Immigrati: risorse o vite di scarto in esubero?

Immigrati

A volte, che sia al telegiornale o in uno di quei salotti pomeridiani su Canale 5, sentiamo delle affermazioni inverosimili sugli immigrati: arrivano qui per rubarci il lavoro, per rubare le nostre donne, per annullare la nostra cultura. Molte persone, compresi i “nostri” politici, pensano che arrivare in un paese completamente sconosciuto sia una cosa facile o, addirittura, piacevole. Queste stesse persone chiudono gli occhi di fronte alle tragedie che migliaia di persone vivono in mare, chiudono gli occhi di fronte a migliaia di persone che fuggono dalla sofferenza con la speranza di trovare ospitalità in un paese che, purtroppo, non fa che voltargli le spalle.  Dobbiamo capire che l’immigrazione non sia tanto un viaggio di lusso ma un viaggio tra le onde dell’inferno di cui non si sa se ci sarà mai un arrivo.

I falsi miti dell’immigrazione

Spesso, quando si parla di immigrazione, si parla anche di invasione straniera. Ma quanti sono gli stranieri in Italia? Pochi. Secondo i dati Istat 2018, sono circa l’8,5% della popolazione italiana. Ma non sono tutti extra UE. Il 51% sono cittadini europei, circa 2.6 milioni di persone. Il 21% viene dall’Asia e il 7% dalle Americhe. Solo 1.1 milione proviene dall’Africa.

Alcuni tipi di immigrati non risultano come tali ai nostri occhi, ossia non li classifichiamo come immigrati. Tipicamente, quando gli immigrati provengono da paesi sviluppati, non li chiamiamo e non li trattiamo da immigrati. La nostra preoccupazione si aguzza quando gli immigrati arrivano da condizioni di povertà: essendo poveri, questi stranieri arrivano per chiedere aiuto, per portarci via qualcosa. In verità, tra i principali paesi di origine degli immigrati in Italia – in ordine decrescente troviamo Romania, Albania, Marocco, Cina, Ucraina, Filippine, India, Bangladesh, Moldova, Egitto (Fonte: IDOS 2019) – non ce ne sono di poverissimi: gli immigrati provengono principalmente da paesi di livello intermedio per sviluppo economico e sociale. Allora perché le persone decidono di scappare dal proprio paese? Per motivi sociopolitici: persecuzioni etniche, religiose, razziali, politicheculturali, la guerra o la minaccia di un conflitto.

Negli anni si è diffusa l’idea secondo cui gli immigrati godano di privilegi che gli italiani non hanno e che vengano trattati meglio. Ovviamente questo non è vero. Le politiche del nostro paese fanno in modo che ci sia sempre un grado di separazione tra noi e loro, immigrati che, pur lavorando e pagando le tasse, non vengono considerati nostri eguali. Alla base di questo pensiero troviamo sicuramente un certo vittimismo italiano che dirige il proprio astio verso le minoranze: in poche parole l’immigrato diventa il capro espiatorio dei nostri malcontenti, ce la si prende con soggetti deboli e non con le autorità politiche ed economiche preposte a risolvere tali problemi.

Questo comportamento ha alla propria base anche una certa insicurezza sociale: «Considerare i migranti causa delle proprie miserie e paure può essere illogico; tuttavia, poggia pur sempre su un tipo di logica perversa: un tempo c’era certezza nel lavoro e nelle prospettive di vita; questa certezza è stata oggi – proprio quando sono arrivati i migranti – sostituita dalla flessibilità dei mercati del lavoro e da impieghi a breve termine» ha detto Zygmunt Bauman in un’intervista per Collettiva.it

Gli immigrati, i profughi, i rifugiati, non sono nient’altro che quelle vite di scarto che Bauman ha analizzato: vite che non contano niente, vite di cui si parla solo per fare politica, per fare propaganda, vite che potrebbero non essere di scarto, visto che siamo noi a considerarle come tali. È così: è una gerarchizzazione arbitraria e artificiale che noi facciamo; non esistono delle condizioni naturali affinché qualcuno venga considerato uno scarto. Sta tutto nel nostro punto di vista, da come una certa persona si mostra ai nostri occhi. Essendo qualcosa di modificabile, visto che è una condizione creata dall’uomo stesso, potremmo tranquillamente fare in modo che non ci sia più questa distinzione tra vite di scarto e non. Invece si continuerà a pensarla come qualcosa di naturale, che è così da sempre.

Migranti: lavoratori in esubero

Zygmunt Bauman (1925 – 2017) – filosofo e sociologo polacco – si sofferma molto sull’esubero: è la condizione per la quale ci si sente scartati, superflui (ad un livello economico, sociale, esistenziale); essere in esubero significa essere non necessari, inutili, eliminabili.

Al giorno d’oggi è inevitabile pensare che i migranti siano soggetti all’esubero. Ma lo sono davvero? Hanno una funzione nella nostra società o sono solo gli inevitabili rifiuti della modernità liquida? Bauman raffigura le vite di scarto come superflue, ma contemporaneamente utili: pur essendo in esubero, è necessario che si occupino dello smaltimento dei rifiuti, ovvero di tutte quelle mansioni e di tutti quei lavori che i soggetti egemoni non vogliono accettare. Nessuno tra questi ultimi vorrà fare il lavoro degli spazzaturai, un lavoro sacrificante, un lavoro sporco e noioso. Di conseguenza è inutile continuare a dire che il lavoro viene tolto agli italiani, perché non è assolutamente così.

Oggi il nostro paese dà lavoro a 2,45 milioni di immigrati stranieri, che rappresentano il 10,6% dell’occupazione complessiva. La loro incidenza è più alta dove il lavoro è faticoso, precario, sfruttamento. Il mercato del lavoro italiano, per quanto sia pericoloso, precario, poco pagato, ha attratto centinaia di migliaia di lavoratori stranieri.

È chiaro che lavorando, dando la possibilità alla propria famiglia di mantenersi e dando l’opportunità ai propri figli di studiare, un soggetto migrante incrementa il sistema economico italiano, così come quello culturale e sociale. Le immigrazioni, infatti, non sono una patologia, ma una risorsa per le società capaci di accoglierle e valorizzarle.

 

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23 anni passati con la testa fra le nuvole, di cui 3 come studentessa di Mediazione linguistica e culturale, e se ne prospettano altri facendo le cose che più amo: scrivere, fotografare, viaggiare, sognare.

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