Sahara Occidentale e Sahrawi: i profughi dimenticati

Sahara Occidentale e Sahrawi: i profughi dimenticati

Se credete che il colonialismo sia finito, vi sbagliate di grosso. Da cinquant’anni la questione del Sahara Occidentale rimane giuridicamente irrisolta: già dagli anni ’30 il popolo Sahrawi, costituito dalle tribù arabo-berbere da tempo insediate nel territorio, rivendica la propria autonomia prima dal dominio spagnolo, oggi dal Marocco. Adesso i Sahrawi si ritrovano sospesi in un limbo, negati del diritto di tornare nella propria terra, pur vivendo nelle immediate vicinanze del confine.

Storia in breve del Sahara Occidentale e Sahrawi

Il Sahara è, nel nostro immaginario collettivo, il deserto per eccellenza: attraversa ben 9 000 000 km² e undici stati dell’Africa settentrionale. Si tratta di una regione geografica con durissime condizioni di vita che non consentono lo sviluppo dell’agricoltura, ma anche di una delle più ricche di materie prime che fanno gola all’imperialismo occidentale. Nello specifico, il Sahara Occidentale è un lembo di terra di circa 266 000 km² nell’estremo Maghreb, e si tratta di una zona più che strategica per quanto concerne l’estrazione di fosfati, i cui ricavati vanno oggi al Regno del Marocco che li spartisce con Europa, USA e Israele. Fu colonia spagnola dal 1884 al 1975, l’anno prima che il Frente Polisario (Frente popular de liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro), principale volto del diritto di autodeterminazione dei Sahrawi, proclamasse la Repubblica Araba Sahrawi Democratica, iniziando a far rimbombare la propria voce.  Al crollo del regime franchista e stipulati gli Accordi di Madrid, il Sahara Occidentale rientrava nelle mani del Marocco e della Mauritania, per poi passare esclusivamente al primo a seguito di un trattato di pace, nel 1979, tra la RASD e la seconda. Dagli anni ’70 il Polisario condusse una guerriglia contro gli stati occupanti protrattasi fino al cessate il fuoco del 1991, ma la situazione è rimasta incerta, e il Sahara diviso da una cinta muraria di 2720 km voluta dal Marocco per separare la parte annessa al Regno, a ovest, da quella spettante al Fronte, a est. Si tratta del muro più lungo al mondo dopo la Muraglia cinese.

Organizzazione della società Sahrawi

I Sahrawi sono un popolo le cui radici risalgono all’incontro tra arabi yemeniti e i pastori nomadi berberi: oggi, i territori formalmente riconosciuti al Polisario, si identificano con la zona del Sahara Occidentale a est del muro (di fatto disabitata) e diversi campi profughi disseminati nella provincia di Tindouf, in Algeria, dove vive il 30% dei Sahrawi (173.000 su 500.000 circa), negati del diritto al ritorno esattamente come accade agli esuli palestinesi. L’Algeria ha riconosciuto la RASD nel 1976 e considera l’area di competenza giuridica dei Sahrawi: di fatto, il quartier generale del Polisario è sito in una delle cinque wilaya (province) che suddividono i campi, Rabouni. Sul piano amministrativo, ciascuna wilaya è ripartita in daira (comuni) a loro volta costituite da hay o barrios (quartieri). I comitati locali si occupano della distribuzione di merci essenziali, mentre le autorità comunali delle scuole, delle attività culturali e dei servizi medici. La colonna portante della società Sahrawi, sin dai tempi della vita pre-coloniale, è il concetto di tuiza, vale a dire il lavoro comunitario e il senso di reciproca responsabilità che ben si sposa con l’ideologia socialista del Polisario, e che ha facilitato enormemente la costruzione di scuole e ospedali.  

Sahara Occidentale e Sahrawi: le donne 

Le donne sono il corpo e l’anima dell’autodeterminazione dei Sahrawi e l’importanza che rivestono nella loro società la ereditano sin dai tempi del nomadismo. Tuttavia, a dimostrazione di come i conflitti bellici siano in grado di ribaltare i ruoli di genere, il loro peso accrebbe quando i campi si svuotarono degli uomini costretti ad andare sul fronte a combattere, e così le donne furono lasciate, completamente sole, a occuparsi di scuole e ospedali per poi fondare, nel 1974, quella che oggi è l’ala femminile del Frente Polisario, l’UNMS (Unión Nacional de Mujeres Saharauis). La rilevanza rivestita dall’UNMS è molto promettente nel processo di pace con il Marocco guidato dall’ONU: basti pensare che nel 2018 fu nominata una donna tra i cinque membri del team di negoziatori del Polisario, un passo da gigante nell’avanzamento ad un Sahara Occidentale femminista, e la loro rappresentanza nelle strutture organiche e politiche della RASD è tutto fuorché marginale. Oggi le donne saharawi sono coinvolte in tutti gli aspetti della vita pubblica dei campi, impiegate come agenti di polizia, insegnanti e medici.

Situazione odierna del Sahara Occidentale e Sahrawi

Al momento, il piano d’intervento dell’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) ha disposto servizi per circa 173.000 persone, numero sottostimato dal Marocco per disincentivare gli aiuti umanitari, da cui i Sahrawi dipendono enormemente a causa delle estenuanti condizioni di vita imposte dal clima desertico. Basti pensare che le temperature estive spesso superano i 50° (dopotutto parliamo del deserto più vasto del pianeta), la vegetazione è assente, la legna è reperibile a decine di chilometri di distanza dai campi, le tempeste di sabbia frequenti. Le abitazioni sono case modestissime se non tende, dunque estremamente vulnerabili a catastrofi naturali, come le inondazioni del febbraio 2006 che hanno distrutto gran parte dei campi. Ad oggi sono passati quasi cinquant’anni dall’esodo dei Sahrawi e si ha l’impressione che tutti gli Stati, fatta eccezione dell’Algeria, se ne siano lavati le mani e si siano freddamente distanziati dalla questione, tanto che la Commissione europea ha dato a questo popolo l’appellativo di «profughi dimenticati». Il Regno del Marocco ha avviato un vero e proprio processo di revisionismo storico fondato sulla convinzione che il Sahara Occidentale sia di fatto una provincia marocchina, e il mondo deve venire a conoscenza dei crimini contro l’umanità che sta commettendo, doppiamente inaccettabili se consideriamo che il Marocco stesso ha vissuto un passato coloniale, pur ergendosi oggi a detentore dell’ultima colonia superstite del continente africano. L’Occidente è complice e l’ipocrisia degli Stati Uniti e dell’UE, che da una mano mandano aiuti umanitari e con l’altra spartiscono i ricavi dei fosfati, è a dir poco imbarazzante. Personalmente, sono rimasto colpito dall’audacia dimostrata dal popolo e, in particolare, dalle donne Sahrawi nell’aver saputo trasformare, nell’arco di cinquant’anni, un campo profughi in una vera e propria società autorganizzata, ma la loro battaglia sarà lunga fino a quando la comunità internazionale non si deciderà a prendere una posizione concreta.

Fonte immagine: Wikimedia Commons

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