Giochi aquistabili vs free to play: scontro tra titani

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Giochi acquistabili vs free to play

Correva l’anno 1962 quando ”Spacewar!” decollò sul nuovo computer DEC PDP-1. Il gioco, incluso in tutti i nuovi computer DEC, proponeva un’idea semplice, ma originale: due navi nei due punti opposti dello schermo si battevano all’ultimo sangue cercando di affondare la navicella avversaria. Era l’inizio dell’ascesa videoludica.

Giochi virtuali: dalle cartucce ai download

Iniziò tutto dalle sale gioco. Da quel momento una serie di modelli sempre nuovi di console iniziarono una gara senza fine sugli schermi televisivi, investendo gli occhi sognatori dei bambini, quelli curiosi degli adolescenti e forse anche quelli più scettici dei loro genitori, di pubblicità sulle infinite possibilità che offrivano. Ognuna di loro proponeva un’esperienza di gioco attraverso decine di giochi dalle trame e i game play più svariati. Con gli anni la pila di cartucce dei giocatori più accaniti divenne sempre più alta, finché non arrivarono loro. I free to play. Giochi dall’aria illusoria di una demo, con le loro promesse di funzionare senza l’ausilio di un disco acquistabile, di un codice da inserire. Giochi che puzzavano di imbroglio, ma che altro non erano che l’avvento di un nuovo tipo di marketing: il marketing dell’ossessione.

L’idea dei free-to-play era quella di lasciare che le persone si affacciassero ai giochi come qualcosa di completamente accessibile, permettendogli di sperimentare in lungo e in largo i mondi creati dagli sviluppatori per poi inserire elementi che richiedevano l’ausilio di soldi reali.

La differenza tra un free-to-play e un gioco integralmente acquistabile

Per analizzare la differenza tra questi due prodotti è necessario, in primo luogo, analizzare il pubblico a cui sono rivolti. I primi giochi integralmente acquistabili, rivolti alle generazioni di ragazzi comprese tra il 1970 e gli anni 1990, proponevano un modello di gioco semplice e lineare. Il giocatore interessato comprava la cartuccia che era utilizzabile in un unico tipo di console, iniziava il gioco e una volta concluso poteva scegliere se giocarci una seconda volta, rivenderlo per comprare un nuovo gioco o collezionarlo. Un meccanismo facile, che in qualche modo permetteva (attraverso la rivendita della cartuccia) di far provare il gioco anche a chi non aveva possibilità di acquistarlo a prezzo intero. Il game play di questo tipo di giochi era definito da un solo tipo di finale, al quale si poteva arrivare, a seconda del gioco, in un unico modo. Concluso il gioco non c’era possibilità di ampliare la cartuccia o di aggiornarla. La spesa iniziale affrontata per acquistarla risiedeva tutta nel contenuto dei chip che le persone tenevano tra le mani. La generazione a cui sono stati rivolti questa prima serie di giochi raramente collezionava prodotti per qualità, ma per quantità. Non c’è quindi da sorprendersi se la maggior parte dei giochi acquistabili si presentavano come Arcade.

Con l’inizio degli anni 90’ e la nascita dei giochi online, il modello che fino a quel momento aveva contraddistinto le case di produzione videoludica viene a spezzarsi. Questa nuova generazione si caratterizza per l’improvviso interesse verso un solo tipo di gioco, a cui dedicano interi mesi della loro vita. L’ossessione per la quantità inizia a diventare ossessione per la qualità nel momento in cui, i giochi su cui migliaia di ragazzi avevano investito decine di ore, iniziarono a venire aggiornati, con nuove mappe, nuove sfide e nuovi nemici. Questi giochi vennero nell’immediato distinti in due categorie.

La prima permetteva di acquistare il gioco in maniera integrale, di scaricarlo e di giocare qualsiasi nuovo aggiornamento verrà aggiunto nel corso del tempo.
La seconda, erano i free-to-play. I free-to-play, a loro volta distinti in due categorie, promettevano al giocatore a un videogioco completamente gratuito. Una manna dal cielo per chi non aveva la possibilità di acquistarne uno. Ma questa promessa veniva meno nel momento in cui, dopo aver investito ore di impegno su una partita, i giocatori si ritrovavano di fronte a un obiettivo perseguibile solo attraverso uno shop online, che richiedeva, ovviamente, denaro vero.

Un sistema innovativo e redditizio 

Perché il sistema funziona? Perché le persone si sentono tentate a spendere soldi reali anche dopo che gli è stato promesso un videogioco interamente giocabile gratuitamente?

Il meccanismo dei giochi free-to-play risiede proprio qui. Nei loro prezzi. Questi, decisamente inferiori rispetto a quelli di un gioco integrale, illudono i giocatori, facendogli credere di spendere appena qualche centesimo. Facendo i conti a fine partita ci si rende conto però che il denaro impiegato in questi è decisamente superiore a quello che si sarebbe speso per un dischetto con un gioco completo.

Il meccanismo è simile a quello delle macchinette delle sale gioco, con l’unica differenza che non esiste possibilità di rendita.

Dunque chi vince questa incredibile sfida tra titani? Semplice: nessuno dei due. Sia un gioco acquistabile con un dischetto, sia uno scaricabile con un codice e sia uno completamente gratuito possono divertire e nuocere allo stesso modo. Prima di fare un nuovo acquisto, basta ricordare che il mondo dei videogiochi non è quello reale, che un paio di livelli in più non cambieranno la nostra realtà e improvvisamente tutto acquisterà più senso.

 

 

Fonte immagine: Pixabay.

A proposito di Giulia Salzano

Hi there! Sono Giulia Salzano e ho diciannove anni. Mi avrete visto quasi sicuramente seduta sul treno in direzione tra Napoli e Bologna a scarabocchiare sui quaderni. Non che ci abbia mai scritto nulla di ché.

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