Università chiuse. Noi giovani non contiamo.

Università chiuse

Se un paese preferisce tenere le università chiuse a discapito delle discoteche, quel paese non crede nei giovani e nell’istruzione.

Ci sarebbe da ridere e anche di gusto, se la situazione attuale che molti miei coetanei stanno vivendo in questi giorni non fosse drammaticamente vera.

Da quando il 4 maggio scorso è iniziata la Fase 2 della lotta al Covid-19, in tutta Italia hanno pian piano riaperto le grandi e piccole attività. In seguito, hanno riaperto i bar e i locali vari ed è persino ricominciata la Serie A. Peccato che lo stesso discorso non si possa applicare al mondo dell’istruzione.

Se la scuola pubblica, già mutilata da anni di tagli e riforme scellerate, naviga in un mare di incertezze ed è stata temporaneamente risparmiata dalla scure dei divieti consentendo ai maturandi di sostenere l’esame di stato in sede, non si può dire lo stesso delle università che ancora risultano essere chiuse.

Dall’inizio del lockdown a oggi gli studenti e i professori hanno dovuto fare i conti con i disagi che la didattica a distanza comporta tra lezioni ed esami, senza dimenticare il fatto che non hanno avuto accesso a libri e materiali custoditi nelle biblioteche. Perché se per alcuni la quarantena è stato un periodo fatto di pizze impastate, maratone di serie tv ed esercizi di ginnastica fatti in casa per poi divenire stories da mettere su Instagram, per gli universitari è stato un periodo fatto di sveglie all’alba per seguire le lezioni dei docenti su Microsoft Teams, di file chilometriche fuori alle librerie e alle copisterie per comprare i libri degli esami e di ore passate su di essi per studiare come sempre.

Anche le sedute di laurea devono adattarsi alle misure anti-contagio, consentendo ai laureandi di portare soltanto due accompagnatori nelle aule in cui si svolgeranno le sedute. Quello che dovrebbe essere un traguardo irripetibile e un momento di gioia si ricopre di una patina amara e molti di noi trovano inspiegabile il fatto che, nonostante le misure di sicurezza adottate, usare delle aule più ampie sia fuori discussione.

Infine, come se il danno da solo non bastasse, ci si mette anche la beffa. Da qualche giorno sta facendo discutere la foto pubblicata da un noto dj veronese sul proprio profilo Instagram mentre si fa ritrarre con alle spalle una miriade di ragazzi e ragazze che ballano in discoteca, senza mascherina e senza rispettare le minime norme riguardanti il distanziamento sociale.

Guardando quella foto un laureando che non potrà portare con sé amici e parenti cosa dovrebbe pensare? Nulla, se non arrabbiarsi e chiedersi se le aule di università debbano rappresentare un luogo a maggior rischio assembramenti rispetto a luoghi di ritrovo in cui, oggettivamente, le norme anti-covid non possono essere rispettate.

Ecco cosa i miei coetanei e io stesso, che dovrei ritenermi fortunato per essere riuscito a laurearmi in presenza poco prima che l’Italia divenisse zona rossa, critichiamo di questa situazione così paradossale. Non la riapertura dei locali in sé, che danno comunque lavoro, ma chi pensa che la prerogativa più importante in questo momento sia il divertimento. È la famosa tazzulella di caffè che Pino Daniele cantava tanti anni fa, emblema di una distrazione per il popolo e di un’occasione per i piani alti di tramare alle spalle di esso senza essere disturbati.

Un paese con le università chiuse è destinato a morire

Ancora una volta l’istruzione, il sapere e la cultura rappresentano l’ultima ruota della macchina Italia, dove a pagare il prezzo più alto siamo noi giovani che già prima della pandemia non è che ce la stessimo spassando. La nostra generazione è per antonomasia quella che prende schiaffi in faccia a ogni ora del giorno e la crisi economica, sociale e soprattutto umana portata dall’epidemia è soltanto l’ennesimo sasso che le viene scagliato sulla fronte.

Si diceva che da questo periodo ne saremmo usciti rinati e che avremmo dato più importanza al fattore umano. La verità è che nulla è cambiato e lo dimostra il fatto che si preferisca tenere le università chiuse. E un paese che ignora deliberatamente le richieste dei giovani umiliandoli per l’ennesima volta è un paese destinato a sprofondare sottoterra.

Siamo stanchi di soffrire in silenzio. Siamo soltanto incazzati.

Fonte immagine copertina: Pixabay

A proposito di Ciro Gianluigi Barbato

Classe 1991, diploma di liceo classico, laurea triennale in lettere moderne e magistrale in filologia moderna. Ha scritto per "Il Ritaglio" e "La Cooltura" e da cinque anni scrive per "Eroica". Ama la letteratura, il cinema, l'arte, la musica, il teatro, i fumetti e le serie tv in ogni loro forma, accademica e nerd/pop. Si dice che preferisca dire ciò che pensa con la scrittura in luogo della voce, ma non si hanno prove a riguardo.

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