa pensi dell’arte napoletana in generale?

Dipende da cosa si intende per arte.
Dalle mie parti, purtroppo, l’arte la crea il circuito delle gallerie, e se ci riferiamo a quella, l’arte napoletana non è che non c’è, ma non è mai esistita, perché galleristi napoletani investono sul sicuro. Io sono stato un po’ “escluso”, mai preso sul serio, perché troppo “fumettoso” e illustratore.
Quando poi le stesse cose, anche molto simili alle mie, vengono valutate in modo diverso in giro per il mondo. Quindi, da questo punto di vista, ho poco a che fare con l’arte napoletana.
Se parliamo invece di interpreti, la situazione è molto diversa: menti creative e artistiche ce ne sono a bizzeffe, ma non si sa dove vanno a finire. Io per un po’ di anni ho aperto una mia galleria indipendente, dove fondamentalmente facevo cose mie e ospitavo anche qualcun altro, poi è finita perché era più una provocazione che altro.
Il problema è che è molto difficile trovare un gallerista napoletano disposto ad investire in un artista napoletano. Non trovi un artista napoletano che è diventato famoso cominciando a Napoli, perché i vari Paladino e Clemente sono diventati famosi quando sono andati fuori e sono stati importati poi dai galleristi napoletani in un secondo momento.
In teoria non c’è la figura del “veicolatore” dell’arte a Napoli, o del mecenate, perché l’arte ufficiale napoletana investe perlopiù sulle certezze.
Il mondo dei galleristi è un mondo di consulenti finanziari, che spingono l’artista che riescono a far quotare, per trovare poi gli acquirenti che sono degli investitori.
Io ho il mio mercato diretto, i miei clienti, spesso collezionisti, si innamorano delle cose che creo, e  vendo spesso opere anche come elementi d’arredo.
Poi lavoro molto anche col brand, nel senso che il mio tratto è molto pop, commerciale, quindi le mie cose dialogano molto bene con una serie di marchi.

Ringraziamo Alessandro Cocchia per la disponibilità, e ci prepariamo ai prossimi appuntamenti per il nuovo format del Kestè!

Immagine di: http://www.ziguline.com/alessandro-cocchia/

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A proposito di Monica Acito

Monica Acito nasce il 3 giugno del 1993 in provincia di Salerno e inizia a scrivere sin dalle elementari per sopravvivere ad un Cilento selvatico e contraddittorio. Si diploma al liceo classico “Parmenide” di Vallo della Lucania e inizia a pubblicare in varie antologie di racconti e a collaborare con giornali cartacei ed online. Si laurea in Lettere Moderne alla Federico II di Napoli e si iscrive alla magistrale in Filologia Moderna. Malata di letteratura in tutte le sue forme e ossessionata da Gabriel Garcia Marquez , ama vagabondare in giro per il mondo alla ricerca di quel racconto che non è ancora stato scritto.

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