Canova. All’origine del mito a Aosta

Canova. All’origine del mito a Aosta

Antonio Canova. All’origine del mito è una mostra dedicata al celebre scultore trevigiano in esposizione al Centro Saint-Bénin di Aosta fino all’11 ottobre 2015, nata dalla collaborazione tra la fondazione Canova e la Soprintendenza per i beni e le attività culturali della Valle d’Aosta. Inaugurata il 12 giugno 2015, è stata curata da Mario Guderzo, direttore del Museo Gipsoteca di Possagno (Treviso), città natale di Canova, e da Giancarlo Cunial, studioso dell’opera dello scultore.

La mostra dedicata ad uno dei più importanti artisti neoclassici, vissuto tra il XVIII e il XIX secolo, si compone di oltre 60 opere tra cui marmi, acqueforti, rari dipinti a olio e a tempera, ma la particolarità della mostra è costituita certamente dalla possibilità per i visitatori di ammirare alcuni gessi realizzati dall’artista, e dei quali non esistono originali in marmo, provenienti dalla celebre Gipsoteca Canova di Possagno, dove erano giunti negli anni 1829-30 dallo studio romano dello scultore per volontà del fratello Giovanni Battista Sartori Canova.

Come si intuisce dal titolo della mostra, ai visitatori è offerta soprattutto la chiave per conoscere i retroscena, gli studi, i bozzetti delle statue più celebri di Canova che realizzava i propri capolavori dopo un’intensa e attenta preparazione, che prevedeva la lettura delle versioni, note e meno conosciute al pubblico, dei principali miti classici (lavorava anche 12-14 ore al giorno ascoltando i classici della mitologia greca che era solito farsi leggere). La prima fase di realizzazione di un’opera scultorea era rappresentata dal disegno: Canova trasferiva su carta le accademie di nudi sia virili che femminili, le prove dei panneggi e altri studi tematici (spesso catalogati e scrupolosamente datati), appunti grafici e anatomici, mescolandoli alle emozioni del momento.

Seguivano i primi bozzetti in terracotta, nati dopo gli schizzi iniziali basati sull’iconografia classica e sulle fonti greche, e le statue in creta a grandezza naturale, realizzati grazie al sistema dell’asta di ferro collegata ad altre munite di crocette di legno per vedere nell’immediato l’idea espressa nei disegni, sui quali spesso lascia la propria impronta (molto noti i due bozzetti in terracotta della Maddalena Penitente). Questi precedevano il vero e proprio modello in gesso, attuato con il metodo della “forma persa”: la creta veniva rivestita da un leggero strato di gesso rossigno, ricoperto da uno strato di gesso bianco. Asportata la creta interna, si colava altro gesso nella matrice, poi distrutta. Poi sui punti chiave della figura venivano fissati i repère (piccoli chiodini in lega di bronzo) e, quindi, si dava inizio alla scultura nel marmo (ritoccato e lucidato con un composto di pietra pomice o  fuliggine o “pura cera e acqua elaborata dallo speziale” o “acqua di rota”, cioè acqua sporca dall’arrotamento di strumenti metallici, come riferisce lo stesso Canova in una lettera), nel quale erano trasferite peculiarmente proporzioni e dettagli dei gessi.

Antonio Canova, che fin da giovane aveva mostrato una naturale inclinazione per la scultura, studiando disegno all’Accademia di Venezia, aveva tratto spunto per le prime opere proprio dai calchi in gesso della Galleria Filippo Farsetti. Ma fu a Roma che lo scultore, giunto per la prima volta nel 1779, realizzò le opere più note quali Amore e Psiche (1788-1793) oggi conservato al Museo del Louvre e Le tre Grazie (1813-1816) al Museo Ermitage di San Pietroburgo, avendo perfezionato le proprie conoscenze con l’approfondimento della statuaria antica e del nudo presso l’Accademia di Francia e dei Musei capitolini. Inoltre ebbe modo di incontrare i maggiori protagonisti dell’arte neoclassica e di far proprie le teorie di “nobile semplicità” e “quieta grandezza” di J. J. Winckelmann.

Proprio questi ideali artistici, così ben assorbiti dallo scultore, sono percepibili in alcune tra le più belle statue esposte al Centro Saint- Bénin, antico priorato e storica istituzione scolastica della città valdostana: la Danzatrice con le mani sui fianchi (1812), presentata al Salone di Parigi nel 1813 (Winckelmann disse che le danzatrici sono “le più belle fra tutte (…) poiché sono fluide come il pensiero”), e il busto in marmo Francesco I d’Austria (1804), Endimione dormiente (1819-1822), raffigurato sdraiato sulle rocce in un profondo sonno senza fine e la Maddalena penitente (1809) sensualmente raffigurata in ginocchio su un masso in evidente stato di invocazione del perdono e nella consapevolezza del peccato.

Nella mostra è esposto, pertanto, il genio artistico di Antonio Canova, capace di dare un’anima ad un blocco di marmo, modellandolo e levigandolo secondo gli ideali policletei come ogni scultore neoclassico ma, nel soffiarvi leggerezza e grazia, donandogli una vita propria fissata in un attimo, come solo un grande Maestro.

A proposito di Eleonora Vitale

Nata a Napoli il 29 luglio 1988, conduce studi classici fino alla laurea in Filologia, Letterature e Civiltà del Mondo Antico. Da sempre impegnata nella formazione di bambini e ragazzi, adora la carta riciclata e le foto vintage, ama viaggiare, scrivere racconti, preparare dolci, dipingere e leggere, soprattutto testi della letteratura classica e mediorientale.

Vedi tutti gli articoli di Eleonora Vitale

Commenta