Dal gesso al tutore in 3D, il futuro è già qui

tutore in 3D

Tutore in 3D, la svolta

Dimenticate il fastidio del gesso, presto si passerà al tutore in 3D! Negli ultimi anni, tra le importanti ricerche condotte in campo medico, in particolare in ortopedia, sono stati condotti diversi studi sui dispositivi per la cura delle fratture, con l’obiettivo di sostituire la vecchia e scomoda ingessatura con un dispositivo che unisca la resistenza del solfato di calcio, il quale, miscelato con l’acqua, si irrigidisce e tiene immobile l’arto fino alla naturale formazione del callo osseo e al ripristino della funzionalità dell’arto. 

Nell’applicazione della classica doccia gessata, tuttavia, la compressione esercitata sulla pelle è stata spesso causa di una serie di fastidi, in alcuni casi di veri e propri disturbi che, uniti al dolore causato dalla frattura che si ricompone, hanno sempre reso più difficile sopportare i tempi di guarigione. Un passo avanti è stato fatto quando in alcuni casi è stato possibile applicare un’ingessatura in fibra di vetro o vetroresina. La sua particolarità sta nell’essere più leggera e traspirante e consentire una maggiore chiarezza nelle immagini diagnostiche. Maggiore è la sua resistenza all’acqua, rispetto ad una comune ingessatura, benché non completamente impermeabile. 

Negli ultimi anni Una Start Up di Chicago, la Cast21, ha lavorato col suo team di ingegneri, che fa capo alla dott.ssa Veronica Hogg, alla progettazione di una ingessatura/bracciale in resina: in una griglia leggermente imbottita e vuota, dotata di un beccuccio, si versa la resina brevettata che diventa malleabile dopo 3 minuti.  A quel punto il medico potrà fissare l’osso in posizione corretta, modellando contemporaneamente il gesso in modo da aiutare l’articolazione a guarire correttamente. Il tempo di applicazione non supera i 10 minuti e la sua rimozione ne richiede anche meno, poiché bastano un paio di forbici. L’impermeabilità del tutore 3d e la possibilità di scelta del colore lo rendono appetibile, soprattutto per i piccoli pazienti in pediatria. 

Non è ancora chiaro, tuttavia, quando questo dispositivo verrà messo sul mercato poiché al momento il modello è limitato alla frattura del polso e dell’avambraccio; inoltre dovrà sbaragliare una concorrenza spietata rappresentata dall’ultima scoperta in campo tecnologico e medico: i tutori in acido polilattico (PLA) stampati in 3D, la cui applicazione spazia dall’ortopedia, alla posturologia, finanche ad arrivare alla cura delle ustioni. 

Nel 2013 lo studente neozelandese, Jake Evill, appena laureato in Architettura e Design alla Victoria University di Wellington in Nuova Zelanda, si fratturò un braccio ed iniziò a riflettere su come ridurre al minimo il fastidio, senza compromettere il processo di guarigione. Realizzò così un prototipo con la sua stampante 3D di un tutore che, in seguito, inviò a diverse società, tra cui una, in Olanda, che stampò il modello definitivo, ma il costo era elevato e i tempi troppo lunghi. Evill decise allora di ricorrere ad altri mezzi di comunicazione e, grazie a Internet, il suo progetto è giunto all’attenzione di chirurghi ortopedici, dall’Europa agli Stati Uniti, destando un vero interesse per il potenziale del prodotto. Di lì ad ottenere finanziamenti da parte di investitori e degli stessi pazienti, il passo è stato breve.  Come funziona Cortex.  Jake Evill sul suo sito ci spiega il procedimento del tutore in 3D in tre fasi:

Immagine da evilldesign.com

Nella fase 1, per prima cosa, si esegue un classico esame diagnostico ai Raggi X per individuare il punto in cui si trova la frattura. Nella fase 2 si esegue una scansione della parte interessata; le informazioni verranno inviate ad un software dove avviene la progettazione del calco che nella Fase 3 verrà stampato con un rinforzo sulla parte interessata. 

Il materiale utilizzato è PLA, acido polilattico: si tratta di materiale plastico di origine naturale. È, in parole povere, un polimero composto da fibre vegetali. Si ricava dalla lavorazione di vari prodotti di origine vegetale come mais, o barbabietole da zucchero. Considerato una plastica “ecologica”, è stato utilizzato inizialmente per imballaggi per alimenti e contenitori. La sua origine lo rende quindi privo di allergeni e la trama del tutore fa sì che la pelle respiri. Il PLA viene utilizzato anche per protesi interne come le riparazioni del tessuto osseo, danneggiato da trauma o tumore. 

Il progetto di Jake Evill è stato premiato, studiato e analizzato in tutti i paesi e sta dando il via ad una vera e propria rivoluzione. Da anni si sta già lavorando ad un sistema di telemedicina che collega il tutore ad uno smartphone per mezzo di alcuni sensori che possano rilevare una infiammazione e rilasciare una certa quantità di antinfiammatorio sulla parte interessata. Il connubio tra stampa 3D e medicina si sta espandendo rapidamente a livello industriale, generando un boom di nuove start up al lavoro per progettare protesi correttive come busti ortopedici per la scoliosi e cifosi, e presto anche in chirurgia plastica, grazie alla maschera in 3D, dove uno studio condotto a Lione sta realizzando una maschera per aiutare i pazienti ustionati – i bambini, nello specifico – ad avere una ortesi senza che il calco venga effettuato direttamente sulla pelle ustionata causando ulteriori traumi e sofferenze ai piccoli già provati. Progetti come il Cortex, la maschera e la telemedicina possono fare la differenza in un momento in cui il mondo deve avere un occhio di riguardo verso il cambiamento climatico. Utilizzando materiali biodegradabili nei processi terapeutici, con l’apporto della tecnologia, si fa la differenza in ogni settore: il futuro è 3D. 

 

Fonte immagine: freepik.

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