#Losapevamotutte: Il grido delle donne contro il femminicidio

#Losapevamotutte

#Losapevamotutte: il grido delle donne contro il femminicidio, che stavolta si è fatto spazio nell’internet grazie a questo hashtag. L’ennesimo tentativo di dar voce al rammarico, alla rabbia, all’esasperazione di milioni di donne ormai esauste a causa di notizie raccapriccianti come quella della giovanissima Giulia Tramontano; incinta di sette mesi, è stata uccisa da quello che era il suo compagno, il quale aveva avuto addirittura l’audacia di denunciare alle autorità la sua scomparsa. La donna aveva scoperto la sua relazione parallela con una sua collega, anche lei incinta. Secondo le ricostruzioni, l’assassino ha avuto la fermezza di scrivere alla madre di lei per estinguere ogni sospetto.

Assassino, perché in nessun’altra maniera può essere definito. Questo terribile episodio viene così aggiunto alla lunga lista di delitti simili, molti dei quali non hanno avuto nemmeno una voce. Ciò che ci si chiede nelle varie proteste, nei vari progetti, ciò che preme sapere più di tutto è: Quando finirà? Quando si deciderà effettivamente di fare qualcosa? 

Da anni oramai le donne vengono strumentalizzate, oggettificate, sfruttate, lottano per far emergere questo grido disperato. Sono stati innumerevoli i tentativi cestinati: dalle campagne di sensibilizzazione nelle scuole, scartate con l’accusa di voler manipolare i più piccoli a crescere con una mentalità che a molte persone, sfortunatamente, non appartiene, alle parate, manifestazioni civili contro la violenza sulle donne. Tutto ciò ha portato alla sensibilizzazione sfociata nell’istituzione di una “giornata mondiale contro la violenza sulle donne“, il nostro 25 Novembre, giorno che dovrebbe essere simbolo di tutte queste disgrazie e della forza di cui dispone il cosiddetto “sesso debole“, simbolo eterno come l’acclamatissimo 8 Marzo; in realtà, simbolo di giustificazioni per omaggiare la donna, per rispettarla, per ammirarla quando poi tutto ciò non dovrebbe essere altro se non la pura normalità. Non dovrebbe esserci quindi il “reminder” per, appunto, ricordare alle persone che la violenza non è una risposta concepibile, che nessuno può assolutamente prendersi il diritto di giocare con la vita altrui benché meno estinguerla. Ecco perchè #Losapevamotutte.

Era il 2013, 10 anni fa, quando Giulia Tramontano prendeva parte alle lezioni presso l’Università degli studi di Napoli: L’Orientale. Le parole di conforto, i pianti disperati, la rabbia giustificata di quelli che erano i suoi colleghi non hanno tardato ad arrivare, con l’augurio che la storia di questa meravigliosa donna, la quale portava in grembo una nuova vita, possa smuovere ancor di più gli animi umani. Con la speranza, l’ennesima, che possa cambiare qualcosa in questa società che vede tutto, ma che in realtà non vede proprio niente. Con l’augurio che tali violenze vengano estinte, che titoli come questo non vengano più letti e che non ci sia più bisogno di hashtags come quello di #Losapevamotutte per sollecitare l’essere umano a darsi una mossa. 

Dai giornali emergono titoli agghiaccianti con prese di coscienza miserabili. Si legge la qualsiasi sui tentativi di insegnare tecniche di autodifesa alle donne, di istituire linee telefoniche atte proprio alla tutela delle stesse, sui tentativi di giustificazione di gesti atroci che di giustificabile non hanno proprio niente. Non si legge, piuttosto, qualcosa che riguardi l’uomo in sè, come se effettivamente questa non fosse una problematica che lo interessi, come se a morire fossero le donne e fossero dunque loro a doverne uscire autonomamente. Nonostante le innumerevoli affermazioni sull’adesione ai movimenti che trattano della parità di genere, nonostante i milioni di uomini che si sono uniti a questa lotta straziante, ancora oggi il problema del femminicidio risulta essere la vittima e non il carnefice. Piuttosto che insegnare alle donne a difendersi, a questo punto bisognerebbe insegnare agli uomini il concetto di rispetto della vita. Bisognerebbe insegnare che uccidere non è un’opzione, ed inculcare loro la nozione di consenso. Servirebbe effettivamente ricominciare dalle basi che, crescendo, incredibilmente si dimenticano. 

Ci saluta così la mamma di Giulia nella sua storia di Instagram, con queste parole commoventi, cariche di un significato incommensurabile: «Grazie. Grazie di averci dato la speranza di trovarla. Grazie di averci creduto ed aiutato. Grazie dal profondo del cuore di una famiglia distrutta, di fratelli che non hanno avuto la possibilità di cullare il proprio nipote. Di genitori che sono stati privati del diritto di essere tali. La nostra famiglia sarà per sempre unita».

E qui tacciono tutti coloro che tentano ancora di cercare una giustificazione ad atti a dir poco abominevoli come questo. Una donna con una forza incredibile, che non voleva altro se non abbracciare suo nipote, chiacchierare con sua figlia. Si parla tanto di normalità e di tutto ciò che concerne la sfera del sociale, perchè sempre di società si parla e nient’altro, ma qui di normale non c’è nulla, in una storia simile di “genitori privati del diritto di essere tali“.

Una donna non è una proprietà e non puoi permetterti di farne ciò che ti pare. Ma d’altronde: #Losapevamotutte.

Fonte immagine in evidenza: Pexel

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