Il ruolo degli intellettuali nella storia
Il ruolo degli intellettuali è sempre stato controverso. Platone nella Repubblica auspicava un governo di filosofi. Per secoli ha fatto molto discutere l’atteggiamento problematico e contraddittorio di Seneca nei confronti del potere, alla sua epoca impersonato da Nerone. Così come secoli più tardi ha creato dibattiti a non finire Machiavelli con Il principe. E che dire di Dante, prima guelfo bianco, secondo il Foscolo ghibellin fuggiasco e poi facente razza a parte, che finì in esilio?
È passato tanto tempo dal J’accuse di Zola per il caso Dreyfus ma anche da Sartre che indicava l’engagement come strada obbligata per gli intellettuali. In Italia è passato tanto tempo dalla concezione di intellettuale organico che doveva impegnarsi per raggiungere l’egemonia culturale gramsciana. E oggi cosa deve fare un intellettuale? Qual è il ruolo degli intellettuali oggi? E ha ancora una funzione precisa al giorno d’oggi?
Chomsky e Lévy come punti di riferimento
Per capire meglio il ruolo degli intellettuali prendiamo come punti di riferimento Chomsky e Bernard-Henri Lévy. Chomsky ne I nuovi mandarini analizza il ruolo degli intellettuali, il loro servilismo nei confronti del potere. Per il grande filosofo e linguista gli intellettuali americani erano proni al potere, erano degli strumenti per la fabbrica del consenso, salvo poi condannare il governo a posteriori, a malefatte avvenute. Chomsky in un suo saggio breve si chiedeva se il popolo è colpevole delle guerre, quando alcuni distinguono tra massa e governo, ricordando che sono due cose ben diverse. In ogni caso per Chomsky le responsabilità degli intellettuali sono ben maggiori di quelle della popolazione comune perché sono un’élite privilegiata che ha più cultura e più informazioni. Per il pensatore americano gli intellettuali hanno il dovere di dire la verità e smascherare le menzogne dei governi. Ma dire la verità e smascherare le bugie del potere può costare molto in termini personali, perché si può essere ostracizzati, emarginati, isolati ma anche essere uccisi. Il ruolo degli intellettuali è più difficile del previsto. Bernard-Henri Lévy ne L’elogio degli intellettuali fa un’analisi ulteriore sul ruolo degli intellettuali, chiedendosi anche lui se sono colpevoli. Ma Lévy studia la complessità ontologica di cosa significa essere intellettuali nel mondo contemporaneo. Premette che esiste il pensiero debole, che la parola viene svalutata oltremodo, che non abbiamo più la verità ma il relativismo. Nel mondo moderno tutto è cultura, tutto viene messo sullo stesso piano. Non ci sono più gerarchie. Siamo al grado zero della cultura. Di conseguenza la crisi degli intellettuali e la loro perdita di autorevolezza, di incisività sulla realtà sono dovute alla stessa crisi della cultura occidentale. Eppure il filosofo francese scrive che gli intellettuali non devono scadere nell’irrazionalismo, ma devono attaccarsi con tutte le loro forze alla ragione, anche se il soggetto cartesiano e l’Illuminismo sono stati ormai spodestati dai loro troni. Insomma è in crisi la razionalità, sempre più limitata per le scienze umane, ma il ruolo degli intellettuali resiste, artisti e letterati hanno ancora una funzione sociale.
E oggi qual è il ruolo degli intellettuali?
Il ruolo degli intellettuali è sempre più impegnativo dal punto di vista cognitivo. Oggi non abbiamo la verità ma molte verità. Non abbiamo più le due culture di Snow ma tante culture. Il sapere è frammentato. Ognuno ha il suo ambito di competenza. Ognuno è analfabeta funzionale in qualche ramo dello scibile. I tuttologi sono vaghi, generici e perciò innocui. Come mettersi contro il potere quando ci sono tanti macropoteri e illimitati micropoteri? Come dissentire e rivoltarsi? Qual è il ruolo degli intellettuali oggi? Un’ulteriore difficoltà è il fatto che oggi il mondo è dominato dai tecnocrati e gli intellettuali spesso non sono tecnici ma hanno una formazione umanistica soltanto. E allora come interpretare e capire le dinamiche della macroeconomia, lo strapotere delle multinazionali, le speculazioni finanziarie, il turbocapitalismo selvaggio, le sfide della globalizzazione, le ultime scoperte della tecnologia, i nuovi paradossi della scienza, le nuove forme di povertà? Quindi come dire la verità e smascherare la menzogna, come voleva Chomsky? Non è utopico ciò? È davvero questo il ruolo degli intellettuali? Oppure aveva ragione Manganelli che considerava la letteratura menzogna? Per Fortini è finito il mandato sociale degli intellettuali. Gli intellettuali non hanno più un ruolo. Non riescono più a far presa sulla società civile. Fortini in Extrema ratio scrive che l’unica via è quella di occuparsi del Sud del mondo e rivolgersi a esso. Inoltre come possono gli intellettuali odierni denunciare le narrazioni a senso unico dei mass media e dello show business quando fin dalla tenera età anche loro ricevono quell’imprinting e sono condizionati da essi? Come può un intellettuale criticare l’utilitarismo, il materialismo, l’edonismo, l’omologazione quando anche lui è in parte utilitarista, materialista, edonista, omologato? Umberto Eco distingueva tra apocalittici e integrati. E oggi? Gli intellettuali forse dovrebbero essere integrati, cioè essere aggiornati e pronti alle nuove sfide della realtà, ma anche essere apocalittici, cioè iconoclasti e demistificare i falsi idoli della civiltà dell’immagine. Ma com’è possibile, visto e considerato che la maggioranza degli intellettuali subisce il grande influsso fin da bambini della cultura di massa dominante, che nei migliori casi li condiziona inconsciamente? E come può un intellettuale, seppur di prestigio, criticare tutto ciò quando è condannato a un ruolo sempre più marginale? Come può più prendere posizione quando non ha più una posizione? Come può far levare la sua voce liberamente quando è ricattato dal sistema che si basa sulla cooptazione ed essendo perciò ricattabile? Alcuni intellettuali sono ormai dei portaborse, nella stessa identica situazione del celebre film di Nanni Moretti. Inoltre anche nel caso che uno sappia la verità rischia di finire morto ammazzato come Pasolini, che guarda caso si prefiggeva di essere all’opposizione del governo e all’opposizione dell’opposizione. Oggi molto probabilmente Pasolini non lo ammazzerebbero ma lo perseguiterebbero con una sfilza di querele temerarie e la sua voce controcorrente la sommergerebbero con le critiche negative di opinionisti televisivi ed editorialisti dei quotidiani. Gli intellettuali oggi si ritrovano soli di fronte al loro destino e al destino del mondo. Come rilevava Nanni Balestrini non fanno ormai più gruppo ma al massimo cricca, consorteria. E allora cosa dovrebbero fare gli intellettuali? Qual è il ruolo degli intellettuali oggi? Gli intellettuali probabilmente dovrebbero fare un’analisi lucida della situazione attuale, essere propositivi, far crescere nella popolazione la speranza che il cambiamento sia possibile, fattibile. Dovrebbero indicare una via d’uscita dal labirinto e se va male continuare a predicare nel deserto (se il labirinto è diventato deserto). Una cosa ormai è assodata. Come scriveva Gore Vidal gli intellettuali sono come i canarini nella miniera. Quando smettono di cantare significa che l’aria si è fatta irrespirabile e i minatori devono uscire. Non a caso laddove gli intellettuali non possono esprimere dissenso regnano le dittature e laddove gli intellettuali non sono più ascoltati le democrazie sono in grave crisi.
Per saperne di più sulla concezione di Chomsky riguardo al potere vi consigliamo di guardare questo video:
Fonte immagine: Pexels