Il Rainbow washing: una finta inclusività

Il Rainbow washing: una finta inclusività

Durante il mese del Pride si celebra l’anniversario dei Moti di Stonewall Inn del 1969, anno in cui è nata la famosa manifestazione per i diritti della comunità LGBTQ+. Non appena scatta la mezzanotte del primo giugno, molte aziende si mobilitano per fare qualcosa di molto particolare, ovvero trasformare i loro loghi in arcobaleni, da qui il rainbow washing.

Il rainbow washing consiste nel mostrarsi attivi nella lotta per i diritti umani con l’unico scopo di attirare più clienti. Per quanto riguarda i negozi fisici, questi si riempiono di bandiere queer, di merchandising (magliette, tazze, spille, accessori arcobaleno) e di frasi come «Love is love», azioni che minimizzano gli obiettivi del Pride. Lo stesso accade per le grandi multinazionali, che optano per un rebrand dei loro prodotti, che diventano super colorati. Insomma, lo scopo del rainbow washing è quello di mostrarsi inclusivi per promuovere, in realtà, l’iperproduzione e l’iperconsumismo. Alle aziende non importa nulla dei diritti umani, l’unico obiettivo è guadagnare sempre di più, vediamo quindi che il rainbow washing è una becera strategia del capitalismo che gioca sui nostri sentimenti per farci sentire inclusi in una società discriminatoria. Per combattere tutto ciò, bisogna diffidare delle multinazionali e continuare a comprare prodotti come si è sempre fatto, privilegiando i piccoli rivenditori, che potrebbero sparire nel corso dei prossimi anni a causa della presa di potere dei colossi del capitalismo.

Vediamo quindi che il rainbow washing è un’attività sbagliata da ogni punto di vista, in quanto si tratta di una strategia di marketing che fa leva sulla vita di persone in difficoltà. Il Pride, in realtà, non è soltanto arcobaleni e parate, ma ben altro: il sentirsi amati dagli altri, l’accettare se stessi, l’avere una comunità di cui fidarsi, combattere per i diritti di tutti attraverso il femminismo intersezionale, sopravvivere nonostante le difficoltà e quant’altro. Ciò ci fa comprendere che ci sono ragioni molto profonde per cui combattere, e che quindi la facciata arcobaleno del rainbow washing serve a ben poco, in quanto una maglietta colorata non farà la differenza.

Per essere un vero alleato, bisogna ascoltare le voci delle persone queer, emanciparsi da costruzioni ideologiche, respingere affermazioni d’odio e sostenere le persone che ci stanno attorno: questi piccoli passi possono portare più lontano di quanto possa fare il rainbow washing, il cui unico interesse è quello di capitalizzare sul Pride Month.

Insomma, vediamo ancora una volta che le classi del potere non si interessano realmente ai problemi del mondo, e che quindi bisogna agire per contrastare tutto ciò. È importante diffondere la parola per evitare che queste compagnie guadagnino sulle spalle delle persone queer senza il minimo sforzo. Boicottando le multinazionali, è possibile fare leva sulla loro mancanza di etica che vogliono nascondere dietro ad un arcobaleno.

Fonte immagine: depositphotos

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